Sala d'aspetto della ginecologa. Dialogo tra una mamma, mamma 1 e mamma 2

“Niente papà che si perdono in brodi, minestrine o quant'altro per la nostra piccola” intona con orgoglio mentre accarezza il grembo dell'amica: “Ci saremo noi due a crescerla”.

Sala d’aspetto della ginecologa. Dialogo tra una mamma, mamma 1 e mamma 2

 

Sala d’aspetto della ginecologa.

Come arrivo, mi siedo accanto alla signora col pancione, e proprio da lei mi sento adulare con quello che dovrebbe essere un complimento:

“Ma che figurino che hai! E magari sei già all’eco del quinto mese: che invidia, hai giusto un bozzolo sul davanti; non come me…” e abbassa giù lo sguardo fiero. Anche io – ahimè – sposto verso il basso gli occhi: il punto è che non sono incinta.

“A dir il vero, sono qui per il pap-test… Tu invece mi pare che tra poco sarai in buona compagnia! Il primo? Maschio o femmina?”

“Primo. E sarà femmina!”

“Ottimo! Vedrai il papà come andrà in brodo di giuggiole… Sai, io ho due femmine, e non appena mio marito le…”

Non faccio in tempo a terminare la frase, che un’altra signora – dall’aria più minuta – interviene a gamba tesa:

“Niente papà che si perdono in brodi, minestrine o quant’altro per la nostra piccola Rita” intona con orgoglio mentre accarezza il grembo dell’amica “Ci saremo noi due a crescerla”.

“Oh mamma!” mi scappa detto.

Cerco di ricompormi, mentre loro mi raccontano in breve dell’Olanda, dell’inseminazione, dell’attecchimento… E non parlano di tulipani.

“Tu, dunque hai due figlie” riprende mamma-snella “allora avrai un sacco di esperienza… A questo proposito, volevo chiederti secondo te, qual è il latte artificiale migliore, quello a minor rischio di intolleranza..”.

“Oddio, non saprei” confesso “le due femmine le ho allattate io; col maschio ho usato sì una formula, ma non ricordo il nome: era il primo tipo che mi aveva consigliato la pediatra ed è andato subito bene. Speriamo che anche vostra figlia sia… sia… un tipo tollerante!”.

In un attimo, mi accorgo che ho appena stressato un po’ troppo l’accento sull’ultima parola, ma pare che non se ne siano accorte. Tiro dritto: “Ma perché pensare già al latte artificiale? Fate come volete, ma allattare al seno sarebbe più comodo per voi e più sano per la bimba…”.

“Visto?” interviene mamma-panciuta con un’occhiataccia alla compagna “Non escludiamo l’allattamento al seno!”. “Eh no, amore mio, ne abbiamo già discusso fin troppo: tu partorisci, e io allatto. Non vorrai mica fare tutto tu… E poi” si rivolge a me “è utile una divisione dei ruoli, dei compiti, vero?”

Oddio, per un attimo mi sfiora l’idea di uno scambio dei ruoli a casa nostra: fortuna che mio marito non poteva ‘prendersi’ l’allattamento, perché credo che io non avrei mai saputo montare in due ore una libreria-billy-tuttaparete per la cameretta. Quello sì, sarebbe stato un travaglio.

“Sì, certo” rispondo “non lo dico solo io, ma è risaputo: è utile che dopo qualche mese dalla nascita, entri in gioco qualcuno che scardini lo stretto binomio mamma-figlio dell’inizio, che tagli insomma il cordone… E per farlo ci vuole appunto una figura risoluta, complementare al genitore che ha partorito, completamente diversa… Come… come… un’altra mamma!”

E cosa potevo mai dire altrimenti? Il discorso si sta facendo ben più contorto del cordone ombelicale e io inizio ad avvicinarmi le unghie ai denti. Pessima abitudine.

“Tanto più che” interviene la mamma-probiberon indicando la compagna “lei ha già i suoi problemi di pressione bassa; non vorrei mai si sciupasse troppo con lo stress di dover nutrire la piccola… Anche perché se le succedesse qualcosa, il peggio intendo, la bimba andrebbe direttamente sotto la custodia dei nonni: per la legge italiana purtroppo io sono un’estranea per nostra figlia”. Caspita: se la mamma naturale mancasse, Rita passerebbe da due a zero genitori in un colpo solo. Scodellata da genitori-gay prima, a genitori-nonni poi. Una situazione bislacca, frutto non tanto di una legge sbagliata (il diritto difende giustamente il legame biologico), quanto di un’azione forzata a monte. Ma sùvvia, non pensiamo al peggio: sono convinta che almeno l’angelo custode di Rita avrà le spalle forti.

“Mi togliete una curiosità” domando “ma come avete fatto a decidere chi, tra voi due, avrebbe portato in grembo il piccolo? Non credo abbiate tirato a sorte…”.

Mamma-nonsidirebbe prende la parola per prima e spiega: “Bè, vedi, non è stato difficile. Io ho sempre fumato, e con una certa regolarità. Ho provato a smettere, ma non ci sono riuscita. Dunque, avendo la possibilità di scegliere un corpo fra i nostri, abbiamo preferito che fosse lei a fare la fecondazione…”.

“Mi pare giusto!” Non saprei cosa aggiungere.

Avendo la possibilità… Ma se qualcosa è possibile, allora è anche giusto? Ripenso a me, mio marito e alla ‘nostra prima gravidanza’. Se avessimo avuto noi la possibilità di scegliere, come sarebbe andata a finire? Io, sarei stata disposta a rinunciare alla gestazione? E lui invece, si sarebbe davvero astenuto da nove mesi di affettati misti? A volte è proprio meglio non dover scegliere.

Certo che non dev’essere stato nemmeno facile per loro: per arrivare a sotterrare l’opportunità di procreare sotto un pugno di tabacco, ci vuole una buona dose di fegato (oltre che bei polmoni). All’improvviso, passando per un inevitabile confronto, vedo il mio incasinatissimo passato di famiglia-con-bimbi-piccoli come un’esperienza tremendamente semplice e logica.

Per la prima volta, realizzo che l’aver assecondato la Natura ci ha tolto da un sacco di casini.

Arriva il loro turno e ci salutiamo. Riporto l’attenzione su di me. Dovrò decidermi a mettermi a dieta. Dovrò smettere di tormentarmi le unghie; sì, perché – per quanto riguarda i miei tre bei pargoli – di mamma ce n’è una sola: e varrà la pena conservarla per il meglio.

 

 

Marcella Manghi

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