Quei cristiani vittime e carnefici

Che senso hanno i temi del Sinodo per una regione in conflitto come quella dei Grandi Laghi? Il punto di vista di un gesuita che su quei problemi lavora concretamente da molti anni. Considerato a partire dall'Africa centrale il tema del Sinodo africano è carico di speranza nella misura in cui dà l'opportunità ai padri sinodali di guardare...

Quei cristiani vittime e carnefici

da Attualità

del 30 settembre 2009

Che senso hanno i temi del Sinodo per una regione in conflitto come quella dei Grandi Laghi? Il punto di vista di un gesuita che su quei problemi lavora concretamente da molti anni.

 

Considerato a partire dall'Africa centrale il tema del Sinodo africano è carico di speranza nella misura in cui dà l'opportunità ai padri sinodali di guardare con coraggio, franchezza, libertà e determinazione alla situazione di conflitto di cui soffre questa regione del continente.

 

Non lo diremo mai abbastanza: l'Africa dei Grandi Laghi ha conosciuto in questi ultimi quindici anni una situazione di instabilità che interpella le coscienze e pone alcune questioni fondamentali alla Chiesa e ai cristiani.

 

Il Burundi è stato attraversato da conflitti politici che sono poi degenerati in scontri interetnici, culminati, nel 1993, con l'assassinio del primo presidente eletto. Le violenze che hanno preceduto e seguito questo avvenimento hanno falciato le vite di centinaia di migliaia di persone.

 

 L'anno seguente, il 1994, il Ruanda ha dovuto far fronte a un genocidio, la cui brutalità e crudeltà hanno lasciato un segno nefasto in tutta la regione, con conseguenze che si vedono ancora oggi. Una tragedia che ha causato più di 800 mila morti e provocato un esodo di proporzioni bibliche: più di 2 milioni di persone in un Paese con 8 milioni di abitanti. Il prolungarsi di questi conflitti - a cui va aggiunto quello dell'Uganda - è diventato un elemento determinante del perpetuarsi della guerra in Repubblica Democratica del Congo e dell'ecatombe, in termini di morti - più di 4 milioni - che ne è seguita. L'enormità del numero di morti paralizza l'immaginazione e invoca giustizia, come condizione indispensabile per la riconciliazione e una pace duratura nella regione.

 

Questo quadro contrasta evidentemente con un'altra considerazione, ovvero il fatto che i Grandi Laghi sono una regione abitata prevalentemente da cristiani, che rappresentano più dell'85 per cento della popolazione. Questo dato interpella molti. Come si spiega che una regione con una così alta presenza di cristiani si sia distinta per comportamenti tanto orribili e deplorevoli?

 

È legittimo porsi questa domanda anche alla vigilia del Sinodo della Chiesa africana, che insisterà proprio sui temi della riconciliazione, della giustizia e della pace. Infatti, una delle caratteristiche dei conflitti che hanno devastato l'Africa centrale è la sua componente «etnica», che ha riguardato soprattutto i gruppi hutu e tutsi, con un tale carico emotivo di odio che spesso i cristiani si sono affrontati gli uni contro gli altri. Oggi, dunque, è dovere dei pastori di questa regione in particolare e di tutta la Chiesa africana in generale valutare senza paura e con franchezza il livello di conversione dei loro fedeli nei confronti delle bistrattate figure dell'amore, del perdono e della solidarietà che alcuni di loro hanno manifestato pubblicamente nella regione dei Grandi Laghi.

 

Fondamentalmente i vescovi dovranno rispondere alle seguenti domande: la fede in Gesù Cristo è uno strumento efficace e sufficiente per prevenire i conflitti e promuovere la pace? Si può sperare di ricostruire la vita in comune, fondandosi sui valori evangelici dell'amore e della solidarietà? Quale relazione c'è tra la fede e la necessità del perdono e della riconciliazione con Dio e con la comunità?

 

Per preparare il Sinodo a rispondere efficacemente a queste domande, sarebbe stato importante a livello delle Conferenze episcopali di questa regione adottare una metodologia partecipativa, che avrebbe permesso ai cristiani stessi di valutare il loro rapporto tra «essere cristiano ed essere membro di un gruppo etnico». Concretamente, i vescovi dovrebbero aiutare i loro fedeli a scegliere tra «essere al servizio della famiglia, del clan e dell'etnia o essere testimoni del Vangelo, dell'amore, del perdono, della riconciliazione e della pace».

