Don Bosco era un sognatore alla grande e in quel senso anche poeta. Vedeva con l'immaginazione tutto il campo di apostolato destinato dal Signore ai suoi figli missionari del Vangelo e lo vedeva con l'entusiasmo del credente e con lo zelo dell'apostolo.
del 21 gennaio 2011
            In data 13 luglio 1876 Don Bosco scriveva una lettera a Don Giovanni Cagliero, capo spedizione dei missionari salesiani giunti a Buenos Aires in Argentina 6 mesi prima. In essa gli diceva, fra l’altro: «Tu sei musico, io poeta» (E 1467). Don Bosco era un sognatore alla grande e in quel senso anche poeta ma non ingenuo.            Vedeva con l’immaginazione tutto il campo di apostolato destinato dal Signore ai suoi figli missionari del Vangelo e lo vedeva con l’entusiasmo del credente e con lo zelo dell’apostolo. Ma qui intendo parlare di suoi scritti semplici e popolari in rima. Egli, infatti, si divertì, a volte, nel comporre rime d’occasione, serie e giocose, sin dai tempi della sua giovinezza. Ne abbiamo già fatto cenno anni fa in questa rubrica, ma qui vogliamo ora dare qualche esempio delle sue rime giocose.   Poeta estemporaneo           Don Bosco, quando era ancora chierico in Seminario, era divenuto oggetto di meraviglia tra i compagni per la facilità con la quale componeva ed anche improvvisava poesie. Noi siamo così venuti a conoscere varie rime a lui attribuite sia in lingua italiana sia in piemontese. Si trattava a volte di poesie che faceva recitare ai suoi ragazzi a Valdocco o cantare addirittura in musica, ma qui vorrei fermarmi solo su rime giocose in lingua italiana che troviamo sparse nelle sue lettere ad amici, benefattori e discepoli, dove intercalava il testo con versi d’occasione anche se non si trattava, evidentemente, di versi danteschi.            Al Prof. Vincenzo Lanfranchi, ottimo cattolico, latinista e professore universitario, verso il quale Don Bosco doveva avere un debito da pagare, forse un mutuo, scriveva una lettera in data 16 luglio 1865, in cui includeva i versi seguenti:  «Se favorevole mi fosse il vento, Farei la rima con mille e cento. Ma che? Il marsupio[1] che fu tarlato, A cencinquanta m’ha limitato!» (E 412).            Una lettera in poesia del 14 febbraio 1872 fu indirizzata da Don Bosco, dopo la sua malattia di Varazze, alla Contessa Carlotta Callori di Vignale, nata Bertone di Sambuy (1827-1911), sua grande benefattrice.            La Contessa appena aveva saputo del miglioramento, gli aveva mandato un giubbetto di lana rossa ed estratti di carne. Ed eccone il testo:  «Alla mia buona mamma che mi mandò un giubbetto rosso e un prezioso consumè: Tanto è benefica - la mamma mia che a far buone opere - tutto darìa. Accenti deboli - solo dir posso perché mi sento - tutto commosso. Or ella mandami - un bel giubbetto che servir possami - seduto in letto, Di color rosso - me l’ha mandato e che sia martire - il segno ha dato. V’aggiunse un recipe - di consumè buono e valevole - per cento e tre. Madre Santissima - per lei pregatedi grazie un cumulo - dal ciel versate. Datele un secolo - di sanità abbia degli Angioli - la santità. Quando poi termini - cotesto esilio con voi chiamateli - e madre e figlio. La mia famiglia - sia là con lei Tutti sian meco - li figli miei. Là canteremo - dolce armonia per tutti i secoli: - Viva Maria!»Sac. G. Bosco (E 953).            Don Giuseppe Bologna (1847- 1907), salesiano che sembrava destinato in missione in India ma fu poi direttore di case in Francia, a Marsiglia e a Lilla, quando era ancora a Valdocco come Prefetto degli esterni, si lamentò una volta che Don Bosco non gli scriveva mai, ma era lui a non ricordarsi di scrivere a Don Bosco. Il buon padre, saputolo, gli inviò da Roma una lepida poesia, datata 22 gennaio 1877, nella quale fa pure allusione allo studio di parecchie lingue intrapreso da Don Bologna. (Si noti che le lettere che Don Bosco mandava all’Oratorio, si leggevano quasi tutte in pubblico):  «Tu Bologna ti lamenti perché ancora non ti ho scritto, imputandomi a delitto che neppur ti nominai. Se ricevere tu brami un saluto per la posta, manda un foglio [2] e la risposta prontamente ancor ne avrai. Ma che fai? Vengon denari? Sei spagnolo o sei francese?È il tedesco oppur l’inglese che consuma i giorni tuoi? Il Ceylan è preparato Megalor ansiosa attende, prega e il braccio tende: Vieni presto ai lidi eoi. Porta teco lunga schiera dei seguaci del Saverio. Anche a voi l’istesso imperio Dio pietoso destinò. Destinò!... Ma quante pene privazioni, affanni e stento!... Non temere - un gran contento su nel ciel preparò». Roma, 22.1. 1877 Aff.mo Sac. Gio. Bosco (E 1555).  E per concludere, ecco alcuni versi improvvisati da Don Bosco in ricreazione con i suoi ragazzi:  «Il tempo passa e non s’arresta un’ora E la morte vien dietro a gran giornate; E le cose presenti e le passate Mi danno pena e le future ancora» (MB 6, 405).  [1] Il marsupio era qui evidentemente il taschino del portafoglio di Don Bosco. [2] Cioè: mandami un tuo scritto.Natale Cerrato
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