Ovvero quando un uso “ristretto” della ragione crea volutamente confusioni ed equivoci a scapito di una visione sensata, reale e “buona” dell'uomo e del suo mondo. L'uso della ragione imposto dalle scienze della natura è sempre più considerato come il tribunale ultimo per giudicare ciò che è vero anche rispetto alla vita di tutti i giorni. Si considera «vero» solo ciò che è scientificamente provato.
del 08 giugno 2009
“Ragione scientifica” tribunale ultimo di giudizio?
L’uso della ragione imposto dalle scienze della natura è sempre più considerato come il tribunale ultimo per giudicare ciò che è vero anche rispetto alla vita di tutti i giorni. Si considera «vero» solo ciò che è scientificamente provato. Questo uso «ristretto» della ragione impone un’idea di uomo come un mero meccanismo, come un qualcosa di quasi meccanico, che, come tale, non può essere capace d’un solo atto libero. A maggior ragione, in quest’ottica, appare assurda l’idea che l’uomo sia esigenza di infinito. Non resterebbe all’uomo che adattarsi passivamente agli scossoni dell’ambiente, come un buon meccanismo che non voglia sciuparsi, rinunciando alle esigenze che il cuore umano impone così potentemente, che è necessario censurarle.
 
I “fatti” delle Neuroscienze
Questa concezione è rafforzata da un’interpretazione superficiale - purtroppo oggi prevalente nell’opinione pubblica - dei risultati che continuamente giungono dagli esperimenti di neurofisiologia. In particolare, vari tipi di esperimento che utilizzano la tecnica dell’«imaging funzionale» mostrano variazioni elettrochimiche che hanno luogo nel tessuto cerebrale in concomitanza con l’attività mentale cosciente del soggetto. Il punto cruciale è che tali tecniche mostrano che ogni evento mentale è correlato con una variazione dell’attività cerebrale, misurabile con parametri fisici o chimici e utilizzando di conseguenza le regole imposte dalle scienze fisiche e chimiche. Quest’osservazione porta, illecitamente, a considerare la razionalità «ristretta» di queste scienze come una razionalità adeguata anche per indagare l’attività mentale, comprendente i pensieri e gli affetti umani. La divulgazione scientifica predominante riporta addirittura a una logica localizzazionista delle funzioni mentali, cioè che ogni funzione mentale sia dovuta da un determinato centro nervoso, una determinata area cerebrale. Questa visione è in apparenza giustificata dal fatto che, qualunque cosa io pensi e qualunque emozione o affetto io provi, questo pensare o provare è correlato a delle variazioni di attività nervosa in alcune aree cerebrali. Si è quindi tentati di attribuire qualunque evento mentale all’attivazione di una particolare area cerebrale, anche quando si tratta di esperienze coscienti esclusive dell’uomo: esisterebbe per esempio un’area della bellezza, un’area della giustizia, un’area dell’amore.
 
Le “bugie” delle Neuroscienze
Ma è vero che questa conclusione si basa sui dati sperimentali delle neuroscienze? Se studiamo le aree cerebrali che si attivano durante il giudizio estetico di bello/brutto, notiamo che sono ampiamente sovrapposte a quelle di altri tipi di giudizio, tra cui il giudizio morale: giusto/ingiusto. A ben vedere, si tratta delle aree cerebrali la cui attività è correlata al pensiero razionale, in cui vengono ponderati esplicitamente gli elementi puramente razionali, che la ragione umana valuta insieme a elementi anche emotivi e affettivi, al fine di giungere alla decisione di adottare un certo comportamento o di scegliere un determinato giudizio anziché un altro. In altre parole, non esistono un’area del «bello» e un’area del «giusto», ciascuna delle quali si «accende» come una lampadina quando proviamo le sensazioni di bellezza o giustizia, ma esistono delle aree di corteccia cerebrale che si attivano durante il pensiero razionale, inteso in senso esteso agli elementi emotivi e affettivi. Certamente non è un caso se queste aree sono praticamente esclusive dell’uomo, essendo quasi assenti o rudimentali persino negli animali a noi più simili: le scimmie antropomorfe.
 
Chimica e Libertà
Io proporrei una concezione in cui l’attività correlata fisico-chimica e mentale in queste aree sia il substrato della libertà di decisione dell’uomo, del libero arbitrio. Libertà, nel senso che l’esito della ponderazione razionale che avviene nella correlazione tra queste aree e gli eventi mentali non sarebbe una mera conseguenza meccanica degli antecedenti fisico-chimici del cervello. L’idea di conseguenza meccanica completamente determinata dagli antecedenti fisico-chimici è giustificata solo se si censura il fatto, inconfutabile, che questi eventi fisico-chimici non sono gli unici attori di questa scena, perché questa scena ha un altro attore che è l’attività mentale a essi correlata. Quindi l’operazione di certa scienza è di utilizzare i termini, i metodi della fisica e della chimica, applicandoli al pensiero umano che non è semplicemente fisica e chimica. Questo non è giustificabile: infatti mentre è in corso la valutazione razionale, l’attività fisico-chimica cerebrale non è sola, ma procede in parallelo con l’attività mentale, vagliando tutti gli elementi a cui esse possono avere accesso. Durante questo processo di valutazione cosciente la decisione finale, razionale, può sempre cambiare. A mio parere, nella decisione finale c’è quest’apertura alla libertà. In altre parole, l’esito della valutazione razionale umana non è predeterminabile come avviene per gli eventi meccanici.
 
Contro le restrizioni della Ragione
L’idea di non prendere in considerazione, di censurare, l’esistenza di un’attività mentale correlata ai parametri fisico-chimici del cervello è un esempio di restrizione ingiustificata della ragione. È ancor più illogica un’altra posizione: di applicare all’attività mentale le stesse leggi e le stesse metodologie che hanno successo nel campo della fisica e della chimica. Concezioni di questo tipo derivano dall’assunzione che la razionalità di queste scienze esaurisca tutti i generi di ragione possibili e utilizzabili. Allargando l’ambito della ragione, è molto più facile evitare di cadere in trappole della ragione «ristretta» che impediscono di valutare la realtà in base a come essa è realmente, anziché come ci costringe a pensarla una razionalità derivata da un sottoinsieme delle scienze.
 
Filippo Tempia
Docente di Fisiologia all’Università degli Studi di Torino
 
(Il contributo è tratto da: CEI - Servizio Nazionale per il Progetto Culturale, La ragione, le scienze e il futuro delle civilta. Ottavo forum del Progetto Culturale, EDB, Bologna 2008, 165-167)
 
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