In apparenza un pezzo sul Natale (per fare a gara coi commercianti, che lo preparano in forte anticipo). In realtà è sull'attenzione ai particolari, significativi anche per la fede. Piccolezze, se si vuole: però significative. Come la pecorella del presepe, di cui i bambini si accorgono, mentre noi, presi dal messaggio, la perdiamo di vista.
del 07 novembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 
 
          «Che bella la pecorella!» è un'espressione classica di chi sosta davanti al presepe. Tipica dei bambini e un po' mortificante per l'autore, convinto d'aver architettato una grande opera, dice la capacità dei dettagli di farsi notare più della scena principale.
          Certo, fare tanta fatica e sentirsi apprezzati per una minuzia... fa dubitare che il messaggio del Natale venga colto. E si rimpiangono i linguaggi capaci di pilotare lo sguardo, dissolvendo ciò che non ha importanza e portando luce su ciò che ne ha. Cosa che nel presepe non riesce, perché tutto si fa guardare. Benché tutto sia caotico e sgangherato. Perché tutto ha diritto d'esserci: anche lo specchio per il laghetto, anche le case e le piante - di ogni stile e dimensione - sistemate una accanto all'altra senza badare troppo alla prospettiva. Per non parlare delle statuine. D'altra parte gli attori mica possono essere scelti come nel cinema: qui chi c'è c'è, tutti inclusi e nessuno escluso, perché quel bambino è un dono al mondo. Ed è indicativo che ogni anno, tra le statuine, ci siano delle new entry piuttosto che delle eliminazioni. 
          Tuttavia varrebbe la pena domandarsi se, nel presepe, ci sia davvero tutto. Se non manchi un particolare, che una volta c'era e ora non più. Ignorato dalle statuine standardizzate, fatte al tornio o negli stampi, ma presente nelle raffigurazioni della Natività dal X al XV secolo... dove Giuseppe è seduto in disparte e guarda altrove, talvolta con la testa poggiata sul palmo della mano. Perché medita il mistero di una nascita che di lui non ha nulla. Oppure sta sognando l'angelo del Signore che gli parla. È singolare che i Vangeli non abbiano conservato memoria di una parola di quest'uomo, eccetto quelle servite a svelare il contenuto dei suoi quattro sogni. Anche se di Giuseppe i Vangeli ricordano bene - più volte - un'azione importante: quella di prendere con sé, prima la sposa e poi il bambino con sua madre. Gli occhi visionari di Giuseppe, di cui poco ci si accorge in quanto semichiusi, sono tra le cose più profonde delle Natività: fissano un pensiero, anzi un mistero, e, insieme, evocano la tragedia che incombe, levando al presepe ogni sdolcinatezza.
          Perché non auspicare che la statuina di Giuseppe possa tornare ad avere lo sguardo assorto e la postura di quelle antiche pitture? Aiuterebbe, tra l'altro, i genitori a donare ai figli qualche parola di accompagnamento: sì, provare a immaginare dove guarda San Giuseppe è evangelizzare a partire dai particolari. Un compito che non finisce dopo aver riposto il presepe in cantina, ma che può trarre spunto da ogni immagine d'arte sacra, se è vero che «Dio è nei dettagli» (lo hanno detto in tanti, da Gustave Flaubert ad Aby Warburg, a Ludwig Mies van der Rohe...). Non ci sono lezioni da preparare né da sorbirsi: c'è soltanto da aggiungere a un'immagine una didascalia, o una domanda, o un racconto. Per non restare in superficie. 
           Nel corso dell'anno, ci saranno altre occasioni per venire a contatto con opere d'arte. Nella Settimana Santa, davanti a una Lavanda dei piedi, si può far notare il grembiule, di cui il Signore si è cinto per asciugare i piedi dei Dodici: una delicatezza, che dice il modo di compiere un gesto di carità. Oltre a evocare la fortunata metafora creata da Don Tonino Bello - la Chiesa col grembiule - per rammentarle la vocazione al servizio. Altro particolare da rimarcare è Pietro che si tocca la testa, mentre chiede a Gesù: «Non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». E il Signore risponde: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Parole pronunciate pensando a Giuda, che, girato dall'altra parte, sta provando vergogna per ciò che sta per accadere.
          Quando ci imbattiamo in un'opera che racconta cosa è avvenuto dopo, possiamo trovare immagini che ingenerano equivoci se non ci sono parole a spiegarle. Ad esempio, nella Cattura di Cristo del Sassetta, si può pensare che gli apostoli se la siano data a gambe. Mentre il quarto evangelista scrive che fu Gesù a metterli in salvo, avendo detto ai soldati: «Se cercate me, lasciate che questi se ne vadano» (Gv 18,8). 
           Ciò non significa che il linguaggio delle immagini dica meno di quello verbale. Un'altra Cattura, dipinta da Giotto agli Scrovegni, mostra come sia pure capace di dire di più e di meglio. In altri termini, come le figure godano di autonomia e non siano necessariamente illustrazioni di parole. Se è vero che all'artista è impossibile rendere l'espressione di Gesù secondo Matteo («Amico, per questo sei qui!»), gli riesce però un numero eccezionale: la creazione di una bolla di silenzio nel mezzo di una bolgia. Un silenzio nel quale Gesù e Giuda dialogano con gli occhi. È incredibile come, nella tensione estrema di persone che si fronteggiano al buio, con armi e fiamme che si agitano minacciose sulle teste, tra mani che strappano, tagliano, bastonano, sorreggono e indicano... Gesù trovi il tempo di fissare negli occhi colui che l'ha svenduto. Impietrito (l'unico di tutta la scena), riceve un bacio e un abbraccio che non sembra ricambiare, avvolto com'è dal mantello di Giuda. Formidabile invenzione, questo mantello pieno di luce, con cui Giotto copre due corpi (e i loro particolari) per isolare due sguardi: l'unico particolare da osservare, o il più importante.
          Piccolezze, se si vuole: però significative. Come la pecorella del presepe, di cui i bambini si accorgono, mentre noi, presi dal messaggio, la perdiamo di vista. Mentre, grazie a lei, potremmo dire sottovoce che quel Bambino s'offrirà come un agnello sacrificale. Non sempre c'è bisogno di spiegare, di proclamare e di aver risposte su tutto. A volte è bene lasciar spazio all'evocare e al contemplare (come fa Giuseppe): anche questi sono dettagli da non trascurare.
Gian Carlo Olcuire
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