L'appuntamento ha consegnato l'immagine di un universo giovanile che chiede di “essere ascoltato”, soprattutto dal mondo degli adulti. Le parole di papa Benedetto XVI hanno toccato il vissuto delle varie situazioni in cui vivono oggi i giovani, anche quelle dove sono evidenti le ferite. L'invito all'umiltà. Prospettive per il “dopo-Agorà”.
del 12 settembre 2007
 
 
 
 
Santità, lei ora è la nostra fontana di luce: la sua persona, il suo sguardo, la sua paternità, la parola chiara e decisa del magistero ci aiutano ad abbeverarci alla luce che è Dio, il Dio della verità e dell’amore. Le difficoltà e i limiti umani non mancano, come pure le ferite del peccato con le sue false libertà. Nell’intimo, però, ogni giovane avverte il desiderio di spendere la vita per qualcosa di grande, di seguire la speranza che non delude, di donarsi senza riserve e condizioni». È un rapporto, quello tra Benedetto XVI e i giovani italiani, che si è rafforzato nei contenuti e sciolto nello stile e che, nelle parole di mons. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, trovano limpida sintesi. La spianata di Montorso, presso Loreto, ha tracciato una nuova strada sulla quale camminano insieme la chiesa italiana e il mondo giovanile.
L’Agorà dei giovani italiani, inserita nel triennio pensato, voluto e sostenuto dalla Cei, ha avuto il suo primo grande convenire nella città di Loreto il 1° e il 2 settembre scorso, alla luce della Santa Casa di Nazaret. Per chi ancora aveva dubbi sulle difficoltà di dialogo e di confronto tra il mondo giovanile e Benedetto XVI, l’incontro di Loreto è stata una risposta senza precedenti, sia per coloro che erano nella spianata (circa 400 mila), che per i tanti che hanno seguito l’evento attraverso i mezzi di comunicazione. Le due giornate di Montorso, che si possono paragonare a due mani nell’atto di accogliere (la struttura del terreno richiama fortemente tale immagine materna), sono il segno concreto di un inizio e di un seguito.
 
 
Loreto: sintesi e stile di un cammino
 
Il primo anno del triennio dell’Agorà dei giovani italiani ha visto, nel termine “ascolto”, quella password che ha permesso di aprire tante porte, finestre e strade fino ad oggi non percorse. Forse sono vie già note alla pastorale ordinaria, ma che, nel pellegrinaggio verso la spianata di Montorso e nelle due giornate conclusive, hanno ritrovato un’originale stupore e ricchezza.
Una prima via è quella delle relazioni ordinarie che, non senza difficoltà e resistenze, l’Agorà ha promosso. Prepararsi per Loreto e aprire le porte per accogliere gli 80.000 pellegrini ospiti nelle regioni di Marche, Abruzzo, Umbria ed Emilia-Romagna ha richiesto un ascoltarsi reciprocamente, tra vescovi e presbiterio, parroci e fedeli laici, curie diocesane e amministrazioni comunali, provinciali, regionali, famiglie impegnate e nuovi nuclei familiari della parrocchia. È per questo che un primo frutto di Loreto 2007 è stato l’aver fatto prendere coscienza alla chiesa italiana, delle oltre 25.000 parrocchie e non solo, che si è chiesa prima di tutto nella comunione e condivisione.
A Loreto si è sperimentato ciò che avviene normalmente dentro una famiglia: gioie, fatiche, sofferenze, speranze, soddisfazioni, delusioni. Una famiglia viene rafforzata da tutto ciò e non se ne dispiace quando vive tali momenti, ma ne sa far tesoro con intelligenza e profondo discernimento.
All’Agorà di Loreto, dunque, va detto un primo “grazie”. Grazie per aver messo nuova linfa nelle vene del corpo ecclesiale, parrocchiale e associativo; per aver fatto incontrare realtà che prima, forse, non dialogavano o solo attraverso la via “formale”; per quello stile di famiglia e di naturalezza che si è vissuto sia nella veglia di sabato 1° settembre che nella celebrazione eucaristica di domenica mattina. Quel rispondere di papa Benedetto a braccio, senza fogli in mano, al pari di un padre che si sente porre delle domande di non poco conto dai suoi figli... Le domande sono state alte e le risposte altrettanto. Ai ragazzi e ai giovani, alle famiglie e ai singoli individui, ai credenti e a chi sta ricercando, occorre imparare a educare a domande “alte” perché le risposte che si trovano nella personale ricerca, nella preghiera e nella maturità di vita siano di altrettanto valore e spessore. Benedetto XVI, dunque, non ha dato solo risposte nella piana di Montorso; anzi, egli ha suscitato molte domande e ha posto questioni che richiedono una doverosa ripresa in ambito catechistico, formativo e spirituale all’inizio dell’imminente anno pastorale.
 
