Se vogliamo portare frutti (e tutti cerchiamo i frutti del nostro operare, del nostro impegno....) dobbiamo ascoltare Gesù: “Come il tralcio non può dar frutto da solo, se non rimane unito alla vite, così voi non potete dar frutto se non rimanete uniti a me!” e poco dopo aggiunge un'espressione che non lascia via di scampo: “Senza di me non potete fare nulla!”
del 08 maggio 2009
Commento alla liturgia di domenica 10 maggio 2009
 
 
5° domenica di Pasqua
 
 
Letture:  Atti 9, 26-31                 1 Giovanni 3, 18-24             Giovanni 15, 1-8
 
 
Il capitolo 15 del Vangelo di Giovanni è tutto incentrato sull’amore a Dio e sull’amore al prossimo. I primi 8 versetti, oggetto della lettura di questa domenica, puntano decisamente sull’unione con Dio, attraverso l’immagine della vite. Il tema della vite era molto conosciuto presso il popolo di Israele: i profeti l’avevano usato come simbolo dei rapporti tra Jahwè e il suo popolo. 
·            “La vigna è deliziosa, cantate di lei! Io, il Signore, ne sono il guardiano, a ogni istante la irrigo; per timore che venga danneggiata, io ne ho cura notte e giorno. Vi fossero rovi o pruni, io muoverei loro guerra, li brucerei tutti insieme” (Isaia 27, 2-5)
·            “Io ti avevo piantato come vigna eccellente, come mai ti sei trasformata in vigna bastarda?” (Geremia 2, 21)
·            “Toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia” (Isaia 5, 5-7).
 
1. Rimanete nel mio amore: prova a contare quante volte Gesù usa il verbo ‘rimanere’ nei pochi versetti del vangelo di questa domenica. Il verbo indica riposo, quiete, assenza di moto, stasi, pace…
Il vecchio  Chaffangeon passava lunghe ore davanti al Santissimo Sacramento. Interrogato dal Curato d’Ars su cosa stesse a fare così a lungo in chiesa, rispose: “Io lo guardo e lui mi guarda!”  Questo scambio di sguardi appartiene al linguaggio dell’amore e Charles de Foucauld definisce la preghiera  così: “Stare davanti a Gesù con amore, amandolo”.  Regalare del tempo a Dio, contenti di stare con lui.
La santa Giovanna de Chantal scriveva ad una suora: “Quando non facessi altro che stare davanti a Dio e consumare davanti a lui la tua vita, come un cero che si consuma davanti al SS. Sacramento, non saresti contenta?”
 
2. Il segreto della fecondità: se vogliamo portare frutti (e tutti cerchiamo i frutti del nostro operare, del nostro impegno….) dobbiamo ascoltare Gesù: “Come il tralcio non può dar frutto da solo, se non rimane unito alla vite, così voi non potete dar frutto se non rimanete uniti a me!”  e poco dopo  aggiunge un’espressione che non lascia via di scampo: “Senza di me non potete fare nulla!”
Gustare la gioia della compagnia di Dio, l’Emmanuele, vivere la gratuità dell’adorazione a Colui che riconosciamo il nostro Dio, il nostro Tutto, il Cuore del nostro cuore.
“Il tabernacolo è la sorgente di ogni bene: se Dio ci concede di andare e stare ai suoi piedi, andiamoci. Il progresso dell’anima è che noi lo amiamo il più possibile” (C. de Foucauld).
I santi, tutti i santi, si sono formati stando davanti a Gesù, uniti a lui nella preghiera, nella meditazione, nell’adorazione. Non diciamo che non abbiamo tempo, perché per le cose che ci interessano il tempo lo troviamo (e ne sprechiamo pure tanto). Amiamo poco e per questo troviamo mille scuse per non stare “ai piedi di Gesù” come ha fatto Maria di Betania.
“Ma come, dirà qualcuno, non ci si fa santi nella carità, nel dono di sé, nella vita spesa per gli altri?” E’ vero! Ma occorre ricordare che il nostro cuore è piccolo, spesso inquinato da tanto egoismo. Occorre andare alla sorgente che è l’Eucarestia, l’unione più ricca e più profonda con la vera Vite, perché a poco a poco il nostro cuore diventi sempre più simile al cuore di Gesù.  “Senza di me non potete fare nulla”, tanto meno dare la vita come ha fatto Lui.
“L’amore rende simili gli amanti” (S. Francesco di Sales) e a poco a poco, stando davanti a Gesù, ci accorgiamo che Lui ci cambia, ci trasforma in Lui.
Chi ha dato a Piergiorgio Frassati il coraggio della carità per portare aiuto ai poveri delle mansarde di Via Po a Torino, se non quel Gesù di fronte al quale passava ore e ore (e qualche volta anche la notte) in adorazione? “Tutti i santi sono santi eucaristici”, diceva il Card. Ballestrero.
 
3. Il cuore di Dio: la scoperta più bella è scoprire il cuore di Dio. Ce lo ricorda l’apostolo Giovanni, lui che ha posato il capo sul cuore di Gesù durante l’ultima cena. “Il cuore di Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa”. Solo chi sa di essere amato, ama. Guardando l’Eucarestia, ci rendiamo conto di “quale amore ci ha dato il Padre: di essere suoi figli e lo siamo veramente!” Il Crocifisso ci ricorda ancora che Lui non ci ha amato con belle parole, con la lingua o con pii sentimenti, ma  con i fatti, dando la vita, nella verità!
 
4. L’Eucarestia, sacramento d’un amore universale: ti lascio alla meditazione di questo splendido pensiero di M. Zundel.
“C’è nell’Eucarestia il focolare dell’Amore universale. C’è nell’Eucarestia la viva fiamma d’amore dove il cuore della Chiesa incontra il cuore di Gesù a condizione che i nostri cuori siano aperti all’Universo e che non riduciamo il Cristo a “un buon Dio”, fabbricato a nostro uso e che possiamo metterci in tasca.
La comunione è sempre qualcosa di universale e il mangiare il pane consacrato è il segno di un altro mangiare, il segno di una identificazione misteriosa che avviene nel più profondo di noi se siamo in sintonia con l’esistenza universale di Gesù.
La nostra comunione è sempre comunione con tutta la Chiesa, tutta l’umanità, tutto l’universo ed è fondamentale dare alla presenza eucaristica tutta la sua grandezza per non limitare questa presenza ad una specie di idolatria.
Quando partecipiamo al santo Sacrificio è sempre per allargare il nostro cuore alle dimensioni del cuore di Cristo e portare nel nostro amore tutta l’umanità, altrimenti Gesù rischia di essere un idolo che ci possiamo mettere in tasca!”
 
don Gianni Ghiglione
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