SCUOLA / Il docente come agente di prevenzione

Il ruolo della scuola come luogo in cui il giovane trovi un ambiente di crescita, dialogo e confronto. La scuola può combattere i fenomeni che inducono i giovani alla ricerca di una vita falsa o illusoria solo se coltiva in loro la gioia del vivere, che si esprime anche nello studio, inteso in senso classico, non come costrizione, ma come amore del sapere e della vita: come cultura di vita.

SCUOLA / Il docente come agente di prevenzione

da Quaderni Cannibali

del 24 ottobre 2006

Poiché 'prevenzione' significa 'promuovere ben-essere', l’insegnante può essere inteso come 'persona-in-relazione-educativa' e come potenziale 'promotore di benessere' egli stesso. Di conseguenza, l’obiettivo primario dei docenti non dovrebbe limitarsi a proporre nuovi programmi o fornire competenze specialistiche ma, contestualmente, aprirsi nell’indurre i ragazzi a riflettere sulla natura dei loro rapporti (con se stessi, con i pari e con gli adulti), per acquisire maggiore consapevolezza di sé e per migliorare la propria capacità relazionale.

Gli insegnanti e gli educatori in genere dovrebbero avere il desiderio di approfondire, chiarire, migliorare lo stile educativo e la comunicazione in famiglia e nei vari ambienti educativi, coinvolgendosi attivamente e concretamente a partire dalle situazioni quotidiane di fatica, di piccole incomprensioni, di conflitti o che riguardano le regole. Il bambino di oggi non è quello di ieri in termini di 'tempi di apprendimento', di 'bagaglio' di conoscenze, di occasioni di sviluppo motorio, percettivo, sensoriale e linguistico.

Da ciò emerge l'utilità di non abbandonare a loro stessi gli insegnanti ma di supportarli nelle fasi critiche del loro difficile 'mestiere' fornendo reali possibilità di riflessione e di confronto con operatori esperti. Permettere agli insegnanti di ascoltarsi in un gruppo, di confrontarsi può indurli a superare gli schemi educativi consolidati e può offrire spunti sulla propria azione educativa per l'individuazione di strategie che influiscano positivamente sullo sviluppo del bambino e della bambina.

 

IL RUOLO DELLA SCUOLA

Al fine di meglio chiarire il significato dell'azione che la scuola può svolgere in ordine alla prevenzione, è opportuno riconsiderare innanzitutto il ruolo con il quale l'istituzione scuola è nata. L'uomo non nasce tale, ma realizza la sua umanizzazione mediante l'educazione, da intendere come l'esperienza attraverso la quale egli si appropria della cultura che gli uomini hanno creato, non solo acquisendo conoscenze ed abilità, ma anche e soprattutto sviluppando modi di essere, atteggiamenti, valori. L'uomo è creatore e prodotto della cultura, intesa antropologicamente come complesso di conoscenze, di abilità, di tecniche, di valori, di modi di essere, di atteggiamenti, cioè di tutto ciò che rende l'uomo tale. Questo processo di inculturazione, e quindi di umanizzazione, si realizzava all'inizio solo attraverso le interazioni sociali. Quando la cultura si è fatta complessa ed articolata, l'ambiente sociale non risultò più sufficiente e si avvertì l'esigenza di creare un'istituzione apposita che contribuisse alla realizzazione del processo di inculturazione e quindi della formazione dell'uomo.

La scuola è nata così con la finalità di integrare il processo di formazione dell'uomo, che si realizza anche nella società, in particolare nella famiglia, almeno nei primi anni di vita. Tuttavia, nell'età moderna, pervasa dall'ideologia illuministica, il compito della scuola è stato riduttivamente limitato alla sola dimensione intellettuale, al sapere: la scuola intesa come istituzione deputata esclusivamente alla trasmissione del sapere, alla formazione cognitiva. Questo orientamento arriva sino ai nostri giorni, per cui ancora fino a ieri si era largamente convinti che lo scopo della scuola, a qualsiasi livello, non fosse quello di contribuire alla formazione complessiva della personalità, cioè di educare, ma solo quello di trasmettere il sapere, concependo la cultura in senso riduttivo come puro e semplice insieme di conoscenze, che riguardano la sola sfera intellettiva della personalità, e non anche quella affettiva, emotiva, morale, sociale, religiosa ecc.