 
Benedetto XVI: sapiente interprete del vissuto
 
Nelle due giornate di Loreto le parole del papa sono state intense perché profondo è stato prima il suo ascolto. Il pontefice ha ascoltato il vissuto che proviene dalle periferie delle città e delle province italiane, senza distinzione di confine o di cultura, perché un degrado sociale visibile in una grande metropoli assume le sembianze del degrado “nascosto”, al chiuso di una famiglia che abita in un piccolo paese. Nelle parole di Giovanna e Piero da Bari, di Sara da Genova e di Ilaria da Roma vi era una “globalizzazione” delle gioie e dei problemi del mondo giovanile. Ogni vescovo, presbitero, educatore e genitore, mentre ascoltavano le testimonianze, avrà pensato alla sua diocesi, parrocchia, gruppo giovanile e famiglie. Non può che non essere così, perché, quando la fede è condivisa, è la volta che essa si moltiplica e si rafforza.
Il papa ha parlato ai giovani e, mettendo i suoi occhi nei loro, è arrivato (ed è una delle missioni per i giovani dell’Agorà) ai coetanei assenti rimasti a casa e sparsi sul pianeta. «In questo momento ci sentiamo come attorniati dalle attese e dalle speranze di milioni di giovani del mondo intero: in questa stessa ora alcuni stanno vegliando, altri dormono, altri ancora studiano o lavorano; c’è chi spera e chi dispera, chi crede e chi non riesce a credere, chi ama la vita e chi invece la sta gettando via. A
tutti vorrei giungesse questa mia parola: il papa vi è vicino, condivide le vostre gioie e le vostre pene, soprattutto condivide le speranze più intime che sono nel vostro animo e per ciascuno chiedo al Signore il dono di una vita piena e felice, una vita ricca di senso, una vita vera».
Proprio le pene e le sofferenze più intime hanno trovato posto nel dialogo tra i giovani e il papa. Periferie nella morsa del degrado urbanistico, sociale e politico; periferie dove la delinquenza pare essere la sola cosa visibile per le vie dei quartieri dormitori; periferie dove le gravidanze di adolescenti in giovanissima età sembrano far perdere il senso del corpo, della vita e dell’amore puro e limpido; periferie dove anche la carne del corpo umano diviene periferica, lasciando il posto alla sola pelle con la ferita dell’anoressia e di ciò che da essa scaturisce.
In ogni caso la periferia non è solo sinonimo di abbandono. Tutt’altro: è il fiorire della speranza che passa per il sudore della conquista e, nel contempo, della fiducia nelle persone che incontri. Come Ilaria di Roma che, nel sacerdote e nella sua famiglia, trova uno spiraglio per rialzarsi e ripartire. A Sara, come ai giovani del mondo, Benedetto XVI, nel corso della veglia, ha detto: «Ciascuno di voi, se resta unito a Cristo, può compiere grandi cose. Ecco perché, cari amici, non dovete aver paura di sognare ad occhi aperti grandi progetti di bene e non dovete lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà. Cristo ha fiducia in voi e desidera che possiate realizzare ogni vostro più nobile e alto sogno di autentica felicità. Niente è impossibile per chi si fida di Dio e si affida a lui. Guardate alla giovane Maria! L’angelo le prospettò qualcosa di veramente inconcepibile: partecipare nel modo più coinvolgente possibile al più grandioso dei piani di Dio, la salvezza dell’umanità. Dinanzi a tale proposta Maria rimase turbata, avvertendo tutta la piccolezza del suo essere di fronte all’onnipotenza di Dio; e si domandò: com’è possibile, perché proprio io? Disposta però a compiere la volontà divina, pronunciò prontamente il suo 'sì', che cambiò la sua vita e la storia dell’umanità intera. È grazie al suo 'sì' che anche noi ci ritroviamo qui stasera».
 
