√â stato un prete che ha incarnato il Vangelo contro quelle che Von Balthasar chiamava le “forze anticristiche del male”, che possono essere mafia o qualunque altro forma che il male incarna nella storia del mondo.
La Chiesa siciliana e non solo sta contando le ore che la separano da sabato prossimo (25.05.2013), giorno in cui, alle 10.30 – in una grande celebrazione all’aperto al Foro Italico “Umberto I” di Palermo – sarà elevato agli onori degli altari don Pino Puglisi. Il sacerdote, ucciso da sicari della mafia il 25 settembre 1993, viene riconosciuto e venerato dalla Chiesa come martire. La sua parabola esistenziale ha lasciato un segno profondo nella coscienza dei siciliani. Lo racconta don Alessandro Maria Minutella, parroco a S. Giovanni Bosco, la parrocchia dove don Puglisi mosse i primi passi:
R. – Credo che la Beatificazione servirà a indicarlo ancor di più come modello e non solo per la Chiesa di Palermo, giacché don Pino - e questo mi pare importante che venga sottolineato - non è stato un prete antimafia, ma è stato un prete che ha incarnato il Vangelo contro quelle che Von Balthasar chiamava le “forze anticristiche del male”, che possono essere mafia o qualunque altro forma che il male incarna nella storia del mondo. Ecco perché lo si può chiamare martire: perché è stato ucciso in “odium fidei” e quindi è un modello da presentare non solo per i preti di Palermo, per la Chiesa di Palermo e della Sicilia, ma penso che ovunque possa essere un modello da imitare, come tutti i martiri. Poi, penso sarete informati del fatto la riesumazione del corpo ha dimostrato che il corpo pressoché intatto: quindi questo è anche un segno molto bello. I suoi resti mortali adesso si trovano nella cattedrale di Palermo e c’è un’attesa molto forte per questa celebrazione, che farà fatta sabato sul lungomare di Palermo.
D. – In che modo, oggi la Chiesa può impegnarsi contro la mafia?
R. – Don Puglisi amava ripetere un’espressione che è diventata un simbolo: “E se ognuno fa qualcosa, allora tutto può cambiare!”. La mafia molte volte vive di quel retroterra culturale che è fatto di immobilismo, fatalismo… Lui spingeva invece verso una cultura dell’impegno collettivo, alla ricerca del bene comune. E questo alla luce dei valori del Vangelo.
D. – Ci sono ancora dei religiosi, dei preti minacciati, o no?
R. – Non ci risulta, per quanto ne sappiamo, che vi siano casi eclatanti di minacce specifiche. Tuttavia, è chiaro che sia una frontiera pastorale che i preti, soprattutto delle zone periferiche, delle zone più a rischio, conoscono molto bene. In questo senso, don Pino può diventare un modello, un esempio, uno sprone ad andare avanti. Diceva Santa Teresa di Lisieux: “Tutti gli eroi valgono meno di un solo martire”.
D. – Vorrei sapere qual è la sua azione pastorale in questo quartiere di Palermo?
R. – Io sono parroco di questa parrocchia dove don Pino è cresciuto, dove ha mosso i primi passi, ed era anche nella zona dove lui abitava, dove aveva questo piccolo appartamento davanti al quale, proprio all’ingresso di casa sua, è stato ucciso. La parrocchia è una parrocchia eterogenea: ci sono varie condizioni sociali. Si cerca di portare avanti una pastorale che metta in primo luogo il primato di Dio, perché la civiltà cristiana è anche la civiltà che costruisce l’uomo nella sua integralità e nella sua interezza. Questo sforzo che don Pino metteva in atto è anche quello che tentiamo di fare qui noi.
D. – Padre Puglisi aveva creato un centro per i giovani, il "Centro Padre Nostro": quali sono i frutti di questo centro?
R. – Intanto, ha voluto chiamarlo così proprio in riferimento all’amore del Padre, un tema che in questo momento Papa Francesco sottolinea molto, anche perché Papa Francesco parlava qualche tempo fa di una "classe media" della santità, di cui tutti possiamo far parte. Don Pino è stato capace di incarnare – potremmo dire – questo ceto medio della santità nel territorio, dove lui operava: ha lavorato per i più giovani, per i ragazzi che stavano per la strada, cercando di inculcare in loro l’amore per la vita, l’amore per i valori e quindi anche l’amore, in ultima istanza, per il Vangelo.
D. – E questo funziona? I giovani sono sensibili a questo messaggio?
R. – Bisogna sempre lottare e faticare. In questo senso è importante anche raccogliere l’eredità impegnativa che don Pino lascia: la sua è una testimonianza che è una cifra dell’amore che scaturisce dal cuore. Ecco, don Pino si è impegnato a portare questa splendida luce del Vangelo sempre attuale, in una delle periferie del mondo. E Papa Francesco ha sottolineato questa attenzione alle periferie e quindi mi piacerebbe pensare proprio che la sua testimonianza aiuti tutti i preti come me e come gli altri che sono impegnati nelle periferie del mondo a non lasciarci prendere dell’endemico virus del disfattismo, della contrazione del lamento, della piaga del fatalismo, ma a lottare con fiducia, con gioia, sapendo che Cristo ha vinto.
don Alessandro Maria Minutella
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