Qualcuno avrà pensato di certo: «Si può dare Gesù ad una come lei?»...
Due domeniche fa la messa delle ore 20 di una parrocchia del centro di Catania non è stata una tra le tante celebrazioni festive ed è un buon segno!
L’orario, come dice la gente che frequenta quella comunità, è comodo, poiché c’è più fresco e, prima o alla fine, si fa una passeggiata. Architettonicamente è molto bella e spesso vi fanno capolino i turisti, chiesa dalla quale partono i pellegrinaggi giubilari verso la vicina Cattedrale. Poco prima dell’inizio, un avvenimento scuote la pace dei presenti, cioè l’ingresso di una ragazza scalza, vestita nello stile “punkabbestia”, che si muove con passi poco stabili nella navata centrale, fermandosi ogni tanto in ginocchio e facendo il Segno della Croce lentamente ed in modo sbilenco.
Quanta tenerezza in quei gesti semplici! Chissà da quanto non si segnava così o forse quante volte l’avrà fatto nei momenti di bisogno ricordando gli insegnamenti di quand’era bambina. Non ci vuole molto a capire, dallo sguardo perso nel vuoto e dai movimenti non regolari, che naviga tra una dose appena fatta o la crisi di astinenza in arrivo oppure un mix di alcol e droga. Il sacrista, decisamente saggio, la lascia camminare e la osserva da lontano per non creare ulteriore agitazione tra i presenti.
Chi l’ha fatta entrare o cosa? Dalla strada, la via principale della città, quando la chiesa è aperta ed illuminata, sembra invitarti una bellissima icona della Madonna dell’Elemosina, la stessa rappresentazione simbolo del Giubileo della Misericordia. È un vero invito ad accedere e mi piace credere che lei l’abbia colto, riconoscendo in quell’immagine di Maria col Bambino Gesù qualcosa di familiare un tempo. Non un’opera d’arte, non un simbolo, ma due volti conosciuti quando era fanciulla in famiglia e probabilmente al catechismo.
La ragazza, ad un primo sguardo superficiale, per la carnagione ed il colore dei capelli, sembra straniera, ma quando ad un certo punto abbraccia la statua di Sant’Antonio sulla navata laterale dicendo “Beddu Signuri”, per i non siciliani più o meno “Signore bello” ma con molto più affetto, si capisce subito che non ha fatto molto chilometri. Qualcuno dietro di me, quasi sorridendo, dice: «Deve essere proprio fuori di testa per scambiare Sant’Antonio con Gesù»; non accorgendosi, però, - che Sant’Antonio porta in braccio Gesù come pochissimi altri Santi nell’iconografia usuale. Insomma, quella ragazza, non più che venticinquenne, ha visto bene e davvero “u Beddu Signuri” e, dopo l’abbraccio, sotto l’occhio vigile del buon sacrista, esce dalla chiesa, mentre la messa ha inizio.
Tutto procede come in ogni celebrazione fino all’omelia, quando, mentre l’ottimo sacerdote volge alla conclusione (è stata una bella ed intensa omelia), da fuori la nostra giovane amica grida (traduco direttamente): «Ma quando finisce, che io voglio prendermi l’ostia!». Rifletto tra me: «Quanto desiderio di Gesù, però, in quelle parole spontanee. Magari ne avessi un pizzico anch’io!». Molti, invece, si girano verso il fondo, stavolta con il volto disturbato e un vicino dice: «Possibile mai che in una parrocchia come questa avvengano tali cose? Non c’è nessuno che possa tenerla lontana? Cose da pazzi!». La ragazza entra di nuovo dopo un po’ e, prima che arrivi dondolante a metà navata, uno dell’assemblea scatta dal proprio posto per cercare di fermarla e, nel farlo, inciampa nella borsa della signora seduta accanto creando più rumore e facendo credere a qualcuno dei più lontani che “la giovane alternativa” avesse tentato di rubare la borsa. Invece, cerca di sedersi prima in un banco e poi in un altro, tra lo scansarsi – per la verità delicato e non plateale – di chi era già seduto là. Finalmente il momento della Comunione che tanto aveva desiderato e per il quale si mette in fila con gli altri dell’assemblea; cosa avrà fatto il sacerdote?
Qualcuno avrà pensato di certo: «Si può dare Gesù ad una come lei?». Io, invece, ho pensato: «Si può dare Gesù ad uno come me? Ad uno che è stato solo ad osservare, sì, facendosi toccare il cuore, ma senza neanche il coraggio di chiederle il nome?».
Marco Pappalardo
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