«Ragazzi e tv? La vera battaglia si svolge sul web»

L'intervista al Presidente del Comitato Media e Minori: "È ormai urgente avviare una riflessione in merito all'applicazione di strumenti di tutela del minore in tutte le piattaforme che offrono contenuti audiovisivi".

Un quadro «fra luci e ombre». Quando si chiede al nuovo presidente del Comitato Media e Minori di descrivere il rapporto fra tv e under 18 in Italia oggi, Maurizio Mensi fa una premessa. «Il dato prevalente è che otto milioni di ragazzi e bambini, il 13% della popolazione, sono nativi digitali e accedono ai contenuti audiovisivi sia attraverso lo schermo televisivo, sia dalla Rete», spiega il docente di diritto dell’informazione all’università Luiss di Roma che da pochi giorni è stato scelto per guidare l’organismo rimasto congelato per un anno e mezzo. Le difficoltà fra Agcom e ministero dello Sviluppo economico nel raggiungere l’intesa sui nomi dei nuovi membri hanno bloccato il Comitato chiamato a vigilare sui palinsesti e proporre sanzioni alle emittenti che mandano in onda programmi nocivi per i più piccoli.

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Professore, allora la nostra tv non è poi a misura di ragazzi?
La televisione è profondamente cambiata. La programmazione delle storiche reti generaliste e tematiche è oggi affiancata da siti web, social network, chat che sempre più spesso indirizzano le scelte del telespettatore, minori compresi. La digitalizzazione, l’interattività, la convergenza dei mezzi e Internet hanno moltiplicato i canali: in un decennio si è passati da meno di 10 reti nazionali a circa 200, a cui si aggiungono 600 canali locali e le web tv che in Italia sono 590. Così sono cambiate anche le modalità di distribuzione dei contenuti: tv lineare, non lineare, pay per view, tv on demand, web tv e tv sul celluluare, con percorsi sempre più personalizzati. Uno scenario, quindi, complesso in cui la protezione del minore è sempre più difficile da garantire.

 

E allora quali garanzie possono esserci?
Per ora la tv continua a essere l’unica ad avere un sistema di norme che la vincola alla responsabilità di tutelare la fascia di telespettatori più debole, l’unica ad essersi data un Codice di autodisciplina che è tenuta a rispettare grazie a uno strutturato sistema di controllo, di cui il Comitato Media e Minori è parte attiva. Ma i veri pericoli per i ragazzi sono fuori della tv e si trovano nella Rete.

 

C’è una soluzione?
È ormai urgente avviare una riflessione in merito all’applicazione di strumenti di tutela del minore in tutte le piattaforme che offrono contenuti audiovisivi.

 

Nel suo ultimo rapporto il Comitato segnalava oltre cento violazioni in un anno: dai film all’intrattenimento, dai tg ai cartoni. È possibile una programmazione sicura?
Penso di sì, se per sicura si intende una programmazione rispettosa del diritto primario del minore a essere «protetto da informazioni e materiali dannosi al suo benessere», come ricorda la Convenzione Onu del 1989 e lo stesso Codice Media e Minori. Ma una programmazione sicura non è sufficiente. Perché dovrebbe anche essere di qualità. La televisione continua a essere uno straordinario veicolo di conoscenza e cultura. E dovrebbero essere sempre più incentivati contenuti di elevato livello che propongono modelli positivi e che stimolano i giovani all’approfondimento, al bello, a una cittadinanza consapevole e responsabile. In questo senso il Comitato ha svolto un ruolo importante non solo sensibilizzando le emittenti al rispetto delle norme a tutela dei minori, affiancato in questo percorso dall’Agcom, ma anche sollecitando una programmazione portatrice di buoni valori.

 

C’è chi sostiene che si sia riversata la responsabilità sulle famiglie «liberando» le reti dai loro impegni su questo fronte.
Le famiglie continuano ad avere la principale responsabilità educativa e in questo compito possono essere aiutate dalle emittenti, la cui funzione che si fonda sul rispetto delle regole. Ma il numero delle risoluzioni di violazione non può costituire l’unico elemento per misurare l’efficacia del Comitato. Accanto a queste azioni, risultati effettivi e duraturi possono ottenersi da un’attenta sensibilizzazione. Ecco perché ritengo che la scuola vada coinvolta con iniziative che il Comitato potrà promuovere.

 


Di Giacomo Gambassi

Tratto da http://www.avvenire.it

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