La scuola pone attenzione soprattutto alle conoscenze, alle nozioni, al cognitivo; anche quando non scade nel nozionismo, essa si prende quasi esclusivamente cura della mente, trascurando le altre dimensioni della personalità, tra cui quella emotivo-affettiva e relazionale: l'alunno sta a scuola solo con una parte di se stesso, quella razionale; l'altra, quella legata ai suoi sentimenti, ai suoi bisogni sociali, alla sua corporeità rimane fuori o data per “scontata”. Ciò che importa è il complesso delle conoscenze che egli acquisisce; nelle migliori situazioni si dà importanza anche alle sue capacità intellettive; ma il resto è secondario, se non insignificante. La scuola istruisce, quando istruisce, e forma le capacità mentali, quando le forma; ma essa non educa. Si dice anzi che essa non debba educare, perché si ritiene che il compito di educare spetti alla famiglia e ad altre istituzioni. Questo discorso è stato enfatizzato negli ultimi decenni, soprattutto al fine di evitare ogni indebito indottrinamento morale, sociale, religioso, politico ecc.

Paradossalmente, mentre si afferma che la scuola non deve educare, poi, le si chiede di curare l'educazione stradale, l'educazione ecologica, l'educazione alla pace, l'educazione alla salute, l'educazione alla legalità ecc.

Inoltre, la famiglia non svolge più -o non è più nella condizione di svolgere- quel ruolo educativo che la caratterizzava nel passato. La società si è fatta complessa, articolata, anche confusa perché sono venute meno molte certezze, in ogni campo; c'è una situazione di disorientamento. Per uscire da questa situazione, tutti sono d'accordo: non si può non fare appello alla scuola!

Ma quale ruolo la scuola può svolgere?

La tentazione è quella dell'intervento specifico: la scuola continua a svolgere i suoi compiti tradizionali di trasmissione del sapere e, in più, cura l'educazione stradale, l'educazione ecologica, l'educazione europea, l'educazione alla pace, l'educazione alla salute, l'educazione alla legalità...

Muovendosi in tale prospettiva, la scuola si sovraccarica di tali e tante educazioni che le impediscono poi di svolgere quello che viene ritenuto, a torto o a ragione, il suo compito essenziale: ne consegue che molto spesso tali compiti vengono di fatto scarsamente presi in considerazione, malgrado tutti i gruppi di studio ed i 'referenti' previsti dalle circolari ministeriali.

 

L’EMERGENZA DROGA

Dinanzi all'emergenza droga, tutti avvertono che la scuola non può non assumersi le sue responsabilità: la droga mina alle basi la personalità dell'allievo, distruggendolo anche sul piano cognitivo. L'educazione alla salute, nell'ambito della quale possono essere fatte rientrare la prevenzione, non solo delle tossicomanie ma anche della devianza, della dispersione ecc., non può costituire un insegnamento aggiuntivo, da affidare magari ad un insegnante specializzato.

Se dinanzi a tali problemi si riconosce l'esigenza che essi vadano prevenuti più che combattuti, allora essi vanno affrontati in quanto manifestazioni del disagio che sta alla loro base: non si tratta di curare i sintomi ma le cause del malessere che affligge la società e soprattutto i giovani, e che molto spesso porta a tali forme di comportamento.

In tale prospettiva, occorre prendere consapevolezza che droga, devianza ecc. sono modalità distorte attraverso le quali gli individui cercano la loro autorealizzazione. Ogni essere vivente aspira ad autorealizzarsi: è questa la forza più potente che governa la vita, a livello vegetale, animale ed umano, dal filo d'erba che tenta di liberarsi dalla compressione del masso, cercandosi una via di uscita per raggiungere la luce, all'animale malato che va alla ricerca dell'erba medicamentosa, all'individuo umano che cerca la sua realizzazione nel mondo illusorio della droga o in quello del crimine. Il rimedio sembra a portata di mano: se ogni individuo aspira prepotentemente alla sua autorealizzazione, occorre fare in modo che questa si attui secondo quelle che vengono ritenute le più consone alla natura dell'uomo.

