Questo è l'Avvento, figli miei!

Lettere dal carcere di un padre dissidente: V√°clav Benda...

Questo è l'Avvento, figli miei!

 

Nato nel 1946, filosofo e cibernetico, VÁCLAV BENDA nella seconda metà degli anni ‘70 fu una figura di spicco del dissenso cecoslovacco, uno dei pochi rappresentanti dell’intellicencija cattolica – minoritaria rispetto al mondo della «polis parallela», e a volte anche in disaccordo sulla linea da proporre come alternativa al regime comunista. Abbiamo già citato su queste pagine Havel quando ricordava con simpatia quelle discussioni tra i dissidenti che però «non suscitavano tra i partecipanti alcuna antipatia, inimicizia o bisogno di aprire reciproche ostilità. Ricordo bene gli infiniti contrasti di due fra i più attivi e stretti collaboratori di Charta 77, ossia Uhl, politico di sinistra, e il cattolico Benda: erano il siparietto atteso ed emozionante delle nostre serate!».

 

Poi capitò che nel ’79 Benda venisse condannato a 4 anni di carcere con Havel e altri responsabili del VONS, il comitato creato per assistere i dissidenti «meno famosi» e le loro famiglie. Dal carcere il filosofo iniziò una fitta corrispondenza con la moglie Kamila e i cinque figli, ancora piccoli. Ne uscì un percorso spirituale e umano in generale, ed educativo nei confronti dei bambini, capace di dare significato anche a quell’esperienza dolorosa e ancor oggi ricco di sollecitazioni.

 

In alcune lettere, scritte con la consueta ironia e concretezza che lo contraddistinguevano, Benda accompagnò i familiari nella preparazione al periodo natalizio. Ne presentiamo alcuni brani.

 

VERSO L’AVVENTO

 

Proviamo per una volta ad avvicinarci all’Avvento in modo un po’ diverso, dicendo: “Io, così furbo e capace e promettente, che eccelle per le tante qualità e virtù (non so voi, ma io mi sento tutto sommato soddisfatto di me stesso), non sono niente a paragone di questo bambino povero e rifiutato, e non sono degno di allacciare una scarpina del suo piede, una sola sua lacrima ha per la mia salvezza un significato mille volte maggiore di ogni mia buona intenzione, e se non guarderò dentro a questo mistero, se non vi guarderò con tutto il cuore, morirò per l’eternità”».

 

Carcere di He≈ômanice, settembre 1980

 

L’ATTESA DELLA VENUTA

 

«Un altro tema è l’attesa della venuta, l’attesa del momento in cui diremo a un bambino inerme: tu sei il mio Signore e il mio Dio. …Tutto è bene se sapete che l’unica garanzia è questo bimbetto piangente e probabilmente sporco di cacca, abbandonato in quella notte gelida (o, più tardi, quell’uomo pieno di sudore e di paura in un’altra notte), e se questo non vi spaventerà o vi scandalizzerà, poiché è stato e sarà la pietra di inciampo per molti. Certezza, ordini, dogma e fedeltà sono parole belle e sonanti, ma occorre sapere se si riferiscono esclusivamente a questo ridicolo bambino, poiché Lui è la via, la verità e la vita. Solo in Lui riponiamo la nostra folle speranza e il nostro folle amore: se noi non tentiamo di difenderci e di cercare astutamente, nel privato, dei surrogati, allora siamo davvero folli agli occhi di questo mondo e spesso anche agli occhi dei nostri fratelli. In questo certamente c’è la gloria di Dio, e una visibile prefigurazione, un miracolo e un trionfo, ma non confidate assolutamente in questo: infatti a confronto con quel bambino tutto ciò è semplice fumo, poiché non si va al Padre se non attraverso di Lui. Ragazzi che sarete cavalieri, fedele moglie che cuce le camicie al marito, rallegratevi per i doni che riceverete, rallegratevi per l’amore e la pace, siate forti e magari orgogliosi, ma non dimenticate: non può resistere chi non ha radicato tutto in questa debolezza e incertezza; non vi sono strade diverse da questa, stretta e consapevole. E solo chi riconosce questa pazzia davanti agli uomini sarà riconosciuto davanti a Dio».

 

Carcere di He≈ômanice, settembre 1980

 

L’INCONTRO ATTIVO E STORICO CON DIO

 

«La Pasqua è un po’ come la festa di Dio nella quale gli uomini svolgono solo una parte negativa, mentre in occasione del Natale partecipano attivamente, e ciò influisce anche sul modo di intendere i periodi preparatori alle due feste e su come vengono concepite dal punto di vista sacro o profano. Sarei giunto all’elegante conclusione che anche la vituperata versione consumistica che comprende la frenesia degli acquisti, è solo un’espressione – sia pur esagerata – della direzione verso cui tendono queste feste (diversamente sarebbe del tutto autentica) che celebrano l’incontro attivo e storico con Dio… È chiaro che la salvezza non è una promessa incerta, ma un avvenimento hic et nunc (e che la maggior parte delle difficoltà ricade sull’uomo per i suoi inutili timori)».

 

Carcere di Ruzynƒõ, dicembre 1979

 

SULLA MISERICORDIA

 

«Se qualcuno sbaglia e manca in qualcosa, se si rende colpevole di malvagità, allora certamente infrange i comandamenti e pecca (è ugualmente chiaro che i comandamenti ci sono perché è umano infrangerli), ma questo è nel suo genere un comportamento onesto, e soprattutto quest’uomo sarà giudicato secondo misericordia. Se però qualcuno preferisce girare lo sguardo quando incontra il Signore, preferisce non sentire la chiamata dei sofferenti per non dover riconoscere in essi la Sua voce, preferisce seppellire il denaro avuto in consegna per non rischiare nulla, allora quest’uomo tenta di ingannare Dio e se stesso, ha ucciso il suo cuore e in esso l’amore, per evitare di essere confuso, e l’ultima parola verso di lui non sarà misericordia ma giustizia. E allora povero lui!

 

…Posso solo aggiungere che dietro tuo consiglio mi sono affidato alla protezione della Vergine Maria, con conseguenze del tutto impensate e, per mio demerito, temibili. Il culto mariano ha ugualmente un grande vantaggio, dato dalla differenza fra il principio maschile e quello femminile: agli uomini diamo ordini o ne accettiamo da loro, mentre le donne le preghiamo sempre. Se Dio sa meglio di me che cosa è bene per me, e io posso chiedergli tutt’al più misericordia e pazienza, alla Vergine Maria posso chiedere secondo il cuore. È una donna e perciò capisce la nostra debolezza e povertà, molto più di tutte quelle altre cose che ci rendono cavalieri».

 

Carcere di He≈ômanice, novembre 1980

 

 

Angelo Bonaguro

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