OMELIA A LORETO PER I GIOVANI DEL MGS ITALIA. «Il santo non è uno che vive fuori dalla realtà terrena, in una dimensione immateriale. Piuttosto egli prende su di sé, giorno per giorno, la volontà di Dio, fa¬≠cendo aderire ad essa tutta la propria vita.».
del 04 settembre 2007
Omelia a Loreto per i giovani del MGS Italia
1Ts 4:1-8; Sal 96; Mt 25:1-13
 
 
Carissimi giovani,
 
ci siamo recati alla Casa di Maria, la Casa della Madre di Gesù e madre nostra, dove tutto traspira un profondo senso del mistero di quanto qui è accaduto: l’Incarnazione del Figlio di Dio. Lo facciamo con un atteggiamento di gratitudine a Dio perchè ha voluto condividere fino in fondo la nostra natura e condizione umana in Gesù, perché ha fatto della sua carne umana sacramento di rivelazione dell’Amore di Dio nel suo corpo spezzato per noi e nel suo sangue versato per i nostri peccati e per la redenzione del Mondo. Gratitudine a Maria perché ha ascoltato a Dio e ha accolto con la mente, con il cuore e con il suo grembo la Parola di Dio, e perché ci ha accettati come figli suoi.
 
Qui, a casa sua, nella sua scuola, vogliamo appunto imparare a vivere nell’ascolto di Dio, saldamente incentrati su di Lui per una piena conformazione al Suo Figlio, facendo nostri il suo programma di santità e felicità nelle beatitudini e anche il suo cammino della croce per raggiungere la pienezza di vita.
 
La parola di Dio che abbiamo appena sentita ci parla della nostra vocazione alla santità e della forma di raggiungerla, vale a dire, la carità attenta, vigile ed operativa. E’ la Parola con cui Dio ci parla, oggi e qui, e non poteva essere più attuale.
 
Infatti, nella prima lettura, presa della 1ª Lettera ai Tessalonicesi, dopo aver ricordato il passato, ringraziando Dio per tutto quanto ha voluto operare nella comunità, ora Paolo guarda al futuro, ricorrendo soprattutto al linguaggio dell’esortazione.
 
La ‘santificazione’ di cui si parla in que­sto brano è precisamente il processo che ha come risultato finale la  ‘santificazione’ vera e propria. Ci troviamo cioè nella definizione di un’attività ancora in pieno svolgimento, in cui concor­rono da un lato l’impegno e la libera adesione del cre­dente e, dall’altro, l’opera dello Spirito Santo che inter­viene come plasmando la creatura a immagine di Dio. Tutto ciò avviene nel «corpo» dell’uomo, è iscritto nella sua carne, parla il linguaggio che gli appartiene sin dal­la creazione.
 
Il santo, dunque, non è uno che vive fuori dalla realtà terrena, in una dimensione immateriale. Piuttosto egli prende su di sé, giorno per giorno, la volontà di Dio, fa­cendo aderire ad essa tutta la propria vita. Il tema della ‘fornicazione’ riguarda tutto ciò che ha a che fare con le pas­sioni carnali in campo sessuale; si tratta perciò di qual­cosa di molto concreto su cui il cristiano è chiamato a fare una scelta che va controcorrente, secondo la menta­lità del tempo, e a custodire il corpo come un dono rice­vuto da Dio, preparandolo sin d’ora a ricevere in pienez­za lo Spirito Santo nella vita eterna.
 
Anche la parabola raccontata da Gesù nel Vangelo di Matteo si svolge attorno al tema della vigilanza, com’è confermato dal richiamo finale: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora». Essa, tuttavia, nel suo procedimento narrativo, contiene delle particolarità che la rendono unica.
 
