Con il mio gruppo scout siamo partiti sabato mattina da Avezzano verso L'Aquila. Zaini in spalla, furgone carico e tanta voglia di rimboccarci le maniche e darci da fare per ricostruire. Arrivati al centro di coordinamento volontari, tra le centinaia di persone che popolavano la base, ho riabbracciato alcuni ragazzi conosciuti alla Gmg di Sydney.
del 15 aprile 2009
 Un piccolo campo di calcio nel centro della tendopoli, un urlo per farsi passare la «biglia», il pallone calciato dal bambino biondo verso la porta fatta con due bottiglie di acqua minerale, la gioia per il goal. Squadre miste, scout dell’Agesci e bambini che da 36 ore circa vivono in una tenda nel campo base di Piazza d’Armi, accanto alla caserma dei carabinieri, zona bassa dell’Aquila, sotto il centro città raso al suolo.
  «Oggi è il primo giorno che giocano - dice sorridendo il capo scout Manuela Colaiacovo - forse sono i primi momenti spensierati. Abbiamo portato oltre al pallone anche il materiale per farli disegnare e cantare». Sono come i loro «lupetti», questi piccoli dai 6 ai 12 anni che hanno perso tutto. I volontari dell’Agesci li hanno subito preso in consegna. Ne hanno censiti 130, il 25% sono figli di immigrati soprattutto sudamericani.
 Un piccolo campo di calcio nel cuore della tendopoli per ridare alla vita dei piccoli abruzzesi una parvenza di normalità. I capi scout: «Hanno bisogno di tutto, ma soprattutto di essere ascoltati e rassicurati, dopo il grande terrore dei giorni scorsi».
 Indossano magliette della Gmg di Sidney portate dai volontari dell’Unitalsi, che a turni di cinque camion alla volta distribuiscono costantemente alimenti, indumenti, pannolini e coperte da distribuire ai senza tetto.
  «Martedì - prosegue Manuela, 24 anni, di Sulmona, laureata in Scienze sociali - abbiamo iniziato alla mattina presto a invita­re le famiglie con figli piccoli a spostarsi negli alberghi sulla costa. Ci hanno dato retta in tanti, ma altri non ne vogliono sapere, vo­gliono stare vicino alla loro casa». Ma diversi immigrati non vogliono lasciare L’Aquila perché sono irregolari e temono di venire espulsi. Gli scout sono volontari, hanno dai 24 ai 35 anni e sono tutti capi appartenenti alla pattuglia nazionale, che l’associazione a messo a disposizione del Dipartimento della protezione civile. Dalle prime ore della tragedia si sono messi a montare tende. Ora sono presenti in sette aree e svolgono attività di animazione e supporto per anziani e bambini.
  «I primi - prosegue la giovane abruzzese ­hanno bisogno di essere ascoltati, oltre a medicine per i vari malanni. I bambini, dopo le prime ore di smarrimento, cercano di reagire con il gioco». Qualcuno parla al passato della classe e della scuola, come se il terremoto avesse cancellato tutto. Un altro confessa di aver vomitato tutto il giorno. I volontari dovranno aiutarli a tornare, per quanto possibile, alla normalità. Gli scout si fanno anche portavoce degli inevitabili disagi. Ad esempio in questo campo ci sono pochi servizi igienici. Fuori dalla tendopoli alcune famiglie si ostinano a voler dormire in auto. Sono seduti sul marciapiedi, le facce di chi non dorme da giorni. Accanto hanno alcune borse di plastica con dentro tutti i loro averi. Uno dei prossimi obiettivi dei volontari è contattarli.
  Il gruppo dell’Agesci a Piazza d’Armi è composto di nove persone, ma una ragazza e un suo amico sono dovuti correre alla grande caserma degli allievi sottufficiali della F­nanza, dove è stato allestito l’obitorio. Hanno infatti recuperato sotto le macerie una loro amica e a loro è toccato riconoscerla.
  Fuori dalla caserma stazionano i capannelli di parenti in attesa del riconoscimento delle salme. Ma qui ha sede anche il Com, il coordinamento operativo misto della protezione civile. Varcato l’immenso cortile. C’è la palestra dove vengono organizzati circa 2300 volontari che hanno dato l’anima in questi tre giorni. Salvatore Rimmaudo, 35 anni, educatore romano è uno dei capi scout. Insieme ad altri quattro compagni cerca di assicurare il buon andamento delle operazioni dell’Agesci che sta impiegando 130 volontari e arriverà a 150. «Siamo arrivati portando generi di prima necessità, ora facciamo animazione e ascolto. Ogni sera alle 23 teniamo una riunione per vedere cosa non va. Rimarremo a lungo, anche quando gli altri se ne andranno, abbiamo predisposto molti turni e campi estivi». Arrivano sette scout francesi dall’Alta Savoia e si mettono a disposizione. Squilla il cellulare di servizio, è Alessandro del gruppo di Perugia. Dice che ai bambini dei campi farebbero un gran bene le chitarre per affrontare il buio e la paura della terra che continua a tremare.
  
 
 
 
 
 
Con il mio gruppo scout siamo partiti sabato mattina da Avezzano verso L’Aquila. Zaini in spalla, furgone carico e tanta voglia di rimboccarci le maniche e darci da fare per ricostruire. Arrivati al centro di coordinamento volontari, tra le centinaia di persone che popolavano la base, ho riabbracciato alcuni ragazzi conosciuti alla Gmg di Sydney. Anche loro sono qui per offrire mani e cuore. La Pastorale giovanile di Avezzano, subito dopo il sisma si è mobilitata per l’emergenza. Il gruppo di Sydney, gli scout, l’Azione cattolica, hanno invaso l’atrio del Seminario di Avezzano per allestire in tempo record un centro smistamento materiali per le zone colpite dal terremoto. Hanno creato un centro informazioni collegato con la Caritas e le altre associazioni.
Tempestivamente sono partiti i primi furgoni, giornalmente destinati verso le zone terremotate.
Noi capi scout, coordinati dall’Agesci nazionale e dalla Protezione civile, siamo partiti in pattuglie smistate in servizio nelle varie basi. Io sono accampata in piazza d’Armi a L’Aquila.
Quella appena trascorsa, è stata una Pasqua speciale. La disperazione e la tristezza non hanno impedito ai sorrisi di diffondersi tra le tende blu della Protezione civile, a noi scout di giocare con i bimbi, ai clown di girare per le stradine e fare compagnia ad anziani e bambini. Non dimenticherò la veglia nella notte di Pasqua nell’enorme tendone bianco: nonostante la provvisorietà, la Messa è stata profonda, partecipata e commovente. Anche se infreddoliti e stanchi, abbiamo cantato, pregato, sorriso, allestito l’altare sui tavoli di plastica e la croce di legno e di corda. I frati ci hanno chiesto di scrivere con i pennarelli colorati su un vecchio mattone: «Va e ripara la mia casa», per sistemarlo nella tenda di preghiera. Non dimenticherò i volontari impegnati ad alleviare qualsiasi bisogno.
  Non dimenticherò gli occhi lucidi delle persone che ti aprono il cuore raccontando ciò che rimane della loro vita, fidandosi completamente di te per quel fazzolettone scout che hai appeso al collo. Non dimenticherò le notti passate con gli sfollati qui al campo, per condividere con loro la pioggia, il freddo per poi scambiare quattro chiacchiere e qualche canto con la chitarra. Non dimenticherò la speranza che quasi inspiegabilmente prevale. Non dimenticherò questa vita oltre le macerie.
 
Paolo Lambruschi, Elisabetta Marraccini
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