 

In effetti, anche nel bel mezzo della tragedia, le Chiese di questa regione sono rimaste piene di fedeli ogni domenica, la liturgia era viva e i sacramenti celebrati con devozione, come se non ci fosse un legame tra la religione e la vita concreta. La preparazione del Sinodo avrebbe dovuto rappresentare l'occasione, per i cristiani di questa regione, di interrogarsi sull'autenticità della loro fede, in particolare in relazione al male che alcuni di loro hanno commesso gli uni contro gli altri.

 

Alla vigilia del Sinodo, tuttavia, constatiamo con rammarico che questo lavoro non è stato sufficientemente fatto. D'altra parte, per una regione che ha conosciuto tanta sofferenza sarebbe stato necessario che i pastori avessero iniziato una riflessione profonda, illuminata dalla luce del Vangelo, sulle ragioni che stanno alla base di questo vasto disastro umano. Dando uno sguardo ai discorsi dell'episcopato che si sono susseguiti in questi ultimi dieci anni, vediamo che questo sforzo non è stato adeguatamente compiuto.

 

Per quanto riguarda la Chiesa del Ruanda, ad esempio, ha sopportato stoicamente la persecuzione dal 1994 a oggi, lasciandosi trattare essa stessa come complice del genocidio, senza sviluppare i mezzi necessari ed efficaci per arrestare la deriva del potere che diventava ogni giorno sempre più autoritario. Questo potere non ha cessato di confondere i difetti individuali, assolutamente da condannare e punire, con il ruolo di un'istituzione che ha un compito insostituibile nello sforzo di riconciliazione e pace. Un'istituzione di cui nessuno Stato della regione potrebbe sottostimare la credibilità e la qualità del suo servizio alle comunità, soprattutto ai più poveri e marginalizzati.

 

In R.D. Congo, la Chiesa ha alzato il tono attraverso decine di lettere pastorali, veri e propri atti d'accusa nei confronti dei pubblici poteri, senza tuttavia passare dalla parola all'azione. Questa debolezza, che consiste nel denunciare senza elaborare alternative funzionali, ha fatto sì che la classe dirigente diventasse indifferente agli stessi messaggi lanciati a ripetizione, e semplicemente li ignorasse. E così ogni lettera pastorale ottiene lo stesso risultato dell'acqua che si versa su un'anatra, per usare una nostra espressione.

 

Va aggiunto, inoltre, che i padri sinodali non sono necessariamente coloro che in passato si sono interessati alle questioni di giustizia e pace. Molti potranno contare solo sulla saggezza legata alla loro funzione e alla missione di pastori a cui sono chiamati, ma non su una vera e propria competenza in questo ambito. Quello che speriamo, dunque, è che la partecipazione di alcuni vescovi, responsabili nei nostri Paesi o nella regione delle Com­missioni giustizia e pace, abbia una reale influenza sulle dinamiche del Sinodo, affinché la Chiesa d'Africa in generale e quella della regione dei Grandi Laghi in particolare siano realmente al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace.

 

 

 

Chi è

 

Padre Rigobert Minani Bihuzo (nella foto), gesuita congolese, ha studiato teologia in Canada e si è specializzato in Scienze politiche e sociali a Palermo. Esperto di geopolitica e membro del gruppo di implementazione degli accordi di pace di Goma, è animatore del Centre d'Etudes pour l'Action sociale (Capss), presidente del gruppo Geremia (difesa dei diritti umani) e coordinatore del Réseau d'organisation des droits humains et d'éducation civique d'inspiration chrétienne (Rodhecic), una rete di organizzazioni che lottano per la pace e la democrazia. Durante le elezioni del 2006 ha guidato il Cadre de Concertation de la Société Civile pour l'observation des élections (Cdce).

 

Di seguito il suo punto di vista sul Sinodo africano, a partire dalla sua esperienza di religioso impegnato direttamente nella difficile fase di consolidamento della pace in Congo, specialmente nelle regioni orientali.

 

Rigobert Minani Bihuzo

http://http://www.missionline.org/

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