Ed allora non c'è istituzione più idonea al conseguimento di tale finalità che la scuola, il cui compito specifico è di contribuire alla formazione dell'uomo. La scuola deve recuperare quella che era la sua fondamentale finalità formativa, non può limitarsi ad essere dispensatrice di sapere perché tale compito oggi viene svolto, forse con risultati più soddisfacenti, dai mass-media, ma deve riappropriarsi soprattutto della sua finalità educativa.

E' questo un suo compito istituzionale, ma è questa anche la condizione della sua sopravvivenza. In merito, è opportuno precisare subito il significato dell''educare'. Dicendo che la scuola deve educare, non si vuol certamente dire che la scuola deve indottrinare i giovani, condizionandone le scelte morali, politiche, ideologiche, religiose ecc., come pure si potrebbe pensare. Se la scuola, in determinate epoche storiche ed in determinate situazioni politiche, ha operato così, ciò non significa che questo sia l'unico modo di svolgere il suo compito educativo. L'educazione non consiste nel condizionare i modi di essere e di comportarsi degli allievi, ma è processo di liberazione, è aiuto alla conquista personale della propria originale espressione umana, di cui nessuno può essere deprivato, allora non solo non si deve temere che la scuola educhi, ma si deve riconoscere che questo è il suo fine essenziale e che solo educando la scuola giustifica la sua presenza.

In tale prospettiva, l'urgenza del problema salute, droga, devianza ecc. deve indurre gli operatori scolastici, più che a mettere in atto programmi di interventi specifici, soprattutto a riconsiderare i compiti istituzionali della scuola, volti alla formazione dell'uomo e del cittadino, e solo in quanto tali, volti alla formazione professionale. La scuola deve contribuire a questa impresa personale, propria di ogni soggetto, considerato nella sua irripetibilità, in collaborazione con la famiglia e con la società tutta, assumendosi la propria, irrinunciabile, doverosa, istituzionale, responsabilità.

L'uomo è una realtà complessa, articolata, comprensiva di aspetti diversi ma interconnessi, interagenti, che gli consentono di operare come una realtà unitaria, come un tutto. Quando questa unità non viene garantita, la personalità risulta squilibrata, dissociata, incapace di esprimersi nella sua costituzionale natura umana.

In tal senso, gli psicologi parlano di concezione olistica della personalità.

Sappiamo che l'attività di apprendimento degli alunni, anche sul piano meramente cognitivo, si collega strettamente alla dimensione socio-emotiva ed affettiva della personalità e che i disturbi in tali campi compromettono o impediscono il conseguimento della conoscenza. L'alunno che presenta disturbi sul piano affettivo ed emotivo o sul piano relazionale, incontra difficoltà nell'attività di apprendimento. D'altra parte, occorre considerare che, se l'educazione deve assicurare l'autorealizzazione dell'individuo, questi non può non realizzarsi in tutte le sue dimensioni costitutive, da quella intellettiva a quella morale, sociale, affettiva, religiosa, corporea ecc., le quali pertanto assumono pari importanza sul piano dell'impegno educativo e culturale della scuola.

In tale prospettiva, l'alunno che frequenta la scuola va considerato nella sua interezza, nella molteplicità delle sue esigenze, dei suoi bisogni, delle sue dotazioni, delle sue possibilità formative, ed aiutato a realizzarsi nella sua integralità personale. Il disagio nasce dalle difficoltà che si incontrano nella propria autoaffermazione personale. Il disadattato è colui che in una determinata situazione, quale può essere quella scolastica, avverte di non potersi esprimere, di non potersi manifestare, affermare, realizzare, in quanto il suo bisogno di autorealizzazione incontra delle difficoltà, più o meno consistenti.

La scuola assicura il benessere dell'alunno quando crea le condizioni perché egli si senta a suo agio avvertendo la possibilità di esprimersi, di affermarsi, di autorealizzarsi.

 

COMPITI DELL'INSEGNANTE REFERENTE

In tale prospettiva, i compiti dell'insegnante referente, non sono quelli di promuovere lo svolgimento di attività che vadano ad aggiungersi a quelle programmatiche; non si tratta di programmare nuovi contenuti o di promuovere nuovi impegni degli alunni, in aggiunta a quelli ritenuti istituzionali, quanto di riconsiderare l'azione che la scuola è chiamata a svolgere anche nella sua valenza educativa, oltre che culturale, in quanto finalizzata alla formazione integrale dell'allievo e quindi alla sua autorealizzazione personale.

