Intervista al Commissario Tecnico degli Azzurri, che ha ricevuto il premio "campione nella vita, campione nello sport". Nello sport il Mister della Nazionale: «io ci sono cresciuto, è una scuola di vita. I pomeriggi all'oratorio li ricordo bene...».
del 11 aprile 2012(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));
Intervista al Commissario Tecnico degli Azzurri, che ha ricevuto il premio 'campione nella vita, campione nello sport'. Nello sport il Mister della Nazionale: «io ci sono cresciuto, è una scuola di vita».          I pomeriggi all’oratorio li ricorda bene. «Abitavo di fronte alla parrocchia e da ragazzino dovevo soltanto scavalcare un muretto per raggiungerlo. Praticamente ci passavo le mie giornate». Forma zione a tutto tondo, non solo sportiva, quella di Cesare Prandelli, ct della Nazionale, grazie al “Campetto” parrocchiale e a quel parroco, «il mitico don Vanni», che lasciava giocare i ragazzi solo dopo aver finito i compiti e prestato servizio in parrocchia. Una formazione che Prandelli non dimentica e anzi rilancia: «Oggi - dice - l’oratorio andrebbe senz’altro riscoperto. Anzi, dovrebbe essere obbligatorio far lo frequentare ai ragazzini». Ha appena centrato il pass agli Europei 2012, con un ruoli no di marcia di tutto rispetto (otto vittorie e due pareggi) e ha avuto l’importantissimo merito di aver saputo recuperare giovani di grande talento, ma dal carattere bizzoso, come Balotelli e Cassano. Senza con tare che grazie a lui si è riacceso l’interesse dei tifosi nei con fronti della selezione italiana di calcio. Vincitore di due “Panchina d’Oro” (2006 e 2007), del premio come “Miglior allenatore dell’anno 2008” e del premio ‘Tacchetti 2009”, Prandelli ha di recente ottenuto un altro prestigioso riconoscimento, il premio dell’Unione stampa sportiva italiana “Campione nella vita, campione nello sport”, consegnatogli a Verona.
Mister Prandelli, questo premio le viene conferito nell’ambito dell’iniziativa “Educare alla vita attraverso lo sport”. In che modo, dunque, lo sport può essere maestro di vita per i giovani?
          Ho lavorato tanti anni nel settore giovanile dell’Atalanta. E noi allenatori eravamo tutti convinti che il nostro compito fosse quello di crescere i ragazzi non solo sotto l’aspetto tecnico- sportivo, ma anche sul piano comportamentale. E ritengo che sia questa la strada che tutti gli educatori debbono intraprendere.
Che tipo di difficoltà ha, però, incontrato?
          Esistono esigenze di squadra che a volte ostacolano questo processo di crescita. I dirigenti con i quali mi sono dovuto confrontare erano tutto sommato d’accordo sulla necessità di un controllo dei ragazzi che partisse dalle pagelle scolasti che e arrivasse ad un coinvolgimento costante dei genitori, ma poi a fronte di investimenti anche cospicui, intendevano ottenere soprattutto un ritorno economico. Secondo me van no aiutati anche coloro che gestiscono le società di calcio a capire che crescere sul piano umano aiuta a crescere anche su quello tecnico e atletico.
Nella sua personale esperienza l’oratorio ha avuto un ruolo importante come luogo di crescita ed educa zione. È arrivato forse il momento, per le attuali generazioni di ragazzini, di ri scoprirlo?
          L’oratorio per me è stato a dir poco fondamentale. Fra l’altro ho sempre vissuto proprio di fronte alla parrocchia del mio paese, Orzinuovi (in provincia di Brescia, ndr), e da ragazzino dovevo soltanto scavalcare un muretto per raggiungerlo. Praticamente ci passavo le mie giornate: ricordo che c’era il mitico don Vanni il quale ci la sciava giocare solo dopo aver portato a termine tutti i nostri doveri: i compiti per la scuola e mettere in ordine gli spazi dell’ora torio utilizzati. Era un posto che noi bambini sentivamo nostro. Oggi andrebbe senz’altro riscoperto. Anzi, dovrebbe essere obbligatorio far lo frequentare ai ragazzini. Li aiuterebbe senza dubbio nel lo ro percorso umano.
In questo senso in che modo può essere d’aiuto l’esempio dei campioni della “sua” Nazionale, che di recente hanno dato un impor tante segnale contro la criminalità organizzata in Calabria?
          Quando la Nazionale fa qual cosa, tutto viene enfatizzato e amplificato. È giusto, quindi, intervenire laddove è possibile. Quando don Luigi Ciotti ci ha chiesto aiuto per poter per mettere ai bambini di Rizziconi di tornare a giocare in quel campetto (situato su un terre no confiscato alla ‘ndrangheta, ndr), che da sette anni per questioni burocratiche non poteva essere utilizzato, ci è sembrato importante dare un segnale da parte nostra andando a gioca re una partita.
Quali sono le difficoltà nel gestire i giocatori di calcio, che spesso appaiono lontani dalla realtà quotidiana delle persone...
          La maggioranza dei calciatori è migliore di come viene dipinta. Certo, ci sono numerosi filtri fra il giocatore di oggi e la gente comune e questo non aiuta a capire bene di chi stiamo parlando. Ai miei tempi negli spogliatoi, nel dopoparti ta, c’erano giornalisti e tifosi che ti vedevano per quello che eri: una persona normalissima. Noi calciatori crescevamo confrontandoci tranquillamente con la gente. Oggigiorno il ragazzo che arriva al professionismo viene quasi subito blindato dal proprio procuratore che, in questo modo, lo allontana dalla realtà. L’operazione che stiamo facendo in Nazionale da un anno e mezzo è proprio quella di far avvicinare il campione alla gente, facendo capire che stiamo parlando semplicemente di persone.
Però giocatori come Balotelli e Cassano non sono sicuramente facili da gesti re... Ma grazie a lei sembrano cambiati.
          Non ho fatto nulla di partico lare. Il primo giorno di convocazione in Nazionale ho spiegato semplicemente che a me piace coinvolgere i giocatori e ciascuno si deve sentire responsabile delle proprie azioni. Abbiamo discusso su quel lo che dev’essere il nostro comportamento quando stiamo insieme e sono stati gli stessi ragazzi a farmi delle proposte, che abbiamo condiviso. Se abbiamo recuperato Mario o Antonio è perché loro avevano bi sogno di dimostrare di possedere valori importanti. Pur troppo nel calcio, come nella vita, quando si nasce con un’etichetta è difficilissimo poi togliersela. Io ho suggerito loro di non avere paura delle proprie emozioni. Secondo me tutti dovremmo vivere di emozioni e imparare contemporaneamente a gestire i pensieri che arrivano dalla pancia attraverso il confronto con gli altri.”
Un’ultima domanda: Spagna, Croazia e Irlanda nel girone dell’Italia agli Europei 2012. Che sensazioni ha?
          Siamo partiti un anno e mezzo fa in una situazione desolante e caratterizzata da tanto pessimismo. Abbiamo lavorato be ne riportando un po’ di entusiasmo attorno alla Nazionale. Siamo addirittura diventati una delle squadre che, potenzialmente, possono vincere quel torneo. Noi ovviamente andremo in Polonia e Ucraina per arrivare in fondo. Probabilmente ci sarà qualche squadra più forte di noi, ma ce la metteremo tutta per ottenere questo risultato. L’importante è partire con lo spirito giusto.
Ernesto Kieffer
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