Anzitutto lo scenario nuziale: la festa per eccellenza, nell’Oriente antico, è quella che si celebra in occasione delle nozze, quando ogni cosa deve concorrere a comuni­care il linguaggio della gioia e della vita. Il banchetto, le luci, gli abiti, la musica, le danze e, non ultimo, il corteo nuziale che accompagna lo sposo lungo la strada: tutto è a servizio degli sposi, per il loro onore. Sappiamo dal vangelo che la mancanza di vino (cfr. l’episodio delle nozze di Cana: Gv 2,1ss.) poteva rappresentare un gra­ve motivo di vergogna e di biasimo per la famiglia appe­na costituita, come a dire che essa non era in grado di occupare il posto assegnatole nella comunità.
 
Normalmente, poteva accadere che lo sposo tardasse anche di molto. Per come vanno le cose in queste occa­sioni in Oriente non è possibile prevedere con certezza un tempo per la venuta, perciò era giustificabile l’asso­pirsi dopo ore e ore di attesa sulla strada, ma il fuoco delle lampade doveva essere tenuto acceso per andare incontro allo sposo in qualunque momento la sua pre­senza fosse segnalata. Soltanto le fanciulle previdenti saranno pronte al momento opportuno, mentre le altre, vedendo languire la luce delle loro lampade, non po­tranno far altro che andare alla ricerca di nuovo olio, in un ultimo disperato tentativo... ma inutilmente!
 
Giunge lo sposo, si forma il corteo, entra al banchetto, la porta si chiude. Il pianto delle uniche escluse ottiene come risposta un «Non vi conosco», espressione che sottolinea la distanza, l’interruzione dei rapporti, la non comunione tra esse e lo sposo. Il messaggio è chiaro, a niente serve nemmeno la verginità come segno di donazione totale se non esiste l’amore.
 
Quello che viene messo in gioco in una cerimonia nu­ziale è in qualche modo l’equilibrio di una intera società, la società tradizionale, con la sua divisione e il ri­spetto di ruoli assegnati da sempre. Ecco perché le fan­ciulle del corteo nuziale che ebbero dimenticato l’olio di scorta per le lanterne sono dette «stolte»: hanno dimen­ticato la posta in gioco, hanno disprezzato il senso della attesa e dello stare insieme!
 
Anche per il cristiano è forte il rischio di perdere di vista la meta, lo scopo del cammino: la ricerca affannosa del successo, le cose da possedere, passioni da soddisfa­re, tutto ciò che attrae la «nostra carne» ci distrae e ci induce in un sonno profondo dell’anima. Abbiamo di­menticato che la vita è attesa, che dobbiamo vegliare sulle nostre lampade, perché la posta in gioco è la nostra santificazione, la sal­vezza definitiva. Dimenticarlo significa disprezzare Dio stesso (cfr. 1 Ts 4,8).
 
Con lo spirito siamo chiamati a individuare la meta: Gesù. Con la mente siamo chiamati a prevedere il necessario per l’atte­sa, ovvero l’olio ardente dell’amore. Con il corpo siamo chiamati ad attua­re nel presente la vigilanza, nella rinuncia a gesti, paro­le, immagini che ci fanno dimenticare chi siamo, dove stiamo andando. La santità è vivere il momento presen­te come se fosse l’ultimo, l’attimo in cui lo sposo arri­verà. E’ andargli incontro, in una corsa che dura tutta la vita.
 
Ecco la santità cui siamo chiamati! Ecco la missione affidata ai giovani da Giovanni Paolo II d’essere i santi del nuovo millennio! Ecco quanto siamo chiamati a dare come contributo il più prezioso a questa Italia e a questa Europa.
 
Preghiamo Maria, ci ottenga la grazia di saper essere pronti per il Signore, come fanciul­le che aspettano di partecipare alla festa della loro vita. Nessuno di noi vuole mancare all’appuntamento.
 
Maria, madre e maestra nostra, insegnaci ad essere vigilanti, all’ascolto dello Sposo che viene, a sperare e ad attenderlo, con le lampade accese e i vasi pieni di olio.
  
Don Pascual Ch√°vez Villanueva, SDB
Loreto – Agorà del MGS Italia 2007
don Pascual Ch√°vez Villanueva
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