C'è una verità non vista nella situazione attuale dell'umanità. Il suo mancato riconoscimento è la causa principale del nostro perenne essere in crisi. Crisi economica, etica, sociale, politica, ecologica. Finché questa verità è ignorata, sappiamo solo dividerci, come se provenissimo da un'origine che spezza l'unità dell'umanità.
del 17 dicembre 2008
C'è una verità non vista nella situazione attuale dell’umanità. Il suo mancato riconoscimento è la causa principale del nostro perenne essere in crisi. Crisi economica, etica, sociale, politica, ecologica. Finché questa verità è ignorata, sappiamo solo dividerci, come se provenissimo da un’origine che spezza l’unità dell’umanità. Ogni individuo smette di essere una crisi vivente e un soggetto incapace di vedere negli altri i suoi fratelli e le sue sorelle, quando scopre di essere una creatura. Allora può decifrare il messaggio segreto, non verbale ma scritto nella sua carne, che la vita gli rivolge. È la vocazione a realizzare la verità umana scoprendosi creature fino a diventare compiutamente persone.
Di solito si crede che la stoffa dell’umano sia l’intreccio di natura e cultura. Ma la natura è un’ambivalenza irrisolta. È nel contempo lotta e ospitalità, salute e malattia, sovrabbondanza e limite, massima espressione di bellezza e impossibilità della parola, vita e morte. La natura non ha una legalità e un ordine compiuto. La cultura, a sua volta, sembra sapersi costruire solo per contraddizione con la natura. Così diviene una cultura arbitraria, che sfocia nell’artificiale e nel virtuale, più che nella tessitura di una condizione adeguata per i viventi. Infatti la cultura, intesa come civiltà umana globale, sta distruggendo la natura. L’una e l’altra hanno bisogno di un orientamento. Il dualismo di natura e cultura viene interpretato secondo due modalità sbagliate: cultura contro natura, o cultura secondo natura. Nella prima modalità la cultura è una megamacchina, come dice Serge Latouche, di dominio e di distruzione; nella seconda modalità, invece, l’uomo si consegna a un presunto ordine naturale che è al di sotto della libertà, della responsabilità e della sua creatività. Siamo la coscienza, la voce, i custodi del mondo naturale, non i suoi imitatori o i suoi sudditi.
La prospettiva cambia se si coglie nella condizione dell’essere creatura la chiave del problema.
Mentre le antropologie correnti si incartano nel dualismo natura-cultura, riducendo l’uomo a un animale aggettivato (animale razionale, o sociale, o economico), è tempo di riconsiderare l’identità umana universale con lo sguardo di un’antropologia della creaturalità. Essa non pretende l’adesione preliminare all’idea di un Dio creatore. La visione dell’essere umano come creatura risale al di qua della differenza tra credenti e non credenti, riguarda ciò che è già sempre comune a tutti. Non obbliga a presupporre la dimensione sovrannaturale. La creaturalità umana, che chiunque può riconoscere, non è una terza dimensione oltre natura e cultura, è la vocazione di entrambe. Il suo nucleo sta nel fatto che, come tutti i viventi, riceviamo l’esistenza in dono, non la decidiamo né la fabbrichiamo. Tale dono, sulla cui provenienza ognuno svilupperà la sua idea o la sua fede, affida proprio a noi la responsabilità di imparare a vivere in modo creativo. Creativo significa non distruttivo. Dobbiamo rinunciare a usare mezzi mortiferi nella vita interiore e interpersonale, nella politica e nel rapporto con la natura. Gli effetti benefici di questo risveglio sono fondamentali.
Intanto perché solo scoprendo l’essere creatura come condizione radicale comune impareremo a superare quello che ci divide. E poi perché solo chi assume la propria creaturalità diventa fino in fondo persona: un soggetto libero, capace di esistere con amore e con speranza, così da rinnovare il volto della terra.
 
Roberto Mancini
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