In questo mese speciale tutta la Chiesa si ferma nel porto sicuro della riflessione per sensibilizzarci al tema della missione! Oggi riflettiamo sul tema della prova.
Marco 10,28-31
Pietro allora gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva gia al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna. E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi».
Signore, tendi l'orecchio, rispondimi,
perché io sono povero e infelice.
Custodiscimi perché sono fedele;
tu, Dio mio, salva il tuo servo, che in te spera.
Pietà di me, Signore,
a te grido tutto il giorno.
Rallegra la vita del tuo servo,
perché a te, Signore, innalzo l'anima mia.
Tu sei buono, Signore, e perdoni,
sei pieno di misericordia con chi ti invoca.
Porgi l'orecchio, Signore, alla mia preghiera
e sii attento alla voce della mia supplica.
Nel giorno dell'angoscia alzo a te il mio grido
e tu mi esaudirai.
Ti loderò, Signore, Dio mio, con tutto il cuore
e darò gloria al tuo nome sempre,
perché grande con me è la tua misericordia:
dal profondo degli inferi mi hai strappato.
Mio Dio, mi assalgono gli arroganti,
una schiera di violenti attenta alla mia vita,
non pongono te davanti ai loro occhi.
Ma tu, Signore, Dio di pietà, compassionevole,
lento all'ira e pieno di amore, Dio fedele,
volgiti a me e abbi misericordia:
dona al tuo servo la tua forza,
salva il figlio della tua ancella.
Dammi un segno di benevolenza;
vedano e siano confusi i miei nemici,
perché tu, Signore, mi hai soccorso e
consolato.
“Ho riscoperto il Vangelo sotto una nuova luce. Ho scoperto che non ero una cristiana autentica perché non lo vivevo sino in fondo. Ora voglio fare di questo magnifico libro il mio unico scopo. Non voglio e non posso rimanere analfabeta di un così straordinario messaggio. Come per me è facile imparare l’alfabeto, così deve essere anche vivere il Vangelo.”
“la malattia è arrivata al momento giusto, perché stavo per ‘perdermi’: non cose grosse, ma comunque il mio credere stava passando in secondo piano... voi però oggi non potete nemmeno immaginare qual è il mio rapporto con Dio!”.
«Amare, amare sempre, amare tutti. Alla fine di ogni giornata poter dire: “Ho sempre Amato”».
«La prima condizione per superare la prova è la vigilanza. Si tratta di rendersi conto che sono prove permesse da Dio non già perché ci scoraggiamo, ma perché, superandole, maturiamo spiritualmente»
«Gesù ha permesso questa prova, ma è merito suo se riesco ad accettarla... di mio c’è proprio poco».
«Bisogna avere il coraggio di mettere da parte ambizioni e progetti che distruggono il vero significato della vita, che è credere nell’amore di Dio e basta»,
“Quando morirò, non versate lacrime per me. Io vado da Gesù. Al mio funerale non voglio gente che pianga, ma che canti forte...”.
“I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, però vorrei passare loro la fiaccola come alle Olimpiadi. I giovani hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene.”
«Sono uscita dalla vostra vita in un attimo. Oh, come avrei voluto fermare quel treno in corsa che m’allontanava sempre più! Ma ancora non capivo. Ero ancora troppo assorbita da tante ambizioni, progetti e chissà cosa, che ora mi sembrano così insignificanti, futili e passeggeri.
Un altro mondo m’attendeva, e non mi restava altro che abbandonarmi. Ma ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela....
Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io».
(dal Testamento di Chiara ai genitori)
Chiara Luce Badano nasce a Sassello il 29 ottobre 1971. Volitiva, tenace, altruista, di lineamenti fini, snella, grandi occhi limpidi, sorriso aperto, ama la neve e il mare, pratica molti sport. Ha un debole per le persone anziane che copre di attenzioni.