Occorre riconsiderare la valenza formativa ed educativa delle singole discipline di studio, le quali non possono continuare ad essere concepite solo come repertorio di nozioni, più o meno importanti, di cui arricchire la mente, ma soprattutto come strumenti di formazione della personalità, come mezzi attraverso i quali l'allievo sviluppa, non solo la sua intelligenza, ma anche i suoi sentimenti, raggiungendo un sano equilibrio socio-emotivo, che si configura come una situazione di benessere personale e sociale.

A tal fine, vanno innanzitutto valorizzate tutte le discipline, anche e soprattutto quelle che la concezione intellettualistica dell'apprendimento porta non di rado a trascurare, come l'educazione motoria, l'educazione musicale, l'educazione artistica o le attività espressive in genere. Si pensi all'importanza che discipline, come l'educazione fisica e l'educazione musicale, avevano nel mondo greco-romano, quando ancora si aveva una visione integrale dell'uomo, non deprivato della sua dimensione corporea. Occorre prendere atto che l'uomo agisce, pensa, sente sempre nella sua interezza, per cui l'allievo sta nella scuola anche con il suo corpo, che si esprime con il movimento, con il gesto, con la voce, con il canto, con la musica, con le immagini ecc. In tale prospettiva vanno viste anche le altre discipline, considerandole nella loro dimensione culturale e formativa e collegandole alla vita attuale. Ma ciò non basta, se non si opera anche un rinnovamento dell'organizzazione e dell'impostazione didattica della scuola.

Se la scuola ha come suo compito, non solo quello di istruire, ma anche quello di formare e di educare, non può configurarsi come luogo di insegnamento, che vede protagonisti i soli insegnanti, ma come ambiente educativo e di apprendimento, come ambiente di vita, del quale sono protagonisti allievi ed insegnanti assieme. I decreti delegati del 1974 hanno delineato un modello di scuola come comunità scolastica, che si realizza attraverso la partecipazione della comunità sociale e civica, ma anche attraverso la partecipazione dei giovani, non solo alla gestione della scuola, ma anche alla “elaborazione” della cultura ed alla “formazione umana e critica della loro personalità”. Non si tratta di inventarsi nuove attività, di escogitare iniziative ed imprese le più diverse, quanto di dare piena attuazione a quelli che sono i compiti istituzionali della scuola, rendendo gli allievi coprotagonisti, assieme ai docenti, della formazione della loro personalità, della loro umanizzazione e della loro autorealizzazione.

L'alunno non può essere il soggetto passivo della propria formazione umana, che non si realizza come un'opera di modellamento esteriore, ma come un processo di crescita che trova nel soggetto stesso il suo protagonista: non si può imprimere il sapere nella mente degli allievi, né si possono formare le sue capacità; l'azione didattica e educativa può solo stimolare la interiore attività del soggetto che riscopre il sapere ed interagisce con quanti gli stanno attorno, stabilendo relazioni affettive e sociali. In tal senso, i giovani devono diventare protagonisti dell'insegnamento/ apprendimento e della propria formazione, partecipando attivamente alla progettazione, alla attuazione ed alla valutazione delle stesse: la scuola non può essere vissuta come qualcosa di estraneo, come un'imposizione o una costrizione, ma come una esperienza di autorealizzazione. In tale prospettiva, occorre far leva sul loro bisogno di crescita e di autoaffermazione, stimolando la loro iniziativa, la loro partecipazione diretta, la loro progettazione, la loro responsabilità personale. La scuola deve fare in modo che gli allievi si mettano a capo innanzitutto dell'impresa della loro formazione, muovendo dai loro bisogni, dalle loro esigenze, dai loro interessi, svolgendo una funzione di stimolo, di orientamento, di aiuto, di guida, senza mai sostituirsi a loro.

