I giovani tra i 18 e i 29 che si definiscono cattolici, sono poco più del 50%, mentre i praticanti passano dal 18,1% del 2004 al 15,4% del 2010. Il rapporto difficile dei giovani con la Chiesa si manifesta anche attraverso la diffusa insofferenza di fronte al ruolo politico giocato dalle gerarchie ecclesiastiche.
del 28 giugno 2011
 
 
          I giovani tra i 18 e i 29 che si definiscono cattolici, sono poco più del 50%, mentre i praticanti passano dal 18,1% del  2004 al 15,4% del 2010 - Il recente sondaggio svoltosi tra i membri della chiesa svedese, dal quale esce un quadro desolante per la Chiesa di Svezia, ci offre lo spunto per una riflessione sulla situazione dei cattolici italiani. 
          Lo scorso anno è stato pubblicato il risultato di una ricerca condotta dall’Istituto Iard di Milano su un campione di un migliaio di giovani italiani tra i 18 e i 29. Tutti i dati, raffrontati con un’indagine analoga svolta nel 2004, mostrano un trend in negativo: sempre meno giovani si definiscono cattolici (poco più del 50%).  
          Secondo quanto emerge dalla ricerca, i giovani cattolici praticanti passano dal 18,1% al 15,4% mentre aumentano nettamente i “credenti che non si identificano in una chiesa” (che passano dal 12,3% del 2004 al 22,8% di oggi). In aumento anche i giovani non credenti, dal 18,7% del 2004 al 21,8% di oggi.
          Un altro segnale inequivocabile della tendenza è dato dalla diminuzione di quasi 10 punti percentuali di chi definisce alta o molto alta la propria fede (dal 41,1% del 2004 al 31,8%), mentre allo stesso tempo aumenta, e in misura ancora superiore, la percentuale di chi definisce bassa o nulla la propria fede (con un incremento di dodici punti, dal 24 al 36%).
          Dall’80% del campione, vi è un interesse per ciò che è spirituale, ma questo sempre meno si associa a un’appartenenza religiosa specifica. Si fa sempre più strada, invece, un rapporto individuale con una dimensione divina, al di fuori dei canoni della religiosità tradizionale. Vivere l’esperienza di fede in una comunità cristiana è un’esperienza di pochi. 
          Il rapporto difficile dei giovani con la Chiesa si manifesta anche attraverso la diffusa insofferenza di fronte al ruolo politico giocato dalle gerarchie ecclesiastiche. Quasi il 60% dei giovani ritengono che la Chiesa non debba in alcun modo condizionare le leggi dello stato (il dato è confermato anche tra i cattolici praticanti). 
          I giovani intervistati tendono a schierarsi pro o contro determinate indicazioni della Chiesa «a prescindere» da ogni valutazione sul merito delle questioni in discussione, si creano dei gruppi di supporter, più che coscienze critiche. 
          Tra coloro che si dichiarano cristiani praticanti vi sono curiose percentuali favorevoli all’eutanasia (29%), all’aborto (21%) e alla fecondazione assistita eterologa (31%). Enzo Bianchi, Priore della Comunità di Bose, ha dichiarato: “la fede, come la vita, la si trasmette da persona credibile a persona aperta alla possibilità di credere e non si può pensare che strategie o escamotage possano sostituirsi ai rapporti interpersonali che si creano e si alimentano all’interno di concrete comunità di vita, dalla famiglia al quartiere, alla parrocchia, all’associazionismo organizzato.
          Forse negli ultimi decenni molti si sono illusi che il ricorso ai grandi eventi, l’utilizzo delle nuove tecnologie, l’adeguamento ai modelli vincenti di creazione del consenso potessero funzionare anche a livello ecclesiale. Puntare sull’emozione dell’«esserci» ed essere in tanti a eccezionali raduni nazionali o internazionali, focalizzare le energie verso iniziative «drogate» dal numero e dalla visibilità mediatica ha finito col creare una sorta di assuefazione allo straordinario e al conseguente disinteresse, alla noia, se non al disgusto, per la quotidianità del vissuto.”
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