Realtà aumentata o aumento del reale?

Ogni lunedì donboscoland pubblica un articolo di attualità. Questa settimana parliamo dei Vision Pro e della realtà aumentata

“E se la linea che separa la tua fantasia da ciò che è reale non esistesse? Con la realtà aumentata, questo è possibile. Di più, è un’esperienza che puoi vivere qui e ora.
Puoi trasformare il tuo modo di lavorare, imparare, giocare, fare shopping e vivere i il mondo che ti circonda, e vedere cose che altrimenti sarebbero difficili o impossibili perfino da immaginare”.

La frase che abbiamo riportata è quanto il sito stesso di Apple riporta per promuovere la sperimentazione della realtà aumentata tramite i suoi dispositivi. 
Una delle notizie più interessanti della scorsa settimana riguarda la novità lanciata dalla ditta nel presentare Vision Pro, una maschera che permette di fare esperienza della realtà aumentata. 

Chi l’ha provata riporta una esperienza veramente fantastica, capace di far provare sensazioni mai sperimentate: “tutto viene comandato attraverso il nostro sguardo e alcuni gesti [...] È pazzesca questa interfaccia, non c’è altro modo per descriverla. Naturale e al contempo fantascientifica”. 
Si parla di realtà aumentata, ma (in realtà), come ci dicono chi li ha provati: “Si vede che non è la realtà, ma una riproduzione della realtà. E a un primo sguardo risulta un po’ strano”. 

Come si può intuire la portata dell’innovazione tecnologica è davvero strepitosa, che apre a nuove modalità di vivere nel reale-virtuale. Appunto. Non più reale, ma virtuale-reale. Perché l’esperienza chiamata “realtà aumentata” è in realtà una “virtualità” che riporta il reale in modo aumentato. Dunque, cos’è il reale, alla fin fine? La virtualità offerta a partire dal reale, oppure il reale che si integra nel virtuale? 

Al di là delle opportunità che questa tecnologia può offrire, e i rischi che ne possono derivare (pensate solo ad un hacker che riesca a modificare il “reale” che pensiamo di vedere…), in questi tempi non abbiamo bisogno di una realtà aumentata, ma di aumentare la nostra capacità di vivere il reale, di conoscerlo, comprenderlo, viverlo. Siamo di nuovo chiamati, come diceva Husserl (il filosofo che avviò lo studio della fenomenologia) a “tornare alle cose stesse”. 
 

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