 
L’umiltà: sempre vincente
 
Chi dei giovani e degli adulti si è accostato a una delle otto fontane di luce predisposte nella piana di Montorso ha sperimentato che la presenza di Maria era in ciascuna di esse: nell’ascolto, nel perdono e in tutte le “acque zampillanti” che non hanno cessato di dissetare per tutta la notte. Se si entrava tristi e pieni di sé in una di esse, se ne usciva realisti e umili. Calamitato dall’amore per la vergine lauretana e dalla presenza della Santa Casa di Nazaret (visitata più volte anche da cardinale), il papa ha posto al collo dei giovani e nei braccialetti la preziosa perla dell’umiltà. «Gesù ha una predilezione per i giovani – ha detto il pontefice –, ne rispetta la libertà, ma non si stanca mai di proporre loro mete più alte per la vita: la novità del Vangelo e la bellezza di una condotta santa. Ancora oggi Dio cerca cuori giovani».
Da qui l’invito ad essere santi sull’esempio di Maria: «Umiltà, via maestra, non solo virtù umana, ma modo di agire di Dio stesso che guardando l’umiltà della Vergine, rese in lei possibile l’impossibile». E questo anche se «l’umile è percepito come un rinunciatario, uno sconfitto». Quindi, un appello ai giovani ad andare controcorrente e a non ascoltare le voci «interessate e suadenti che oggi da molte parti propagandano modelli di vita improntati all’arroganza e alla violenza, alla prepotenza e al successo ad ogni costo, all’apparire e all’avere, a scapito dell’essere».
L’umiltà per i giovani, pertanto, non sarà solo un “come dover essere”, ma come declinare questo termine poco in uso nella vita quotidiana. L’indicazione del papa non tarda ad arrivare nell’omelia di domenica mattina: «Non abbiate paura, cari amici, di preferire le vie “alternative” indicate dall’amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale; relazioni affettive, sincere e pure; un impegno onesto nello studio e nel lavoro; l’interesse profondo per il bene comune. I lontani dalla mentalità del Vangelo – ha spiegato Benedetto XVI – hanno bisogno di vedere qualcuno che osi vivere secondo la pienezza di umanità manifestata da Gesù Cristo».
È il vangelo della 22ª domenica del tempo ordinario ad offrire al papa lo spunto per parlare ai giovani di umiltà: questa non è quel dover abbassare la testa per subire in forma eroica nel nome cristiano. È l’esatto suo contrario: i martiri, per esempio, indicano che si è chiamati a giocarsi la vita non per se stessi, ma per amore del «Cristo che non toglie nulla, ma dona tutto». L’umiltà, quindi, intesa come un educare le giovani generazioni ad amare i valori del bene e del bello, per andarne fieri non come pura apparenza, ma quale gioia di appartenere a Dio.
Per dare un volto all’umiltà, il papa ha indicato come esempio alcuni santi giovani, quali «Francesco d’Assisi, Gemma Galgani, Gabriele dell’Addolorata, Maria Goretti e santi anonimi, ma che non sono anonimi per Dio. Così, si edifica la città di Dio con gli uomini, una città che contemporaneamente cresce dalla terra e scende dal cielo, perché si sviluppa nell’incontro e nella collaborazione tra gli uomini e Dio».
 
