Se essere cristiano fosse un delitto

Se essere cristiani fosse un delitto e voi foste condotti in tribunale accusati di questo delitto, riuscireste a farvi condannare?

Se essere cristiano fosse un delitto

da Teologo Borèl

del 16 marzo 2003

 Ogni discepolo dovrebbe poter dire 'per me vivere è Cristo'. Ma è davvero così?  O con il Cristo siamo compromessi sì, ma non più di tanto? Compromessi come lo si può essere con una persona a noi estranea anche se stimata, apprezzata, onorata e magari servita?

 

 

Monsignor Tonino Bello ha una pagina curiosa che non manca di divertire, ma che stimola a seria riflessione:

 

 

'L'ho letta da qualche parte. Ma non costringetemi a ricordare dove. Se essere cristiani fosse un delitto e voi foste condotti in tribunale accusati di questo delitto, riuscireste a farvi condannare? Per quanto mi riguarda, io ho pensato che ne uscirci assolto. Purtroppo. Con formula piena, proprio no. Perché, via, è difficile dimostrare la mia totale estraneità al delitto. Per lo meno una certa complicità con Gesù Cristo mi verrebbe riconosciuta. I miei rapporti sospetti con l'imputato principale difficilmente potrebbero essere mascherati. E, diciamocelo con franchezza, anche i miei ripetuti tentativi di costituire con lui una specie di associazione per delinquere non potrebbero rimanere inosservati. No: l'ipotesi di un proscioglimento con formula piena penso che si debba scartare. Così come, benché certo che in linea di massima sarei purtroppo scagionato dall'addebito di essere cristiano, penso che si debba scartare l'ipotesi di assoluzione per non aver commesso il fatto. Perché, uditi i testimoni ed esaminato per bene il carteggio processuale, non si farebbe molta fatica a scorgere, nel cumulo degli interrogatori e delle perquisizioni, nei verbali di sopralluogo e nei resoconti di sequestro dei corpi di reato, gli indizi necessari per impedire una sentenza con questa formula assolutoria. In altri termini, il dubbio della mia correità col criminale, anche se non maggiormente rafforzato dal pubblico ministero, non potrebbe neppure essere pienamente risolto dal collegio di difesa. Lo so. Se essere cristiano fosse un delitto e io fossi tradotto in tribunale sotto l'accusa di questo delitto, sarei assolto per insufficienza di prove. E immagino anche che l'avvocato difensore (le cui parole a discarico suonerebbero in quel momento per me terribili come quelle della più drammatica requisitoria del pubblico ministero) non dovrebbe fare salti mortali per scagionarmi, smontando uno dopo l'altro tutti i capi d'imputazione. Riesco a immaginare perfino lo schema della sua arringa. È vero, signori della corte, che sul mio assistito, accusato di essere seguace di Cristo, gravano pesantissimi fatti, di cui è impossibile negare l'esistenza, e che proverebbero chi sa quali ammanigliamenti con l'imputato numero uno. Ma si tratta di delitti, se non proprio preterintenzionali, almeno meritevoli di tutte le attenuanti per difetto di convinzione. È vero: ha radunato la gente nel nome di Gesù di Nazaret. Ha favorito rapporti sediziosi col criminale. Ne ha fatto l'apologia, con la parola e con le opere. Ne ha mitizzato perfino la figura, arrivando a dire che, dopo la morte patibolare subita sulla croce, egli è addirittura risorto! Ha coinvolto un mare di gente perché si mettesse alla sequela del facinoroso maestro di Galilea, è riuscito a trascinare dalla sua parte soprattutto i poveri, con discorsi destabilizzanti di uguaglianza e di giustizia. Ma diciamocelo coli franchezza: quanta messinscena nelle sue parole! Quanto scarso convincimento nelle sue prediche! Quante demolizioni operate da contropartite di comportamenti, tutt'altro che in linea con i messaggi annunziati! Se apparentemente ha favorito il crimine cristiano da una parte, dall'altra lo ha ostacolato nascostamente con le sue scelte quotidiane di segno contrario. Pertanto, signor presidente e signori della corte, chiedo per il mio assistito di considerare destituite di fondamento le accuse del pubblico ministero, di proscioglierlo da ogni addebito, senza ulteriore rinvio a giudizio, e di archiviare definitivamente il processo.

 

 

Carissimi amici, avendo abusato del paradosso, forse ho calcato la mano, e mi sono lasciato sedurre dal gusto di censurarmi con una certa teatralità. Ho ceduto, insomma, alla tentazione di apparirvi umile e contrito, ben sapendo che su questa denunzia contro me stesso voi avreste benevolmente fatto la tara. Ma non state al gioco. Quello che ho detto è vero. Anzi, se nelle mie parole c'è un «surplus» di auto-accusa, accoglietelo come disperato tentativo per pareggiare il mio pesantissimo 'deficit' in fatto di testimonianza! E pregate per me in modo tale che, se davvero essere cristiani fosse un delitto, io abbia a trovarmi così invischiato in questo delitto, che non si trovi nessun avvocato disposto a difendermi. E allora, finalmente, comparirò davanti ai giudici come reo confesso del reato di sequela di Cristo, con tutte le aggravanti della recidiva generica e specifica. E otterrò la sospirata condanna. A morte. Anzi, a vita. Per lui, incredibile amore!'

don Giovanni Battista Borel

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