“Io accolgo te”. Questo è il matrimonio, un uomo e una donna che si prendono e si danno reciprocamente e integralmente...
del 19 febbraio 2017
“Io accolgo te”. Questo è il matrimonio, un uomo e una donna che si prendono e si danno reciprocamente e integralmente...
Ho tolto la cravatta, riappeso alla gruccia l’abito elegante, la maglietta ha preso il posto della camicia bianca, le scarpe nere allacciate sono di nuovo nella scatola ed ora che indosso quelle da tennis e i jeans mi tornano in mente le immagini di questa giornata: Cristiano e Anna si sono sposati. Il pranzo è stato un trionfo ininterrotto di squisitezze, i due sposi non sono ricchi, ma questo non ha impedito loro di volere fare le cose per bene per fare sì che i parenti e gli amici fossero accolti nel migliore dei modi. Non è però a questo che va il ricordo. Una chiesina in pietra in un borgo antico dell’Italia centrale, dove tutti si conoscono e tutti si salutano dicendosi una buona parola. La chiesina dove la sposa è stata battezzata, dove si sono sposati i suoi genitori, dove la storia di una famiglia semplice dell’Italia, di quelle che senza fare rumore reggono ancora il tessuto di questa nostra magnifica terra, ha visto scandire le ore della propria fede. E dentro la chiesa addobbata a festa un uomo e una donna con testimoni che davanti al sacerdote hanno detto le parole che quindici anni fa anch’io pronunciai: “io accolgo te”. Questo è il matrimonio, un uomo e una donna che si prendono e si danno reciprocamente e integralmente, cioè con tutti i propri valori: spirituali, intellettuali, corporali. È questo che fonda la generazione umana e rende possibile che il mondo esista con un futuro.
Questo è il matrimonio, accogliere l’altra così come è, non come uno vorrebbe che fosse o diventasse, senza averle nascosto come siamo noi. Ma nella chiesetta si è appena celebrato un matrimonio cristiano, anzi, dico meglio, un matrimonio cattolico. Nelle parole del patto Cristiano ed Anna hanno dichiarato di darsi e accogliersi integralmente, cosa che necessita la esclusività, di farlo tutti i giorni della loro vita, amandosi. Un fuoco che arde, che fa palpitare il cuore, è questo l’amore tra gli sposi che ho ascoltato nel Cantico dei Cantici, immagine dell’amore appassionato di Dio per la Chiesa, “il mio diletto è per me è io per lui”, vivere per l’altro, non essere più solo un io, ma sempre anche un noi.
Amore, una parola oggi così abusata da risultare un guscio vuoto, scriveva Benedetto XVI, eppure essa ancora oggi per chi ha orecchie ha un significato preciso. Lo ha ricordato ai presenti le parole della prima lettera di San Paolo ai Corinzi. Nell’inno alla carità ci scrive che l’amore non è un fare, ma un essere che zampilla da tutti i pori di chi ama: pazienza, benevolenza, umiltà, rispetto, perdono, sempre rimanendo nella verità; “tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. Già, sopportarsi, una parola divenuta quasi oscena nella società drogata di superbia satanica, che vede nel mettersi sotto all’altra persona per sostenerla un intollerabile affronto all’altezza dell’individuo. La lettura terminava con le parole “La carità non verrà mai meno”, ricordandoci che amare non tollera la provvisorietà.
Cristiano e Anna hanno scelto la porta stretta, parendo loro che l’altra, così tanto reclamizzata, sponsorizzata e diffusamente smerciata dai maîtres à penser, non fosse degna della loro natura. Nella chiesetta è stato celebrato un sacramento. A Dio è piaciuto quel patto ed amando l’uomo fino alla morte di croce, ha voluto fare sì che a due poveri esseri umani, incapaci per natura di onorare promesse così alte, giungessero i mezzi necessari; ha aperto il Suo cuore, affinché sull’uomo e la donna giungesse la Grazia santificante. L’amore non può cessare, “forte come la morte è l’amore”, Dio non revoca le Sue promesse, ecco perché al termine nella piccola chiesa il sacerdote ha pronunciato le parole “L’uomo non divida ciò che Dio ha unito”. Si tratta di un comandamento che non ammette mezze misure, è parola di Dio, è la volontà di Dio sin dal principio.
“Non desiderare la donna d’altri” è un comandamento che Dio ha voluto prima fosse inciso sulla pietra e poi l’ha scritto nei nostri cuori dandoci la legge dell’amore. Unirsi ad una persona sposata è e non può che rimanere adulterio, unirsi senza essere sposati è e non può che rimanere fornicazione. Entrambi sono falsificazioni dell’atto coniugale, come la teologia del corpo di San Giovanni Paolo II ha dimostrato. Non si può essere in comunione con Dio con questi peccati senza prima avere chiesto perdono in modo sincero ed avere ricevuto il perdono di Dio mediante il sacramento della remissione dei peccati affidato da Gesù alla Chiesa. Ma Dio è una persona seria, non desidera essere buggerata, la Chiesa lo sa bene e non volendo dispiacere al suo Capo, Fondatore e Sposo, concede il perdono affidatogli solo quando la richiesta è sincera, quando cioè è accompagnata dal fermo proposito di non commettere il peccato nuovamente e fuggire le occasioni di ricaduta.
Non c’è primato della pastorale sulla dottrina che tenga, non c’è “ma-anchismo” teologico di sorta, non c’è spazio per alcun adattamento che non sia tradimento, non c’è alcun buco da cui non è possibile uscire, perché come qualsiasi colpa anche per il peccato di letto il Padre è in piedi impaziente ad attenderci a braccia aperte sulla porta della santità. Pur sapendo bene che il Nemico è sempre in agguato, ha tentato Gesù Cristo e non smette di tentare tutti gli uomini, sono quindi tranquillo e fiducioso circa gli esiti dei prossimi sinodi. A ben vedere a non esserlo mi parrebbe che la mia fede nella promessa di Cristo, non praevalebunt, fosse vacillante.
Nella chiesetta di pietra nel borgo di montagna, come me e mia moglie quindici anni fa e come milioni di uomini e donne da venti secoli, un giovane uomo e una giovane donna hanno proclamato davanti alla comunità di credere nel matrimonio, si sono voluti fidare di Dio piuttosto che degli uomini.
Renzo Puccetti
http://www.libertaepersona.org/wordpress/
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