Quell'insopprimibile voglia di sposarsi

Addio Italia? Siamo davvero un Paese condannato all'estinzione?

Quell'insopprimibile voglia di sposarsi

 

Addio Italia. Siamo davvero un Paese condannato all’estinzione? Le statistiche sembrano non lasciare spazio alla speranza. Non solo siamo il Paese europeo con il più basso tasso di natalità (8 per mille), secondo i dati Eurostat diffusi venerdì. Ma siamo anche il Paese in cui entro il 2031 i matrimoni religiosi dovrebbero scomparire (dossier Censis). Secondo le previsioni statistiche condensate in uno studio intitolato "Non mi sposo più", entro il 2020 i matrimoni civili supereranno quelli religiosi – oggi già succede in alcune grandi città – e undici anni dopo le nozze all’altare potrebbero finire per diventare reperto storico.  Non finirà la voglia di progettare il futuro in coppia, ma – secondo quanto ipotizza il Censis – le relazioni tradizionali saranno sostituite dai nuovi modelli di convivenza. Difficile scorgere in queste previsioni statistiche – che in ogni caso previsioni rimangono – motivi per cui gioire. Anche le indagini sociologiche più laiche concordano sul fatto che relazioni meno stabili si traducono quasi sempre in un futuro più precario, responsabilità più effimere, impegno educativo più labile. Relazioni light insomma che finiranno per essere scompigliate dal primo soffio degli imprevisti e delle incomprensioni. E quando si disgrega la famiglia è l’intera società a subirne le conseguenze.

  Ma che questo esito dei rapporti familiari sia davvero ineluttabile è tutto da dimostrare.   

A mettere in dubbio i calcoli degli esperti non è soltanto il comune buon senso, che da sempre sa distinguere tra la verità dei numeri e quella della vita, ben più sfumata e meno inquadrabile in schemi così rigidi, ma anche analisi di altro tenore che parlano di un desiderio di famiglia e di natalità sempre vivo, del tutto opposto rispetto alle proiezioni nichiliste targate Censis. Basta scorrere per esempio i dati dell’ultimo rapporto Toniolo sui giovani in Italia per cogliere non pochi spunti di speranza e comunque per respirare un atteggiamento su matrimonio, famiglia e natalità che sembra contrastare con gli esiti nefasti del dossier diffuso qualche giorno fa.  Le aspettative di fecondità delle nuove generazioni – secondo le rilevazioni condotte nel settembre 2015 su un campione di 9.358 giovani tra i 18 e i 33 anni – includono una serie di domande dettagliate sui progetti familiari e sulle speranze di avere figli che evidenziano una netta frattura tra gli obiettivi rivelati e i tanti luoghi comuni sulla mancanza di progettualità delle generazioni più giovani.  «Oltre l’80 per cento degli uomini e delle donne – scrivono Emiliano Sironi e Alessandro Rosina che hanno curato questo capitolo del rapporto – vorrebbe una famiglia composta da due o più bambini. Tenendo conto di limiti e restrizioni, tale percentuale scende intorno al 60 per cento». Insomma, si sentono di concludere i ricercatori, se le giovani generazioni fossero messe nelle condizioni di realizzare i propri obiettivi su figli e matrimonio, attraverso adeguate politiche di sostegno per quanto riguarda il lavoro e l’accudimento dei figli, in Italia «non ci sarebbero problemi di bassa fecondità». A contrastare la facile obiezione secondo cui i figli possono nascere anche al di fuori del matrimonio e che i giovani ipotizzano in modo crescente il proprio futuro relazionale secondo schemi diversi rispetto a quelli della tradizione, concorre – sempre nell’ambito del rapporto Toniolo – il capitolo curato da Sara Alfieri ed Elena Marta che mette in luce il ruolo della famiglia d’origine nelle transizione all’età adulta in un confronto tra cinque Paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Gran Bretagna e Germania).  «I modelli a cui i giovani europei in maggioranza fanno riferimento – spiega Elena Marta, che è docente di sociologia di comunità all’Università Cattolica di Milano – sono quelli delle famiglie d’origine, che rimangono importanti punti di riferimento per le scelte fondamentali della vita, come il lavoro e il matrimonio».  Lo stereotipo del "no family" prevalente tra i giovani, a lungo propagandato da certa cultura, non si ritrova insomma nelle statistiche dell’Istituto Toniolo. «Anzi – fa notare ancora la docente – ci ha sorpreso il dato secondo cui l’atteggiamento dei giovani inglesi e tedeschi nei confronti della famiglia d’origine, sia molto più vicino ai nostri giovani di quanto si potrebbe immaginare».  Sullo sfondo rimane certo la complessità di una situazione fluttuante e difficilmente omologabile, quella dei giovani nel mondo globalizzato, che risulta improbabile illudersi di poter ingabbiare in rigide proiezioni statistiche. Almeno dal punto di vista sociologico, risulta infatti difficile cogliere elementi che possano fare pensare di tradurre questa varietà di tendenze e di auspici in un pronostico credibile sulla "fine del matrimonio". Anzi.

 

 

Luciano Moia

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