È molto diffusa la convinzione che vi sia molto conflitto tra quanti si dicono religiosi e chi fa lo scienziato per mestiere. Ma sono molto poche le ricerche che esaminano quello che davvero gli scienziati pensano del ruolo della religione nella propria vita così come nella società in generale
del 01 luglio 2010
 
                Sorpresa. Da far conoscere ai vari sostenitori dell’inconciliabilità assoluta e granitica fra scienza e religione. Perché basta scorrere la poderosa analisi e il documentatissimo studio di Elaine Howard Ecklund, ricercatrice della texana Rice University, per capire che anche oggi il credere e la scienza non sono agli antipodi. Anzi. Science vs Religion: potrebbe essere ingannevole il titolo di Ecklund, co-direttrice del Centro sulle religioni e la vita urbana nell’ateneo in Texas.
 
                E invece il sottotitolo spiega che qui c’è qualcosa di nuovo: In cosa credono realmente gli scienziati? Il libro arriva oggi nelle librerie americane e smonta il pregiudizio per cui un uomo o una donna di scienza considerino la religione come qualcosa di inconciliabile con il proprio lavoro.                «È molto diffusa la convinzione che vi sia molto conflitto tra quanti si dicono religiosi e chi fa lo scienziato per mestiere – spiega Ecklund dal Texas –. Ma sono molto poche le ricerche che esaminano quello che davvero gli scienziati pensano del ruolo della religione nella propria vita così come nella società in generale».
                E così la giovane sociologa statunitense, già insignita di premi dalla National Science Foundation e dalla Templeton Foundation, si è lanciata in questa ricerca: prendendo come punto di riferimento gli Stati Uniti, ha contattato, con un questionario apposito, oltre 1200 scienziati a vario livello – ricercatori, docenti universitari o professori di scuola – per domandare loro qualcosa in più di come si rapportino con Dio.
                E il quadro venutone fuori è notevolmente in controtendenza con quanto trasmesso dalla vulgata comune. Anzitutto, coloro che affermano di avere una religione rappresentano il 50% del campione di ricerca di Ecklund, mentre gli atei o gli agnostici dichiarati arrivano al 30%. Il restante 20% si qualifica come aventi un «rapporto individualizzato e non convenzionale» con l’Assoluto. Ma c’è di più: solo la metà di quanti si dichiarano atei pensano che religione e scienza siano «inevitabilmente in conflitto».
                Atra sorpresa. L’autrice dell’inchiesta ha evidenziato che gli scienziati più giovani sono più religiosi di quelli con i capelli più bianchi e considerano meno antagoniste ricerca scientifica e indagine spirituale. «Non so precisamente il motivo per il quale i più giovani si dichiarano maggiormente religiosi – annota Ecklund –. Forse questo può derivare dal fatto che oggi vi è più possibilità di conversare sulla religione nelle migliori università di quanto avveniva nel passato».
                Spulciando la ricerca (che il noto scienziato di Cambridge John Polkinghorne ha definito come «un importante studio su un tema quanto mai attuale») si trovano anche alcune curiosità non da poco. Ad esempio, se nella popolazione americana gli evangelici sfiorano quota 30%, tra i ricercatori essi rappresentano solo il 2% del totale, mentre è la religione ebraica quella più diffusa tra gli intervistati. Inoltre, non fa presa tra gli scienziati credenti la visione del disegno intelligente per spiegare la nascita dell’universo. Ben il 94% considera invece la teoria dell’evoluzione secondo Charles Darwin come la modalità più razionale di spiegare i mutamenti sul nostro pianeta.
                Ecklund però ha anche verificato che tra i ricercatori credenti vi è poca propensione a parlare pubblicamente della propria fede, quando invece «una porzione importante dei loro colleghi, tra gli stessi non credenti, sono aperti a dialogare e riflettere sulle questioni della fede». Anche perché – evidenzia il libro – «le posizioni fortemente antireligiose sono minoritarie».
                Del resto il lavoro di Ecklund era stato preceduto anche da altri segnali che andavano nella stessa direzione. Un paio di anni fa la Columbia University Press aveva pubblicato, a firma di Philip Clayton e Jim Schaal, un testo che raccoglieva 12 interviste ad altrettanti importanti scienziati che raccontavano il loro rapporto pacifico con la fede. Practing Science, living Faith (pp. 250, $ 40) mostrava il duplice registro che richiama la distinzione galileiana tra fede e scienza: praticare come tecnica la seconda, vivere come una questione esistenziale la prima. E già l’anno scorso un ampio sondaggio americano, realizzato dall’autorevole Pew Research Center, dimostrava che al 61% degli americani la scienza non poneva conflitto con la propria fede. Insomma, l’assioma dei neo-atei, per cui fede e scienza sono irriducibili, nel Nuovo mondo proprio non ha attecchito.
Lorenzo Fazzini
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