Riprendersi la fede

Una favola di Esopo racconta: una mosca caduta in una pentola di carne, si consola: «Ho mangiato, ho bevuto, ho fatto il bagno: cosa voglio di più? Se muoio, pazienza!». Quanto è diffusa questa mentalità tra i giovani «consumisti»? Cosa fare per farli uscire dal fatalismo, suscitare capacità critica, un minimo di attenzione al futuro?

Riprendersi la fede

da Quaderni Cannibali

del 24 settembre 2009

Desiderio e nostalgia

A volte ti pare di aver perso la fede. Ma probabilmente l’hai solo lasciata atrofizzare, senza preoccuparti di farla rivivere.

«L’espressione “perdere la fede”, come se fosse una borsa o un mazzo di chiavi, mi sembra sciocca - diceva il grande Georges Bernanos -, perché non siamo noi che perdiamo la fede, ma è la fede che smette di informare la nostra vita».

Certo molti pensieri e molti desideri profondi e puliti attraversano inconsapevolmente la tua anima. Ma quella gioiosa e serena brezza che viene dalla fede non ti rende semplicemente felice.

 

Con Dio a tu per tu

La scrittrice francese Simone de Beauvoir racconta che da ragazza risolse una volta per tutte il problema dell’esistenza di Dio. Si mise davanti a un orologio e comandò a Dio di farsi vedere entro cinque minuti. Dio naturalmente non obbedì, e Simone decise, con tutta sicurezza, che Dio non esisteva e non ci pensò più.

Il fatto può sembrare assurdo o banale, ma non lo è. Il problema di «continuare» a credere alla tua età è importante e Simone aveva voluto risolverlo drasticamente, sfidando Dio.

Anche a te qualche volta sarà venuto in mente: «Se Dio esiste, perché non si fa vedere? Perché non fa giustizia e non cambia il mon­do?».

 

La svolta per ripartire

Di fronte al problema di Dio e della fede, non man­ca oggi chi scaccia il pensiero come un argomento fastidioso e difficile. E c’è anche chi ne parla in tono scanzonato, quasi per nascondere con una battuta la serietà del tema: «Io Dio non l’ho visto, ma non mi dispiacerebbe in­contrarlo...». «Personalmente non credo in Dio, ma se per caso do­vesse esistere, tanto meglio».

Probabilmente non hanno più avuto l’occasione di riciclare e dare un senso nuovo a quella fede che hanno ricevuto da bambini e che oggi sembra difficile da capire e da ritrovare.

«La Chiesa cattolica è una dimora dalle cento porte divine», afferma lo scrittore e giornalista inglese Gilbert K. Chesterton: «non ci sono due convertiti che siano entrati dalla stessa porta». Spesso riscopriamo la fede e ridiventiamo cristiani per strade diverse e impensate: ogni maturazione che ci coinvolge davvero assume molte tonalità personali. Ma tutte conducono a una trasformazione profonda, al bisogno di cancellare le esperienze negative vissute per camminare in fretta verso la vita nuova.

Pur tra tanto benessere, manchiamo oggi di molte cose di cui sentiamo l’esigenza. La fede è la più importante, perché è l’unica che dia senso al resto, colore a tutto. Mentre senza la fede le ombre diventano insostenibili. «È l’oscura luce della fede che dà un po’ di chiarore alle nostre notti, e le trasforma in notti sante» (Karl Ralmer).

 

 

PUNTI FERMI CERCASI

 

I giovani «normali»

Tanti tuoi amici, i cosiddetti «giovani normali», spesso sono insensibili e scontenti, privi di motivazioni e stimoli, menefreghisti e indifferenti. Si direbbe che chiedano soltanto di dar corso a tutte le loro emozioni e di essere lasciati in pace. Anche se essi stessi denunciano il malessere della loro età. Un atteggiamento disinvolto e sgangherato, che a ben vedere maschera il disagio.

 

Pieni di contraddizioni

Chi punta la lente sui giovani, li scopre pieni di contraddizioni. Vogliono vivere sempre pi√π a lungo in famiglia; fumano anche se fa male, ma non sopportano chi si droga e vorrebbero colpire duramente gli spacciatori; sono indifferenti alle istituzioni e alla politica, schiavi di e-Pod, di computer e telefonini.

 

Perché si vive e come si deve vivere?

Un vuoto però che la società si affretta a riempire. Andrea: «Cresce il consumo che non ti pone troppe domande, un modello di realizzazione di sé a portata di mano. Sappiamo descriverci, parlare di noi. Siamo a volte incastrati in personaggi tutti psicologici, spesso costruiti con la complicità di amici e genitori. Manca un discorso personale, affettuoso e non psicologico, che sia una chiamata a lavorare e a investire la propria vita in modo bello e generoso. Chi prende a giornata questi giovani d’oggi? Più volte mi sono chiesto: “Cosa devo fare in questa vita? Perché si vive e come si deve vivere?”. Di solito di fronte a questi dubbi mi estraniavo accendendo la radio e non pensandoci più. Ma sono soddisfatto? No! Vorrei fare qualcosa di più, ma non so neanche io cosa. Forse qualcuno conosce il suo fine, il motivo per cui è nato?».

 

Alla ricerca di senso

Celeste, una ragazza alla vigilia della maturità, ogni giorno che passa sente venir meno la voglia di reagire: non riesce a parlare, ad arrabbiarsi, a gridare e neanche a piangere. Afferma di essere caduta nel vuoto, non trova più una ragione per lottare. Dice: «La verità è che io sono sempre stata malata di solitudine e di carenza affettiva; solo che prima lo nascondevo bene, adesso non ho la forza di farlo».

Cesare Martino dell’Università Lateranense, a un convegno sul tema «I giovani di Roma tra fede e indifferenza» ha parlato della solitudine giovanile e del silenzio giovanile: «Vi sono luoghi di ritrovo giovanili assordanti con un frastuono che copre il silenzio per alcuni versi, un silenzio di protesta contro le parole vane, i luoghi comuni, i modi di dire e di fare che stancamente si ripetono. La solitudine giovanile nasce dalla percezione di non essere riconosciuti e amati, ma solo intrattenuti per motivi occasionali, per scopi minimi, per qualche cosa che è provvisorio: per una gita, per un compito in classe, per una serie di episodi slegati dalla vita cui è difficile assegnare un senso unitario». E questo nel disagio di una crescente complessità della vita, delle strutture sociali, nell’inadeguatezza di ciò che si riceve in termini educativi per poterli affrontare.

 

Il disorientamento

Qualcuno ha già gettato la spugna e cerca di mimetizzarsi, quasi scomparire dal mondo, prendere le distanze dalle miserie di ogni giorno, fuggire dalla vita. Nicola ha chiesto pubblicamente «scusa per essere nato»: « Vorrei vedere un po’ più in là, capire un po’ meglio, scendere a vivere. Chiedo vita, ma che grigiore! Sembra che questa mia vita sia il mio lavoro, il mio successo, quello che farò, non ciò che sono, ciò che sarò. Mi accorgo che viviamo alla giornata, campiamo a morire, senza disegni. Siamo impantanati in quest’ossessione ritmica da discoteca, da rock volgare».

 

Umberto De Vanna

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