Se gli «uomini di Dio» vanno sullo schermo

“Uomini di Dio” unisce un soggetto forte - la storia di individui che sono realmente esistiti - a temi estremamente moderni, che interrogano ciascuno di noi sulla relazione con la propria libertà.

Se gli «uomini di Dio» vanno sullo schermo

da Attualità

del 20 ottobre 2010

         

          Da poche settimane è finalmente arrivato in Italia «Uomini di Dio», il film di Xavier Beauvois che racconta la vita dei monaci di Tibhirine, uccisi in Algeria nel 1996. Vincitore del Gran Premio della giuria all’ultimo festival di Cannes, il film è distribuito dalla Lucky Red, non certo un colosso del mercato, che però in questo caso ha dimostrato maggior coraggio di major più famose.

 

          In Francia - la patria della «laicità» - nelle prime tre settimane di programmazione, Des hommes et des Dieux (questo il titolo originale della pellicola) ha superato la soglia del milione e mezzo di spettatori.

          Un successo sorprendente, che il quotidiano cattolico La Croix ha spiegato così: «Il lavoro di Xavier Beauvois è notevole, sia sul piano estetico, sia per la prova degli attori che per la profondità dei temi che affronta: “Uomini di Dio” unisce un soggetto forte - la storia di individui che sono realmente esistiti e la cui evocazione suscita forte emozione - a temi estremamente moderni, che interrogano ciascuno di noi sulla relazione con la propria libertà, il fatto di partire o di restare, sulla propria autenticità e sulla capacità di esistere come individuo all’interno di una comunità...».

          In questi anni Mondo e Missione si è occupata a più riprese della vicenda dei monaci di Tibhirine. L’abbiamo fatto anche nel numero scorso, per dare notizia dell’uscita del libro di padre Jean Marie Lassausse, della Mission de France, che da dieci anni continua il lavoro agricolo presso il monastero, mantenendo vive le relazioni con gli abitanti del villaggio e accogliendo gruppi di pellegrini.

          Se oggi torniamo a parlarne, è perché questo film ci porta a considerazioni che vanno oltre la vicenda di cui si narra. «È un film che si ama e di cui si ama parlare - ha scritto un critico -.

          Gli spettatori sono felici di trovare le parole per discutere le questioni affrontate, per dire cose che raramente vengon dette e di cui solo il cinema permette di parlare. E questo indipendentemente dalla loro età, categoria sociale, e persino dal loro rapporto con la fede. Molti, dopo averlo visto, sollecitano i loro conoscenti: “Andate a vederlo, poi ne parliamo!”. Questo tipo di reazione appartiene solo ai grandi successi cinematografici».

          C’è un caso analogo e recente di pellicola «spirituale» che ha conquistato il pubblico in maniera imprevedibile: «Il grande silenzio», film-documentario del regista tedesco Philip Gröning, girato nel monastero della Grande Chartreuse, sulle Alpi francesi. Un film che anche la Bbc (accusata, non più tardi di qualche mese fa, di ostracismo nei confronti del cristianesimo) ha mandato in onda di recente.

          Tutto questo non può che farci riflettere nel momento in cui si torna a parlare di «nuova evangelizzazione» (e in Vaticano viene persino istituito un dicastero nuovo di zecca per aiutare la riflessione e l’azione in tale ambito) e di «dialogo con i lontani» (vedi il Cortile dei Gentili evocato dal cardinale Gianfranco Ravasi per il confronto con i non credenti).

          I casi delle due pellicole citate dicono che una domanda spirituale diffusa esiste: tutto sta a coglierla e interpretarla. Dicono pure che vanno superati certi atteggiamenti vittimistici - che non di rado si respirano in ambito cattolico - circa la sordità e l’indifferenza che il «mondo» presta alle proposte della Chiesa. Per il semplice fatto che il Vangelo non ha smesso di essere Buona Notizia. Forse il punto è che siamo noi a non saperlo trasmettere come tale.

          Dicono infine, che al messaggio cristiano l’uomo d’oggi - quello che già Paolo VI aveva definito come attento ai testimoni più che ai maestri - è interessato quando percepisce autenticità e radicalità. Perché, infatti, le storie dei monaci di Tibhirine oppure dei certosini francesi colpiscono lo spettatore? Perché fanno percepire uomini veri e radicali, senza mezze misure, nel loro gesto di offerta a Dio e ai fratelli.

Gerolamo Fazzini

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