D'Avenia: in classe, per trasformare l'obbligo in eros, quest'ultimo deve avere tre dimensioni e tre direzioni...
Il bel libro di Recalcati sull’ora di lezione ha scandagliato la criptonite della didattica: manca eros nelle lezioni. Si anela al sapere, sostiene Aristotele, per imitazione, perché ciò che l’uomo ama più di tutto è imitare. Per Girard il desiderio è sempre mimetico: è proprio la sollecitazione nell’allievo del desiderio di possedere una «cosa» bella, il sapere che il docente cerca e/o mostra e di cui è mediatore.
Recalcati descrive con grande perizia diagnostica le caratteristiche di questa capacità erotizzante, purtroppo interrotta in molti docenti, ma desume le soluzioni soprattutto dall’insegnamento universitario, nel quale l’ora di lezione è «scelta» dagli studenti e il docente può concentrarsi sulla trasmissione del suo eros per ciò che insegna. Nella nostra scuola le cose sono diverse. L’eros per essere fecondo si deve muovere in tre direzioni, dal momento che i ragazzi sono «obbligati» a quella lezione, hanno scelto un percorso generico, ma non quell’ora né quel docente.
In classe, per trasformare l’obbligo in eros, quest’ultimo deve diventare tridimensionale e tridirezionale: non solo AMORE VERSO CIÒ CHE SI INSEGNA (erotizzare l’oggetto del sapere secondo la versione lacaniana di Recalcati), ma anche PER LA VITA DELLA PERSONA A CUI LO SI INSEGNA e PER IL MODO (non è solo questione di stile e di voce) in cui lo si insegna.
Senza queste tre dimensioni (coltivate in sé) o direzioni (coltivate per gli altri) non si dà lezione: amore per ciò che si insegna (conoscenza e passione: studium), amore per il chi a cui si insegna (empatia: non sentimentalismo, ma riconoscimento dello studente come soggetto di un «inedito stare al mondo» e non oggetto da cui ottenere prestazioni), amore per il come si insegna (creatività che rinnova ogni lezione in base ad allievi e contesto: metodo).
Senza questi tre elementi l’ora di lezione genera contro-effetti: noia, avversione, disinteresse. Solo se amo Leopardi, solo se amo trasmettere Leopardi a quei ragazzi con quelle caratteristiche, solo se amo come trasmettere Leopardi a quei ragazzi con quelle caratteristiche, allora Leopardi entrerà in classe e prenderà il mio posto sulla cattedra e io ne sarò solo il postino, che porta proprio al tuo indirizzo le altrui lettere. Una classe di qualche anno fa era stata segnata da un suicidio in una delle famiglie dei ragazzi, proprio all’inizio dell’ultimo anno. Leopardi inaugura il suo percorso poetico e filosofico proprio a partire da questo tema. Mi chiedevo come fare? Nascondere Saffo e Bruto e il famoso frammento sul suicidio? No. Anzi, partire proprio da lì, sostando sulle parole del recanatese per trovare la capacità di sostare nella nostra condizione di drammatica finitezza, considerarla e abitarla.
A che cosa serve la cultura se non ad abitare meglio la vita, proprio dove si sgretola? Per Rilke ogni opera d’arte è frutto dell’essere stati in pericolo, un pericolo buono, che obbliga chi le si accosta a chiedersi su che barca attraversare l’abisso. Caproni ribadiva che il poeta è un palombaro che scende nell’abisso, affronta silenzio e solitudine ma, quando arriva in fondo al cuore, ci trova tutta gli altri uomini.
Non basta l’eros per Leopardi, occorre eros per le vite dei ragazzi e per come Leopardi parlerà a quei ragazzi. Solo quando il sapere orienta è fecondo per un adolescente, risveglia i sensi irretiti dalle superfici degli schermi verso il senso come significato da dare ai fatti della vita e verso il senso come direzione da dare alla vita intera. Dante, quando incontra il suo maestro di studi, Brunetto Latini, riassume così: «ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora, / la cara e buona imagine paterna / di voi quando nel mondo ad ora ad ora / m’insegnavate come l’uom s’etterna». Il ricordo gli ferisce la memoria nelle due dimensioni, mente e cuore, perché insegnare è generare intelletti d’amore (cuori intelligenti o intelligenze accorate), portando avanti «ad ora ad ora» un unico tema: come l’uomo, con la sua opera, in ogni campo, possa abitare la sua finitezza e trascenderla.
Oggi abbiamo ridotto tutto alla prestazione, il «programma»; si corre angosciati, invece di sostare nella bellezza che ha valicato il momento in cui è stata creata, insediandosi in un tempo salvo dal flusso. Il sapere è desiderato se serve a eternarsi, cioè a vincere il tempo, trascendendone il flusso di fatti e di dati, con opere durature e integrali, e non effimere emozioni antologiche o nozionismi sterili. Faremo centro (andremo al centro, in profondità) sole se torneremo a mirare più in alto, come gli arcieri di Machiavelli: «gli arcieri prudenti, ai quali parendo il loco dove disegnano ferire troppo lontano e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per giungere con la loro freccia a tanta altezza, ma per poter con l’aiuto di sì alta mira pervenire al disegno loro». Ma si può, in un sistema che mortifica gli arcieri, anche i più preparati, pretendere così alte mire erotiche?
Alessandro D'Avenia
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