Dio vuole essere cercato, e come potrebbe non voler essere trovato?...l'uomo e il suo mondo sono la sfera di interesse di Dio, che la rivelazione di Dio precede e fonda la conoscenza che l'uomo può avere di Lui...
del 01 gennaio 2002
«Dio vuole essere cercato, e come potrebbe non voler essere trovato? Il nipote di R. Baruch, il quale era a sua volta nipote del Baal Shem, giocava una volta a rimpiattino con un altro ragazzo. Egli si nascose e stette lungo tempo là ad attendere, credendo che il compagno lo cercasse e non riuscisse a trovarlo. Ma dopo che ebbe aspettato a lungo, uscì fuori, e non vedendo più quell’altro, capì che costui non l’aveva mai cercato. E corse nella camera del nonno, piangendo e gridando contro il cattivo compagno. Con le lacrime agli occhi R. Baruch disse: “Lo stesso dice anche Dio”». Dio vuole essere cercato, dice questa storiella chassidica. Oggi, altre storie e altre lacrime, sempre ebraiche, pongono in modo differente la questione della ricerca di Dio: sono le storie e le lacrime sgorgate da quell’abisso di male rappresentato da Auschwitz. Scrive Elie Wiesel: «Dio e Auschwitz non vanno insieme. Non accetto e reclamo, esigo una risposta... Dio nel male? In quale male? E Dio nella sofferenza? In quale sofferenza? lo non so. Non ho risposta. Cerco sempre». E accanto ad Auschwitz, prima e dopo, gli altri genocidi, gli altri sterminii, le sofferenze degli innocenti, di milioni di uomini ovunque nel mondo, pongono in modo tragicamente rinnovato la domanda «dov’è Dio?». Nel conflitto con il male che si gioca nella storia Dio sembra soccombere, e nettamente! E tutto questo non può non dare un orientamento particolare al modo di interrogarsi oggi sulla ricerca di Dio, su quel quaerere Deum che è sempre stato uno dei temi più significativi e importanti della spiritualità cristiana. Anzi, tutto questo arriva a porre in radicale questione i termini dell’argomento: quale ricerca? e di quale Dio?
La Scrittura attesta l’indiscutibile priorità della ricerca che Dio fa dell’uomo, afferma che l’uomo e il suo mondo sono la sfera di interesse di Dio, che la rivelazione di Dio precede e fonda la conoscenza che l’uomo può avere di Lui. Ovviamente non si tratta tanto di una priorità cronologica, perché il problema di Dio è inscritto nell’uomo stesso, nelle domande che egli porta su di sé e sul senso della propria vita e del mondo. Pertanto, domanda su Dio e domanda sull’uomo sono naturalmente unite. Le grandi tradizioni religiose hanno sempre affermato l’inscindibilità delle due questioni: non solo i tre monoteismi, ma anche la religione grecoromana, la cui linfa è stata assorbita dalle nostre radici di europei occidentali. L’uomo che si recava al tempio di Apollo a Delfi per consultare l’oracolo si vedeva rimandato a se stesso dall’iscrizione posta sul frontone del tempio: «Conosci te stesso». Riproporre oggi questa tematica implica il rendersi conto della drammaticità assunta da questa doppia domanda: alla figura del filosofo cinico Diogene che in pieno giorno si aggira per le strade di Atene con una lanterna gridando: «Cerco un uomo! », si sovrappone la figura del pazzo nietzschiano che, anch’egli in pieno giorno e munito di lanterna, grida sulla pubblica piazza: «Cerco Dio!», e rivela a chi lo deride che Dio è morto, è stato assassinato dall’uomo, e celebra il funesto evento entrando in una chiesa e intonando un Requiem aeternam Deo. E risponde a chi lo interroga: «Che altro sono ancora le chiese se non le tombe e i monumenti funebri di Dio?». Ma, osservava giustamente M. Foucault, «più che la morte di Dio, ciò che annuncia il pensiero di Nietszche è la morte del suo assassino, cioè dell’uomo». Nell’attuale clima culturale nichilista, di secolarizzazione della secolarizzazione, l’uomo contemporaneo «è non solo senza Dio, ma anche senza l’uomo» (C. Geffré). Egli si muove smarrito nell’assenza di certezze, respira un assurdo caratterizzato non tanto dal non-senso, quanto dall’isolamento degli innumerevoli sensi, dall’assenza di un senso che li orienti, dalla mancanza del senso del senso, come ricordava Lévinas. Sintomatico di questo smarrimento di sé tipico dell’uomo contemporaneo è il tanto conclamato «ritorno di Dio», visibile dietro ai fenomeni di ritorno del sacro, dietro al fiorire di sètte, movimenti sincretistici, aggregazioni varie, dietro al diffondersi di sensibilità e atteggiamenti spirituali in cui Dio è immediatamente trovato, più che cercato, in un divino impersonale, nella fusione con l’Oceano dell’Essere, nell’evasione verso il taumaturgico, nella preghiera ridotta a ingiunzione a Dio affinché soddisfi il bisogno umano. Tutto questo ci dice che oggi ricerca di Dio dev’essere anche ricerca e approfondimento dell’umano, ricerca di ciò che è veramente umano, capacità di ridestare l’umanità là dove è assopita. li Dio rivelato dalle Scritture ebraico-cristiane non ha infatti altri luoghi in cui essere cercato se non la storia e la carne umana, l’umanità. Storia e carne umana che sono anche i due ambiti abitati da Dio nell’incarnazione per andare incontro all’uomo, alla sua ricerca, e consentire così all’uomo di trovarlo.
E non dimentichiamo che Dio non lo si possiede nemmeno quando lo si conosce: «Si comprehendis, non est Deus» scrive Agostino; cioè, «se pensi di averlo compreso, non è più Dio». La categoria della ricerca salvaguarda la distanza fra cercatore e Cercato: distanza essenziale perché il Cercato non è oggetto, ma è anch’egli soggetto, anzi è il vero soggetto, in quanto è colui che per primo ha cercato, chiamato, amato, suscitando così, come risposta alla sua iniziative, la ricerca e il desiderio dell’uomo. L’atteggiamento di ricerca implica l’atteggiamento fondamentale dell’umiltà, grazie alla quale soltanto può fondarsi il rapporto con l’altro. Cercare Dio significa deporre le presunzioni di autosufficienza, smettere di pensare di essere i detentori della verità, cessare di considerarsi superiori agli altri. Ricerca di Dio, allora, significa anche cercarlo nell’altro che abbiamo di fronte, confessarlo come non estraneo all’altro.
Enzo Bianchi
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