La Chiesa insegna che l'intimità sessuale non è lecita prima o al di fuori del matrimonio. Lo fa per il bene delle persone, per la loro felicità. Ecco le ragioni...
del 12 novembre 2008
Una questione di amore «vero». Dono e appartenenza C'è chi dice: «Cosa c'è di male? Come mai non ne abbiamo diritto? Perché deve esserci negato oggi ciò che domani, compiuta la cerimonia nuziale, diviene un fatto grande e santo? Come si può congelare un'esperienza d'amore così vitale e profonda?». Questa richiesta, che ad una prima considerazione può sembrare legittima, non comprende appieno la portata dell'atto coniugale e non riconosce l'autentico valore del matrimonio. L'ambiente erotizzato che ci circonda non incoraggia certo a cercare vie diverse da quella, molto comoda, del «lasciarsi andare», né a considerare le nostre azioni secondo criteri diversi dal principio del piacere. La risposta al perché i due non ne abbiano ancora il diritto, anche se si amano e sono decisi a sposarsi, è in fondo molto semplice: fin tanto che non sono sposati non si appartengono ancora del tutto e l'atto coniugale è donare e ricevere mutuamente ciò che uno ha di più intimo del proprio corpo. Volerlo o darlo senza essere sposati è quindi ingiusto, è una specie di furto, è qualcosa di falso. Si può dire, con il filosofo Etienne Gilson, che «non basta mettersi d'accordo per rendere lecito un saccheggio reciproco». Particolarmente attento alla grandezza del matrimonio e della famiglia è stato Giovanni Paolo II che, fra l'altro, ha osservato: «La comunione fisica e sessuale è qualche cosa di grande e di bello. Ma è soltanto degna dell'uomo, se è integrata in una unione personale, riconosciuta dalla comunità civile ed ecclesiastica. La piena comunione sessuale tra l'uomo e la donna ha perciò il luogo legittimo soltanto nell'ambito dell'esclusivo e definitivo personale vincolo di fedeltà nel matrimonio». La differenza tra due fidanzati e due coniugi sta proprio qui: solo questi ultimi si sono donati pienamente l'un l'altro per sempre; una donazione piena non può infatti che essere per tutta la vita. Che donazione sarebbe quella di chi si impegnasse solo finché gli farà comodo? Ciò denoterebbe che non è la persona dell'altro a interessargli, ma solo ciò che, per un certo tempo, potrà ottenere da lei: la persona viene quindi trasformata in oggetto. Come reagiremmo se qualcuno ci dicesse: «Ecco, ti faccio un regalo, ma se poi cambio idea me lo riprendo». Si dovrebbe quantomeno dire che non si tratta di una vera donazione. Queste considerazioni aiutano anche a capire l'indissolubilità del matrimonio. La Chiesa non fa quindi altro che proporre la legge naturale quando afferma che l'atto coniugale è autentico solo fra coloro che si sono reciprocamente donati in un modo «totale e definitivo». Rifacendosi allo stesso principio, ricorda che «la donazione fisica totale sarebbe menzogna se non fosse segno e frutto della donazione personale totale, nella quale tutta la persona, anche nella sua dimensione temporale, è presente». L'atto coniugale va considerato come il coronamento della piena unione della coppia. L'unità affettiva, dei cuori, della mente e della vita deve quindi precedere l'unione dei corpi. Chi, cedendo alla sensualità, altera quest'ordine provoca l'illusione di una fusione già realizzata, quando invece c'è ancora solo una confusione. Il partner resterà facilmente con l'impressione di essere stato «usato», ridotto cioè a strumento di piacere. C'è un «amore per prova» dopo il quale ci si sente particolarmente soli, con la triste consapevolezza di non avere costruito nulla e di aver solo consumato qualcosa di sé. L'unione sessuale nel matrimonio è invece piena di bellezza, di verità e di gioia quando conferma e manifesta l'unione della vita di entrambi i coniugi.
 
