L'educazione è pubblica di sua natura, ciò che è fatto per l'interesse della comunità è pubblico. Pubblico che non può e non deve essere però identificato con statale.
«L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare a esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali».
Si rientra in classe dopo le vacanze, si dibatte di un nuovo e grande patto per una «buona scuola» e la mente torna all’incontro organizzato a Roma all’inizio dell’estate da Treelle per la presentazione del quaderno dal titolo "Scuole pubbliche o solo statali? Per il pluralismo dell’offerta". Un incontro che è stato una "bomba" culturale per la chiarezza e la determinazione con cui si è parlato dell’esigenza di un pluralismo dell’offerta formativa nel nostro Paese e, quindi, di un reale sistema nazionale di istruzione formato da scuola statali e scuole paritarie.
L’educazione è pubblica di sua natura, ciò che è fatto per l’interesse della comunità è pubblico. Pubblico che non può e non deve essere però identificato con statale. Concetti pesanti come macigni che sono rimbalzati da un relatore all’altro, attorno a un tavolo di esperti: uomini di scuola, educatori, economisti e rappresentanti di altri Paesi europei.
Perché, allora, nel nostro Paese su questo punto tutto è ingessato, è sempre problematico e quindi "impossibile" da realizzare? Vogliamo una scuola per tutti e per ciascuno, perciò una scuola che sappia gestire non soltanto livelli diversi di un unico modello cognitivo, ma anche forme di intelligenza, punti di partenza e bisogni formativi differenziati, talenti diversi per inclinazioni e aspirazioni fra loro divergenti che non possono essere trattati secondo criteri di uniformità.
In Italia domina, invece, la convinzione che lo Stato, in quanto super partes, sarebbe custode più attendibile della neutralità educativa rispetto a qualunque soggetto privato. I Paesi europei presenti alla giornata di Treelle del 25 giugno scorso (Francia, Paesi Bassi, Inghilterra ) e gli stessi Usa hanno dimostrato esattamente il contrario in modo serio e documentato. Tutti noi, genitori e docenti, sappiamo poi benissimo che in campo educativo la neutralità non esiste e farne una bandiera diventa un alibi ideologico e pericoloso che rende irrilevante la stessa funzione formativa.
Lo Stato deve progettare le norme generali sull’istruzione , fissare gli obiettivi e garantire il loro raggiungimento con opportuni controlli. Non si auspica per l’istruzione il libero gioco del mercato, ma piuttosto la garanzia per tutti di pari opportunità, o meglio di equipollenza (art.33 comma 4). Come genitori ci chiediamo come sia possibile sostenere ancora nel nostro Paese la convinzione che lo Stato sappia meglio dei singoli cittadini cosa sia bene per loro. Il rischio che corriamo è quello di non voler riconoscere in Italia la progressiva e inarrestabile affermazione di un monopolio educativo.
Escono dal Miur bandi, mappature di buone pratiche, proposte di sperimentazioni musicali costruite ad hoc solo per le scuole statali, si apre per volontà del premier Matteo Renzi un grande dibattito sulle nuove "linee guida" per l’istruzione italiana... Il ministro Giannini ha evidenziato, più volte e in più sedi, l’esigenza di cambiamenti strutturali: il centralismo non paga più, occorre flessibilità anche nella conduzione amministrativa, occorre snellire alcuni processi per essere efficaci e dentro la storia. Oggi stesso, accanto alle famiglie, ai ragazzi, ai docenti.
Maria Grazia Colombo
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