Dalla maturità esci con un numero che ti misura. Tu sei quel numero, che ti resterà appiccicato addosso per tutta la vita, da ingrandire o nascondere nel curriculum. Quel numero può esaltare l'autostima di un giovane ma anche mortificarla. A volte con somma ingiustizia. Che cos'è la maturità? Che cosa significa essere 'maturi'?
del 01 febbraio 2011
 
           Adesso che sanno le materie, la lunghissima notte prima degli esami è cominciata. Nessun dorma.           Gli over 60 si risparmino i consueti commenti acidi e saccenti: ai miei tempi sì la maturità era dura, durissima, si studiava 25 ore al giorno. E gli under 60 si risparmino i sospiri di vano sollievo: per fortuna la nostra maturità – due scritti, appena due orali su quattro possibili – era davvero tenera e mite. Maturity is maturity, se ci passate il maccheronic inglisc. È la Prima Grande Prova, il collo di bottiglia da cui transitare per pesare il proprio valore.          Dalla maturità esci con un numero che ti misura. Tu sei quel numero, che ti resterà appiccicato addosso per tutta la vita, da ingrandire o nascondere nel curriculum.
           Quel numero può esaltare l’autostima di un giovane ma anche mortificarla. A volte con somma ingiustizia. Che cos’è infatti la maturità? Che cosa significa essere 'maturi'? E perché tanti, troppi di noi precipitano nell’incubo ricorrente di dover rifare la maturità, retrocessi da adulti all’ultimo anno di liceo con voragini paurose in greco o in fisica, svegliandosi sudati con il pensiero fisso: come potrò farcela? Si accorgeranno che non so niente, che sono un bluff... come lo dirò a mia moglie, a mio marito, ai miei figli?
          Maturo... Maturo per che cosa? Per bussare al mondo adulto? E quale mondo adulto, quello del successo fatto di scorciatoie e conquista della scena pubblica? Sarebbe bello, davvero bello che 'maturo' significasse: questo ragazzo, questa ragazza hanno compiuto per cinque lunghi, preziosi anni un percorso culturale, educativo e umano unico, come uniche sono le loro persone. Chissà perché, l’offerta formativa parla di sviluppo delle competenze ma non di valorizzazione di ciò che lo studente veramente è. Le competenze sono necessarie. Ma è giusto che il proprio valore coincida con le competenze più o meno acquisite, per merito o demerito dello studente, più o meno bravo, o degli insegnanti, pure loro più o meno bravi? Il voto cerca di misurare le competenze.
          Ma il valore è qualcosa di molto più complesso... Fuori, poi, il mondo degli adulti si divide tra visibili e invisibili. I primi di autostima, apparentemente, ne hanno da vendere. Autostima... spesso è banale spacconeria. Chi si ficca dentro il Grande Fratello, per dire, di sicuro non si sottostima. I secondi spesso valgono molto, moltissimo. Ma non lo sanno o sono 'addestrati' a ignorarlo. Bersagliati per anni da frasi del tipo: «Hai fatto bene, ma potevi fare molto meglio», sono indotti a convincersi che mai saranno all’altezza delle aspettative del mondo; come Achille, per quanto forte correranno, mai raggiungeranno la tartaruga, come Zenone insegnava con tutt’altri intenti.
          Chi vale poco o niente, ma eccede in autostima, farà di tutto affinché chi vale non possieda autostima alcuna. Bulletti televisivi, politici inodori e insapori, leader attorniati da grigi yesman, professori frustrati che temono i loro studenti con le loro attese e le loro domande... Ragazzi, togliete la maschera a tutti costoro, alla maturità mostrate quel che siete e non soltanto quel che avete ingurgitato a memoria.
E dopo la notte prima degli esami lunga quattro mesi, uscite all’alba a testa alta.
Umberto Folena
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