Salviamo i giovani per salvare il paese

E da allora la situazione è peggiorata. Gli oggettivi bassi salari dei giovani lavoratori vengono da essi stessi ritenuti inferiori rispetto alla propria formazione e ancora più bassi rispetto alla necessità di vivere autonomamente.

Salviamo i giovani per salvare il paese

da Attualità

del 03 febbraio 2010

 

          La situazione è, senza ombra di dubbio, pesante. Nel nostro Paese i giovani sono pochi, lavorano in pochi, sono poco pagati. Fra i 27 Paesi della Unione Europea l`Italia, ad eccezione della Germania, ha la più bassa proporzione di giovani dai 15 ai 35 anni frutto di una denatalità anticipata e prolungata.

 

          Ci troviamo quindi di fronte alla ulteriore riduzione di una risorsa già scarsa che peraltro non abbiamo saputo valorizzare, perché se è vero che il tasso di occupazione dei giovani adulti è aumentato negli ultimi 15 anni, prima della grande crisi economica e occupazionale, è anche vero che l`occupazione è stata soprattutto atipica e precaria. In queste condizioni la permanenza in famiglia dei giovani è diventata 'patologica' per effetto di una lentissima transizione allo stato adulto. La famiglia rappresenta l`unico vero e duraturo ammortizzatore sociale per i giovani, dal momento che i vincoli costituiti da un lavoro precario e poco pagato sono molto forti oggettivamente e anche soggettivamente. Un giovane non se la sente di abbandonare la casa dei genitori che offre confort, assistenza e riparo dalle varie intemperie della vita.

          L`iniziativa dei giovani va incoraggiata verso forme di lavoro per le quali vi è anche in prospettiva occupazione, in primo luogo per quanto riguarda l`assistenza alla persona, specie se anziana, alla famiglia e in generale nel settore dei servizi, per i quali non sempre si è disponibili a lavorare individualmente. Si può pensare però a forme cooperative che suddividendo il lavoro fra più persone e su più turni possono renderlo più accettabile. Anche nel settore dell`agricoltura, la forma cooperativa può essere un incentivo ad accettare un lavoro in un settore che peraltro si gioverebbe in molti casi di proposte innovative che dai giovani potrebbero venire più facilmente. Ma lavorare si può anche nel settore dell`artigianato, certamente ricco di opportunità, che nondimeno non mancano nemmeno nel settore industriale.

          Insomma prendere il lavoro che c`è, magari rendendolo più accettabile proponendo nuove modalità organizzative. Particolarmente complessa è infatti la condizione lavorativa dei giovani laureati rispetto ai coetanei con un titolo di studio inferiore: tassi di occupazione più bassi; tassi di disoccupazione più elevati; tassi di occupazione atipica e precaria decisamente più elevati. Caso unico nei Paesi sviluppati e in Europa. Principale spiegazione la carenza di domanda di lavoro qualificato: secondo la Unione delle Camere di Commercio, nel 2009 solo il 10% delle imprese prevedeva di assumere laureati, che rappresenterebbero il 12% delle nuove assunzioni.

          Al contrario, sono rimasti elevati i livelli della domanda di lavoro poco qualificato, largamente soddisfatta dagli intensi flussi di immigrazione dall`estero negli ultimi anni. Come mostrato da varie indagini, tra i giovani il reddito netto dei lavoratori non stabili è decisamente inferiore rispetto agli altri; da un lato quindi la tipologia contrattuale prevalente spinge verso un salario 'ridotto' e dall`altro la flessibilità in Italia è spesso associata alla precarietà (discontinuità dell`occupazione; retribuzioni insufficienti a coprire periodi di non lavoro; non piena accessibilità a tutele sociali adeguate). Indagini hanno mostrato che nel 2002 i salari d`ingresso dei giovani erano inferiori a quelli di dieci anni prima e pari a quelli di venti anni prima; questa riduzione dei salari d`ingresso non è stata nemmeno controbilanciata da una crescita delle retribuzioni più rapida.

          E da allora la situazione è peggiorata. Gli oggettivi bassi salari dei giovani lavoratori vengono da essi stessi ritenuti inferiori rispetto alla propria formazione e ancora più bassi rispetto alla necessità di vivere autonomamente. La differenza media annuale dei redditi netti dei giovani che vivono nella famiglia di origine e di quelli che sono usciti è di circa 4 mila euro. Da qui anche la necessità di disporre di alloggi a costo assai contenuto che possano garantire la mobilità territoriale dei giovani, che peraltro si dichiarano in larga misura disponibili ad accettare un lavoro, ovunque si trovi.

          Nei giorni scorsi è arrivata la proposta del ministro Renato Brunetta, del Partito della libertà, di dare 500 euro ai figli prendendo i soldi dalle pensioni di anzianità o dalle pensioni di invalidità riducendone l`accesso e il godimento; già diversi anni fa un professore di economia, attuale senatore del Partito democratico molto attento alle questioni sociali, Nicola Rossi, aveva pubblicato un libro che proponeva di dare meno ai padri e di più ai figli. Il problema quindi è sentito tanto a destra quanto a sinistra, né potrebbe essere diversamente. Non si possono buttare via intere generazioni di giovani. Non si possono perdere la loro vivacità, la loro preparazione, il loro impegno, il loro stimolo sull`economia e sull`intera società italiana. Salvando loro, com`è necessario, salviamo il Paese.

Antonio Golini

http://www.piuvoce.net

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