E Giacomo pensa tra sé e sé che "ah la missionarietà, quanto è facile parlarne e quanta fatica nel metterla in pratica. Che poi alla fine ci troviamo di fronte alle solite persone che fanno tutto". Sapevano che in quel momento, in quell'incontro erano stati uomini, con il Vangelo in mano.
del 15 novembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
 Non fanno nulla. Sono tre, sono fratelli, e nessuno di loro studia o lavora.
Praticano l'ozio dalla mattina alla sera, forse la sera no, ma non è questo il momento di indugiare sulle legittime occasioni di svago di quando si hanno vent'anni e questa età non torna più, quindi si vive anche di notte.
Non è il momento e i sorrisi dei tre nascondono anche un certo imbarazzo, di cui non sembra curarsi il giovane don Samuele. Li avvicina, li saluta: 'E voi come vi chiamate?'
          È appena arrivato in questo oratorio della Piccola città, dove a metà pomeriggio si radunano le mamme che attendono i figli uscire dal catechismo, dove si fanno gli ultimi compiti di geografia sulle scale della cappella, dove c'è un viavai di facce note al posto che si chiamano per nome, si conoscono: l'educatore di un ragazzo disabile che lo rimprovera per la troppa esuberanza, il responsabile del teatro parrocchiale che entra tutto affrettato perché in ritardo a un appuntamento. E poi ci sono i quattro ragazzi che si mettono a conversare: 'Tu sei don?'
'Non ancora, lo divento a fine anno'.
'Io ho perso un anno di scuola e così non ci sono andata più'
'Cosa facevi?'
'La scuola da parrucchiera'.
'Io non trovo lavoro e me ne sto a casa. La sera? La sera nooo'.
'Anche io volevo fare il prete ma mio padre non ha voluto. È un mangiaprete' (e giù risate sonore e complici dei tre).
Non sono spavaldi, non mancano di rispetto. Si vede che non sono impegnati in questo ambiente, ma non sono 'stonati': lo abitano, di passaggio forse, ed è per questo che don Samuele ha deciso di mettersi in gioco parlando con loro.
'Certo, alle volte non sai che cosa dire', confessa all'amico Giacomo pochi minuti dopo averli salutati, mentre se ne stanno a fare chiacchiere a margine di una buona merenda.
'Sai che sono le prime persone, al di fuori da questo ambiente, con cui riesco a parlare da quando sono qui?'
          E Giacomo pensa tra sé e sé che 'ah la missionarietà, quanto è facile parlarne e quanta fatica nel metterla in pratica. Che poi alla fine ci troviamo di fronte alle solite persone che fanno tutto, coprono sempre le stesse proposte: educatori ed educati di sé stessi, arbitri e arbitrati finiscono per non vedere il mondo reale e non cercarlo più'.
'Cosa dovrei dire loro?', insiste don Samuele.
'Nulla - risponde allora Giacomo - nulla che non sia ispirato dalla Parola. Devi fare il prete e non l'amico. Giovane come loro, certo, ma con una scelta che non può essere evidente solo dalla camicia che porti. In fondo stai scegliendo di essere 'pastore'. E il pastore se sta in mezzo alle pecore finisce per puzzare come loro. Ma sa dove portarle. Conosce i pascoli migliori. E sa anche quando è il momento di allargare il gruppo'.
Si salutarono con una mano alzata don Samuele e Giacomo. Sapevano che in quel momento, in quell'incontro erano stati uomini, con il Vangelo in mano. Decisero che da quel giorno avrebbero pregato l'uno per l'altro. Erano uomini, erano amici.
Francesca Lozito
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