«Prove d'amore» o pretesti?
Quanto detto fino ad ora dimostra anche l'inconsistenza, l'infondatezza della richiesta di rapporti prematrimoniali come «prova d'amore» o come mezzo per verificare l'affinità di coppia. A chi dice: «Se mi ami, dimostralo», intendendo i rapporti prematrimoniali come «prova d'amore», si potrebbe rispondere che tali rapporti non provano proprio niente. L'amore non si prova, dal momento che le persone coinvolte non si provano, ma si scelgono e si accettano. Provare una persona è ridurla a oggetto di sperimentazione circa un certo rendimento, mentre le realtà più significative e fondamentali (nascere, morire, amare fino a dare la vita) sono tanto importanti da essere uniche, irripetibili. Il matrimonio non si prova: lo si vive responsabilmente. Alla domanda: «Non mi ami abbastanza per venire a letto con me?» bisogna perciò avere il coraggio di rispondere: «Certamente, anzi ti amo di più, tanto da sposarmi con te». E sposarsi vuol dire non solo condividere il letto, ma lavorare insieme per un progetto comune, fondare una famiglia. A chi dice: «Ma io non compro a scatola chiusa», si può far notare che se un matrimonio non «funziona» non è per l'inesperienza sessuale, ma per ben altri motivi come la debolezza di carattere e l'egoismo, e il volere subito rapporti sessuali non è certamente prova di fermezza di carattere, né di generosità e grandezza d'animo. Il matrimonio esige qualcosa di più del possesso sempre godibile; esige anche sacrifici e rinunce, fra l'altro anche il saper aspettare fino alle nozze per godere dell'atto coniugale.
Si potrebbe anche obiettare dicendo che l'atto sessuale è un modo di conoscersi e capire se si è fatti l'uno per l'altro. Ma l'atto sessuale non è affatto il modo adeguato per conoscersi. Il piacere intenso che si prova può infatti indurre a idealizzare l'altra persona in modo entusiastico e a minimizzare le differenze esistenti, nell'illusione che le differenze (di carattere, interessi e visione della vita) si possano facilmente superare. Di conseguenza, se le intimità sessuali divengono l'aspetto dominante del rapporto, la necessaria reciproca conoscenza tra due persone che desiderano sposarsi viene facilmente relegata in secondo piano. Le divergenze e le eventuali incompatibilità di carattere emergeranno poi, una volta sposati, quando l'iniziale entusiasmo viene meno. Perciò l'atto sessuale prematrimoniale non è affatto il miglior modo per una vera e profonda conoscenza. Si potrebbe dire che l'atto sessuale cementa un rapporto, ma solo quale coronamento di un percorso di conoscenza reciproca, condivisione e donazione, altrimenti è come fare una colata di cemento sulle strutture di una capanna distruggendola. Alcuni estendono il discorso, parlando dell'opportunità di una convivenza prematrimoniale quale test molto significativo per sapere se sono fatti l'uno per l'altro. Ma la convivenza non è un buon test per provare l'affinità di due soggetti. Ciò è ormai confermato da varie ricerche sociologiche e dal numero dei divorzi che è nettamente superiore fra coloro che hanno convissuto prima delle nozze. Al fidanzato/a che non volesse accettare le riflessioni e gli argomenti esposti, si può dire: «Anche se non riesci a capirlo fino in fondo, mi ami tu abbastanza per rispettare la mia coscienza, e aspettare?». E poi, se nonostante tutte le «precauzioni» nascesse un figlio? Un bambino ha il diritto sacrosanto alla famiglia. E allora? O si ha un matrimonio «riparatore», che precipitosamente deve risolvere una quantità di problemi, oppure si ha una madre senza marito e un figlio senza padre. Fine davvero triste di tanto «lieto e spensierato» inizio...
 
Un'esigenza per il bene e la felicità delle persone
In conclusione: se la Chiesa insegna - sulla base di riflessioni antropologiche e alla luce della Rivelazione - che l'intimità sessuale non è lecita prima o al di fuori del matrimonio, non lo fa certamente per rendere la vita difficile, ma per il bene delle persone, per la loro felicità. Viene in mente una frase di Simone Weil: «I beni più preziosi non devono essere cercati, ma attesi». Ogni cosa a suo tempo. Per gustarla come dono. Perciò il comportamento di oggi decide il matrimonio di domani. Se lui o lei diventerà un coniuge solo avido di piacere, un egoista pronto soltanto a esigere o addirittura a farla da tiranno; o un fedele compagno per la vita, pronto sia al comune piacere sia al comune sacrificio, tutto questo viene deciso quasi al cento per cento prima, non durante il matrimonio. Chi con disinvoltura chiede anticipi all'amore, dovrà poi pagarne le ipoteche mettendo a dura prova il suo equilibrio emotivo ed affettivo e a danno, non di rado, di se stesso e della propria felicità. Chi invece prende sul serio l'amore, vi troverà la gioia. Per tutta la vita.
 
 
Fonte: Il Timone
 
don Arturo Cattaneo
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