Quale integrazione? Scuola sempre più multietnica Ma aumentano gli italo-stranie...

Il 55% è nato e cresciuto qui, parla senza problemi la nostra lingua e ha già fatto un cammino. Il 15% sono «neo-arrivati», che vengono iscritti nel corso dell'anno scolastico e costituiscono l'area più problematicaLa scommessa più importante è la proposta di valori, esperienze e regole a chi arriva portando a sua volta un patrimonio che può andare a beneficio di tutti.

Quale integrazione? Scuola sempre pi√π multietnica Ma aumentano gli italo-stranieri

da Attualità

del 14 settembre 2007

Se viene confermata la tendenza dell'ultimo triennio, che ha registrato una crescita di 70mila unità all'anno, gli studenti stranieri che in questi giorni entrano nelle scuole italiane sono 570mila. I più numerosi sono gli albanesi - 78mila, il 15% della popolazione straniera -, i romeni (68mila) quelli che registrano la maggiore crescita rispetto all'anno scorso: più 29%, anche per effetto della libera circolazione derivante dall'ingresso nella Ue. Gli stranieri rappresentano ormai il 5,6% della popolazione scolastica, sono presenti nei due terzi degli istituti e la loro crescita compensa il calo degli italiani. Insomma, accade tra i banchi quello che accade nella composizione demografica della società. Dietro i grandi numeri c'è una realtà in trasformazione: aumentano gli «italo-stranieri», giovani nati e cresciuti in Italia, che rappresentano il 55% del totale: stranieri per la carta d'identità, ma che parlano senza problemi la nostra lingua e hanno già fatto un cammino, più o meno lungo, in quella che è ormai la loro terra. Ammonta invece al 15% la quota dei «neoarrivati», quelli che vengono iscritti nel corso dell'anno scolastico e costituiscono l'area più problematica. È tra i banchi che si gioca la sfida più importante: la costruzione di un'integrazione autentica, che rifiuti le sirene di un multiculturalismo minimalista e sia capace di proporre tradizioni, valori, esperienze e regole a chi arriva da lontano portando a sua volta un patrimonio che può andare a beneficio della società ospitante. Per questo serve una dinamica educativa nel segno dell'«identità arricchita», dove l'«io» e il «tu» possano arrivare a considerarsi come un «noi».

In questi giorni si moltiplicano gli allarmi e le lamentele: mancano gli insegnanti specializzati - quelli che in burocratese vengono chiamati «facilitatori linguistici» -, mancano i laboratori, manca questo e manca quello. Il ministero dell'Istruzione, quello della Solidarietà sociale e gli enti locali (referenti per le politiche del diritto allo studio) fanno i conti con i tagli da apportare ai rispettivi bilanci e hanno ridotto risorse che certamente dovrebbero essere più significative. Si ha tuttavia l'impressione che ci sia anche chi vuole sollevare il tradizionale polverone d'inizio d'anno per rilanciare una conflittualità che alla scuola fa più male che bene. I problemi non mancano, inutile minimizzare. Ma in questi anni c'è chi ha maturato sul campo una competenza e una progettualità che permettono di rispondere alle domande poste dalla presenza degli stranieri, come dimostrano le esperienze che presentiamo in questa pagina e le altre che racconteremo nei prossimi giorni. Le cosiddette «buone pratiche».

Luzzara (RE): è uno dei comuni con la più alta quota di immigrati, il 15%. All'istituto comprensivo, frequentato da 780 studenti, il 36% sono stranieri: 16 nazionalità, in prevalenza indiani e pakistani, poi albanesi, marocchini e senegalesi. «Eppure non abbiamo grossi problemi di convivenza, si riesce a fare un buon lavoro educativo e a spingere sul pedale dell'integrazione in maniera soddisfacente - spiega il dirigente scolastico Roberto Ferrari -. I problemi, più che a scuola, sono in città: in alcune zone la geografia umana si è rivoluzionata, e c'è chi ha paura a uscire la sera». Con l'aumento degli studenti stranieri sono aumentati anche gli aiuti arrivati dalla direzione scolastica provinciale, che ha mandato personale aggiuntivo per la mediazione culturale e i laboratori linguistici. Certo, bisogna stare attenti a non superare i livelli di guardia: lì vicino, a Villarotta, c'è una scuola per l'infanzia dove 9 su 10 sono stranieri, e molti genitori italiani hanno iscritto i figli altrove. «La preoccupazione, condivisibile, è che per aiutare gli immigrati si finisca col discriminare gli italiani - commenta Ferrari -. Ma da noi questo rischio non si corre. Anzi , alle prove di valutazione dell'Invalsi per italiano, matematica e scienze, i ragazzi hanno riportato ottimi risultati. Non c'è stato il calo dei livelli di apprendimento che alcuni temevano, e questa è la garanzia che chiedono tutte le famiglie, italiane e straniere».

Palermo: «Qui sono il 20 per cento degli iscritti. Ma a volte i numeri non aiutano a capire la realtà. Molti dei miei alunni stranieri, in realtà sono palermitani». Palermitani? La provocazione di Giuseppe Olivigni - dirigente dell'istituto comprensivo Federico II a Borgovecchio, un quartiere nel centro del capoluogo siciliano dove il degrado e la dispersione scolastica stanno di casa - svela una realtà di cui poco si parla sui giornali. «Si lanciano allarmi sull'aumento degli studenti stranieri, ma ci si dimentica di raccontare che molti di loro sono nati e cresciuti in Italia, conoscono la nostra lingua e persino il dialetto, non è gente sbarcata ieri sulle nostre coste. Ci vorrebbe più senso della realtà, anche da parte dei media a caccia di sensazionalismo». Olivigni dirige la scuola dal 1992 e ogni giorno si misura con i problemi di un quartiere ad alto rischio, ma è animato da un invincibile spirito costruttivo. E non disdegna la parola che oggi molti vogliono cancellare: si sente un missionario dell'educazione. Fa i conti con le difficoltà economiche delle famiglie che sono all'origine di tanti abbandoni, con i ragazzi che saltano le lezioni perché devono aiutare i genitori alla bancarella del mercato o con le ragazze che stanno a casa per accudire i fratelli più piccoli perché la mamma lavora e il padre è in carcere. «Le risorse per gli stranieri? Poche e comunque insufficienti, ma dov'è la novità? Riceviamo 2000 euro all'anno come 'area a forte processo immigratorio'. Ci arrangiamo come possiamo: collaborando con la facoltà di scienze della formazione che invia studenti per fare stage ed esperienze come tutor, oppure attivando convenzioni con mediatori cul turali. Piccoli contributi arrivano dalla Provincia: briciole, ma mettendole insieme si fa il panino».Al primo posto nel lavoro degli insegnanti, spiega questo dirigente che nel tempo è riuscito a far scendere i livelli di dispersione e a costruire un piccolo modello di integrazione, ci dev'essere la capacità di valorizzare le risorse umane dei ragazzi, la loro storia, la tradizione di cui sono eredi. Senza peraltro cedere alla tentazione del buonismo: «La nostra scuola deve accogliere tutti, ma le nostre tradizioni e le leggi che governano l'Italia non sono assolutamente in discussione. Mica possiamo fare la scuola filoaraba o filocinese per facilitare l'integrazione: sarebbe un malinteso senso di accoglienza, e ci rimetteremmo tutti».

Giorgio Paolucci

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