In un inizio di settembre caratterizzato come al solito negli ultimi anni da polemiche nell'ambito della scuola che si sono concretizzate già negli scioperi, prima ancora che si avviino le lezioni. Tra i corridoi delle scuole e nelle aule riunioni, già nei primi giorni di settembre, si vedono volti stanchi, disillusi, spesso senza speranza.
del 08 settembre 2011
 
 
          «È bello vivere perché vivere è ricominciare, sempre, ad ogni istante» scrive Cesare Pavese nel Mestiere di vivere. In un inizio di settembre caratterizzato come al solito negli ultimi anni da polemiche nell’ambito della scuola che si sono concretizzate nello sciopero del 6 settembre, prima ancora che si avviino le lezioni, la frase di Pavese descrive lo spirito giusto con il quale è possibile riprendere  l’affascinante avventura della scuola.
          Senza voler qui entrare  nel merito delle recriminazioni, delle riforme, delle richieste degli insegnanti, delle famiglie, degli studenti, delle scuole paritarie e pubbliche, questioni che meritano senz’altro un momento di riflessione attenta, è opportuno sottolineare che per tutti, insegnanti e studenti, non è possibile ricominciare, varcare la soglia della classe, incontrare compagni e colleghi, professori e alunni, senza essere animati dal desiderio che possa accadere qualcosa di grande nelle giornate. 
          Il desiderio. Questa è la chiave perché i docenti possano affrontare le lezioni, l’incontro con nuovi studenti animati da quello stesso entusiasmo e da quella trepidazione che provavano il primo giorno di insegnamento. Come non farsi prendere dalla monotonia, dal cinismo, dal sentimento comune che tanto non cambierà mai nulla, dai giudizi severi sui ragazzi espressi dalla maggior parte degli insegnanti? Come si può costruire qualcosa di grande e di bello, come far sì che il prossimo anno scolastico sia un’occasione di costruzione di umanità, di incontri di umanità? Antoine de Saint Exupery scrive nella Cittadella: «Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini. Ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito». 
          La scuola non è un luogo di semplice trasmissione di informazioni e di cultura, di disciplina e di discipline. La scuola deve essere un luogo in cui l’io del ragazzo si sente fiorire, crescere, germogliare nel desiderio che la propria persona possa scoprire i propri talenti e metterli al servizio di tutti. Perché ciò avvenga è indispensabile che si rimetta al centro la persona, che si viva l’avventura dell’insegnamento come scoperta. Sì, scoperta di sé e scoperta dell’altro, scoperta di un cuore che accomuna il ragazzo di dieci o diciotto anni all’insegnante che si avvicina per la prima volta alla cattedra o, viceversa, sta per andare in pensione. «Agendo nella misericordia si riconosce il valore dell’altro; fosse solo un punto luminoso in un milione di punti oscuri si valorizza il punto luminoso. Non in quanto punto luminoso, ma in quanto spia del mistero che l’altro ha dentro. Questo è l’amore. Che la propria pienezza, la propria realizzazione è fatta coincidere con l’affermare l’altro» (Luigi Giussani, Il rischio educativo). 
          Tra i corridoi delle scuole e nelle aule riunioni, già nei primi giorni di settembre, si vedono volti stanchi, disillusi, spesso senza speranza. Prima ancora che ai giovani, la speranza manca troppo spesso a noi adulti, che ci nascondiamo poi dietro ai cambiamenti dei giovani, alla loro svogliatezza e alla loro pigrizia. Scrive Papa Benedetto XVI: «Alla radice della crisi dell’educazione c’è […] una crisi di fiducia nella vita». La sfida per questo nuovo anno sia allora quella di domandare che sia rianimato e vivificato quel desiderio di insegnare che avevamo quando abbiamo intuito la nostra strada, la nostra vocazione. La sfida per questo nuovo anno è che ci si possa aiutare nel sostenere la speranza nell’insegnamento che è poi la speranza nella vita. Come fare allora? 
          Nella riunione introduttiva nella scuola in cui insegno sono state esposte tante belle idee sull’insegnamento e sulla educazione. Alla fine della presentazione il coordinatore dell’incontro ha chiesto se ci fossero domande, punti non chiari, precisazioni. L’unica cosa che mi sono sentito di dire, di fronte a tutto il corpo docenti, è che ora era importante che quelle parole sull’educazione diventassero vita e carne e ciò era possibile solo facendoci compagnia durante l’anno. Ho proposto un incontro periodico, con partecipazione libera, per gli insegnanti che desiderassero affrontare assieme l’avventura dell’educazione e ripartire dalla domanda, dal desiderio, dalla speranza. Il metodo è questo: non avere risposte preconfezionate, ma camminare in una compagnia piena di entusiasmo e di desiderio di vita.
 
Giovanni Fighera
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