 
Prospettive per il “dopo-Agorà”
 
Lo scrivevamo a suo tempo per il convegno nazionale ecclesiale di Verona e lo ribadiamo anche per Loreto: se esiste un “dopo-Agorà” è solo per indicare i passi necessari da fare e le prospettive che dal primo anno del triennio scaturiscono per il presente e per il prossimo futuro. Il “dopo-Agorà” non come momento da archiviare, ma come tempo di impegno e di lavoro nelle singole parrocchie e nelle realtà associative.
Proponiamo alcuni possibili passi e chiare prospettive:
a) «Non si può essere discepoli di Gesù se non si ama e non si segue la sua chiesa, nostra famiglia» ha detto il papa ai giovani. La storia di ogni comunità cristiana trova il suo senso nel grande alveo di storia della chiesa entro la quale essa è nata, vive e matura, come ogni sacerdote sperimenta la pienezza del ministero nel presbiterio e nella comunione con il vescovo. L’Agorà chiede di coltivare costantemente la comunione, spendendosi in prima persona con scelte concrete. I giorni dell’accoglienza dei pellegrini nelle diocesi hanno fatto sperimentare, non senza qualche sofferenza, la fatica di coniugare l’essere chiesa con il riferimento alla chiesa locale, nelle scelte e negli atteggiamenti di alcuni movimenti ecclesiali.
 
b) Un passo necessario per l’immediato futuro sarà quello di “ripensare la pastorale con lo stile della pastorale giovanile”, creando nella parrocchia delle relazioni meno formali, più immediate e dirette, e radicandosi sempre più nella tradizione della chiesa, senza aver timore di rinnovare con intelligenza e sapienza. «Il mondo – ha detto il papa a Montorso – deve essere cambiato, ma è proprio della missione della gioventù cambiarlo». Non solo, perciò, i giovani devono essere messi nella condizione di fare “missione”, come se fosse un loro settore, ma è una comunità tutta chiamata a ripensarsi in un’ottica di missione e a scegliere uno stile di annuncio del Vangelo, partendo dal vissuto della gente. Non dimentichiamo che sul palco di Montorso sono riecheggiate parole come carcere, anoressia, affido familiare, gravidanze giovanili, fatica del lavoro, delinquenza. Se queste realtà non entrano nell’agenda di un consiglio pastorale parrocchiale e vengono rimandate ai servizi sociali, si perderà un’occasione per stringere una mano che viene tesa.
 
c) Il mondo giovanile chiama in causa quello degli adulti. Quando le scelte degli adulti sono rimandate ricadono “a pioggia” sui giovani. L’Agorà indica inoltre che, tra le diverse priorità ecclesiali, la “pastorale vocazionale sta stretta dentro un settore” o se vista solo come un compito. La piazza dell’Agorà dice che ad aiutare a decidere un giovane per la vita presbiterale, contemplativa e missionaria sono e devono essere molteplici “figure” che operano insieme, sapendosi reciprocamente aiutare, consigliare, sostenere. L’Agorà fa rima con comunità diocesana, comunità parrocchiale e comunità familiare. Non si deve temere di intraprendere percorsi nuovi che nascono dalle esigenze delle nuove generazioni, mettendosi in loro ascolto e servizio, senza abdicare alla serietà, alla verità e al Vangelo.
 
d) Nella società civile non mancano occasioni dove si attacca la chiesa, il suo operato e il suo ruolo nella società. Loreto 2007 ha fatto parlare e farà parlare di sé. Ma una sola è la voce ad ergersi: quella dei giovani, che hanno voglia di esprimere la loro vita e il loro vissuto, specie quello ferito. La parrocchia, che fatica ad intercettare i giovani, impari a proprie spese ad essere porta aperta per ascoltare i “silenzi” dei giovani. Sono i “silenzi” della fatica a credere, a vivere l’amore secondo la proposta evangelica e a vedere che gli adulti sanno mettere mano al portafoglio per dare, ma non nel cuore per ascoltare. «Dobbiamo sopportare questo silenzio di Dio – ha evidenziato il papa – anche per poter capire i nostri fratelli che non conoscono Dio». Le mani dei giovani battono a molte porte. Rimarranno chiuse?
Giacomo Ruggeri
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