Più che trasmettitore di sapere -ammesso che il sapere possa essere trasmesso!-, l'insegnante deve porsi come suscitatore, come scopritore di domande negli allievi. Il problema degli interessi e delle motivazioni, è il problema fondamentale dell'insegnare: compito dell'insegnante non è tanto di insegnare quanto di suscitare negli allievi, in tutti gli allievi, motivazioni, interessi, desiderio di imparare. Gli insegnanti devono scendere dalla cattedra, andare incontro ai giovani, ai loro problemi, ai loro bisogni: per conoscerli, per comprenderli, per aiutarli nel loro processo di crescita, di maturazione, di formazione, di autorealizzazione. Ogni giovane esprime una tensione alla vita, è una domanda di vita, alla quale l'insegnante non è chiamato a dare ma ad aiutare a cercare la risposta.

Questo il primo compito degli insegnanti: conoscere e comprendere gli allievi.

Ma non basta. E' necessario conoscerli, tutti, uno per uno, perché ciascuno di essi è una persona, un valore, un'irripetibile ricchezza del mondo e nessuno può essere trascurato, messo da parte, dimenticato, respinto. Occorre aiutarli nel loro bisogno di crescita, di umanizzazione, di autoaffermazione, di autorealizzazione: ad orientarsi, a mettersi a capo della costruzione e della realizzazione del proprio progetto di vita. A tal fine, la scuola può mettere a disposizione, non solo gli strumenti culturali, ma anche le relazioni umane.

Il sapere non ha importanza di per se stesso, ma soprattutto in quanto mezzo di formazione di capacità, di poteri mentali, di atteggiamenti, di sentimenti, di abilità. I giovani lamentano, molto spesso a ragione, l'astrattezza del sapere scolastico, la sua lontananza dai loro problemi, dai loro interessi. Non hanno tutti i torti. La cultura è tale solo quando si collega alla vita, quando la storia del passato serve a comprendere la realtà del presente, quando la poesia del Leopardi si collega ai sentimenti che si vivono oggi...

Occorre che la cultura trasmessa dalla scuola sia meno astratta e pi√π vicina alla vita di oggi.

La scuola è ambiente di vita, non può essere concepita come un mondo separato dalla vita, come la negazione della vita, quasi che, entrando in essa, i giovani possano dimenticare tutta la loro realtà esistenziale e lasciare spazio solo alla loro attività mentale. Il corpo, i sentimenti, i bisogni di affetto, di relazioni sociali ecc. non possono essere lasciati fuori della porta della scuola. Quando questo accade, essa viene rifiutata, come testimonia l'assenza di interesse, la demotivazione, la scarsa applicazione allo studio, che spesso poi si traducono in scarso profitto, in insuccesso scolastico, in abbandono.

L'ambiente educativo e di apprendimento in cui la scuola si esprime deve risultare adeguato alle esigenze dei singoli allievi, in modo che ciascuno di essi si ritrovi a suo agio, in quanto incontra delle persone -compagni ed insegnanti- che, non solo lo ascoltano e lo comprendono nelle sue esigenze, ma lo aiutano anche a trovare le risposte pi√π adeguate alle stesse.

Come tale, l'ambiente di vita della scuola deve risultare innanzitutto gratificante: lo sforzo di quanti in esso operano non deve essere rivolto ad altri scopi, se non a quello di soddisfare le esigenze dei giovani. Solo così la scuola può essere vissuta come una esperienza non frustrante e come tale da evitare, anche attraverso la ricerca di altre esperienze ritenute più soddisfacenti.

Se il giovane trova in famiglia e/o a scuola un ambiente di crescita, di dialogo, di confronto/scontro critico e rispettoso – né giudicante, né superficiale - non è portato a ricercare altre esperienze, come la droga, per colmare vuoti educativi ed esistenziali. Se queste sono le esigenze, in tale prospettiva devono muoversi tutti gli insegnanti della scuola e, in particolare, l'insegnante 'referente', la cui attività, quindi, si rapporta strettamente a quella del Dirigente Scolastico, nell'impegno comune di realizzare una scuola che assicuri a tutti gli alunni quelle condizioni di “agio” che rappresentano la migliore prevenzione dei fenomeni delle tossicomanie e della devianza giovanile, contro il “dis-agio”. La scuola può combattere i fenomeni che inducono i giovani alla ricerca di una vita falsa o illusoria solo se coltiva in loro la gioia del vivere, che si esprime anche nello studio, inteso in senso classico, non come costrizione, ma come amore del sapere e della vita: come cultura di vita.

 

Maria Rosa Sarica

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