Due testimonianze vive, di giovani che hanno avuto il coraggio di donarsi completamente agli altri, fino ad essere disposti a sacrificare la loro vita
Salvo è un frutto significativo del Sistema preventivo, un exallievo che fa onore a tutti gli exallievi delle Figlie di Maria Ausiliatrice e dei salesiani. Uno di quelli riusciti “onesti cittadini e buoni cristiani”. Come cittadino ha onorato lo Stato, servendolo con scrupolo e dedizione nell’arma dei carabinieri. Come cristiano giunse all’atto eroico di offrire la sua vita per salvarne molte altre. Il suo sacrificio lo avvicina a Cristo, del quale Caifa profetò: “conviene che uno solo muoia per il popolo” (Gv 11,50), o al grido di Paolo ai Romani: “Nessuno muore per se stesso!” (Rom14,7), e ai Corinti: “Uno solo morì per tutti” (2Cor5,14). Lo stesso suo nome sembra una profezia della sua vita.
Facendo una rilettura pedagogica di D’Acquisto, la prima cosa che mi viene in mente è che si tratta di una vita racchiusa in un episodio. È vero, ma certamente non ci sarebbe stato eroismo se non ci fosse stato un retroterra di formazione seria e insistita ai grandi valori del dovere e del sacrificio, fili indispensabili del tessuto educativo. Allora, se è vero che non tutti sono chiamati al martirio, è altrettanto vero che tutti siamo chiamati a esservi disposti. Chi avrebbe mai detto che in quel ragazzotto in divisa si nascondesse un eroe? Conosciamo altri casi in cui la storia dà frustazioni a noi educatori, e ci invita a intuire e sviluppare le potenzialità nascoste di coloro che siamo chiamati a educare. Ancora una volta si deve ripetere che non siamo quello che siamo, ma quello che siamo chiamati a essere…
Sean, nato nel 1963 a Yateley in Inghilterra, fu allievo al Collegio salesiano di Farnborough dal 1975 al 1982.Dopo la laurea in geografia ed educazione fisica a Birmingham e il master a Exeter, divenne insegnante nella scuola salesiana di Chertsey nel Surrey nel 1986. In questi anni fu membro entusiasta e attivo dei cooperatori salesiani e degli exallievi. Prese parte a molte attività giovanili in Inghilterra e fuori. In uno dei suoi viaggi all’estero, per partecipare alla consulta mondiale dei Giovani Exallievi, incontrò Giovanni Paolo II a Roma. Dopo quell’incontro prese una decisione importante per la sua vita: partire per l’Africa come volontario laico presso i salesiani in Liberia. Realizzò il suo sogno nel febbraio del 1989, quando poté partire per la missione salesiana di Tappita, dove prese servizio alla St Francis School. Quando la scuola chiuse a causa dello scoppio della guerra civile, nel 1990, Sean cominciò a lavorare con l’ONU, sempre come volontario, coordinando la distribuzione di cibo prima nelle più remote parti della Liberia, poi fra i profughi liberiani in Guinea.
La grande scelta della sua vita era ormai stata fatta: si trovava in una delle nazioni più povere dell’Africa per aiutare i bambini e i ragazzi; avrebbe continuato a farlo fino al termine del contratto che lo legava all’ONU. L’opposizione alla guerra gli creò problemi con i ribelli che in un’occasione lo malmenarono duramente. Quando nel 1992 rientrò in patria, cominciò a lavorare con l’UNICEF e venne inviato in Somalia a Kismayo, 250 chilometri a Sud di Mogadiscio. Era il settembre 1992. Una sua lettera datata 15 novembre dipinge con colori drammatici la triste situazione del paese: “Senza dubbio avrete visto in TV le immagini orribili dei bambini che muoiono di fame. È una triste realtà che è stata creata dall’avidità degli uomini e non da disastri naturali… La mia vita è fatta di alti e bassi. Sono frustrato e stomacato quando devo trattare con le autorità, le guardie e gli imprenditori. Al contrario, tutto cambia quando ho la fortuna di lavorare sul campo e vedere quanto i centri di nutrizione e i posti sanitari stanno funzionando bene, quando entro in contatto con la faccia più pulita dell’umanità”.
l padre ci testimonia: “Sean trovava orribile dover portare aiuti agli affamati d’Africa lottando contro tutto e contro tutti". Parlava con tutta franchezza dell’anarchia di un paese dove la gente stava soffrendo così tanto, e dell’insensibilità che lo circondava; denunciava la corruzione dei capi e l’egoismo profittatore. Questo può essergli costata la vita! L’attacco assassino nel porto di Kismayo (il 3 gennaio 1993, dopo che aveva rifiutato la scorta armata che in quel paese era quasi obbligatoria; non aveva mai nascosto il suo disdegno per la guerra e per i signori della guerra che da questa traevano profitto) ha posto fine a una vita di coraggioso ideale. Quando gli parlavamo dei pericoli e dei rischi del suo lavoro, la risposta era sempre la stessa: «finché il mio cuore batte, devo fare ciò che penso di poter fare, aiutare quanti sono meno fortunati di me»”.
Sean, l’uomo del sorriso luminoso, del coraggio, dell’impegno, della coerenza, ha dato la sua vita lavorando per aumentare le aspettative e le possibilità della gente, per ridar loro dignità e speranza! L’Africa ha bisogno di persone come lui impegnate a creare speranza e futuro.
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