Dai suoi quaderni traspare la gioia e lo stupore nello scoprire la vita. Terminate le medie a Sassello si trasferisce a Savona dove frequenta il liceo classico. A sedici anni, durante una partita a tennis, avverte i primi lancinanti dolori ad una spalla e la diagnosi: osteosarcoma. Inutili interventi alla spina dorsale, chemioterapia, spasmi, paralisi alle gambe. Rifiuta la morfina che le toglierebbe lucidità. Si informa di tutto, non perde mai il suo abituale sorriso. Alcuni medici, non praticanti, si riavvicinano a Dio. La sua cameretta, in ospedale prima e a casa poi, diventa una piccola chiesa, luogo di incontro di tuti con Dio: "L’importante è fare la volontà di Dio...è stare al suo gioco...Un altro mondo mi attende...Mi sento avvolta in uno splendido disegno che, a poco a poco, mi si svela...Mi piaceva tanto andare in bicicletta e Dio mi ha tolto le gambe, ma mi ha dato le ali..."
Negli ultimi giorni, Chiara non riesce quasi più a parlare, ma vuole prepararsi all’incontro con ‘lo Sposo’ e si sceglie l’abito bianco, molto semplice, con una fascia rosa. Spiega anche alla mamma come dovrà essere pettinata e con quali fiori dovrà essere addobbata la chiesa; suggerisce i canti e le letture della Messa. Vuole che il rito sia una festa.
Le ultime sue parole: "Mamma sii felice, perché io lo sono. Ciao!".
Muore all’alba del 7 ottobre 1990.
Viene beatificata il 25 settembre 2010.
Mario Bordignon, salesiano coadiutore di 71 anni, vive da oltre trent’anni in mezzo agli indigeni bororo del Mato Grosso, in Brasile. Oltre all’evangelizzazione, il Salesiano è impegnato nel lavoro di preservazione della cultura locale, nel favorire il loro autosostentamento e nell’aiutarli a difendere i loro diritti contro chi vorrebbe calpestarli.
“Uno dei nostri compiti di missionari è difendere l’identità di un popolo. Da quando sono arrivato in Mato Grosso, negli anni Ottanta, l’attività che più mi ha impegnato è stata la creazione di una scuola differenziata che facesse conoscere la cultura nazionale senza perdere la ricchissima cultura bororo.
“La cosa più bella che ho fatto è stata di lasciarmi affiancare da un anziano molto competente, che è stato il mio padrino. Io imparavo da lui e facevo da ponte con i ragazzi a scuola. Poco per volta abbiamo realizzato una scuola bilingue interculturale, coinvolgendo anche gli anziani”.
Oggi la scuola è in mano ai Bororo: sono stati formati i maestri, che hanno fatto studi universitari. Inoltre “due miei allievi sono avvocati, il direttore della scuola è indigeno” dice con orgoglio il Salesiano.
Altri temi critici sono il sostentamento economico degli indigeni e il rispetto dei loro diritti. “Il consumismo è arrivato anche qui: i Bororo hanno sperimentato un passaggio brusco dall’economia tradizionale a quella occidentale, faticano a capirne a ad assimilarne i meccanismi. È facile comprare, ma senza comprendere il processo di produzione, spesso sono spaesati”.
Il sig. Bordignon e gli altri Salesiani nelle missioni accompagnano i Bororo nella demarcazione delle loro terre ma, i ricchi proprietari terrieri, le hanno occupate. I Bororo devono recuperare le loro terre. Le uniche terre con un po’ di vegetazione in Brasile sono quelle indigene, quindi delimitarle è un bene non solo per gli indigeni, ma anche per tutta la nazione, perché sono un polmone verde importantissimo”.
Dopo oltre trent’anni in missione, il nostro salesiano Mario Bordignon può affermare: “I Bororo mi hanno insegnato tanto. Partecipando ai rituali del funerale bororo mi ha molto impressionato questo: tutto quello che apparteneva al defunto viene bruciato. Io, scandalizzato, ho chiesto perché e il mio padrino, sorpreso dalla mia domanda, mi ha risposto: ‘Quello che vale di una persona non sono le sue cose ma quello che ha dentro, la sua morale, la sua cultura, il suo sapere’. Sono rimasto zitto e ho imparato”.
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