Se l'Italia dimentica le proprie radici cristiane

Non c'è più religione. L'Italia sta smarrendo le proprie tradizioni cristiane. «Se siamo cristiani dobbiamo annunciare che Cristo è risorto, o no? Non è che, siccome tutti non credono, noi non dobbiamo fare la nostra parte; se il mondo ha perso certi valori noi non dobbiamo dimenticare i nostri».

Se l'Italia dimentica le proprie radici cristiane

da Quaderni Cannibali

del 16 marzo 2011

 

 

          Non c’è più religione. L’Italia sta smarrendo le proprie tradizioni cristiane. È questo l’allarme lanciato dal mensile Mondo e Missione nello speciale di marzo. “Italia. Paese di missione” è il titolo di un dossier che oltre a certificare il progressivo sradicamento della religione tra gli italiani, indaga su come viene percepita la nostra fede dai nuovi connazionali, ossia da quegli immigrati cristiani sempre più numerosi nel nostro Paese.

          Mondo e Missione riporta i dati della ricerca condotta dal sociologo Paolo Segatti per la rivista Il Regno. Parlano da soli: appena il 28% degli italiani dichiara di prender parte alla messa domenicale. Sempre che lo facciano davvero: perché da un’indagine del 2004 nelle chiese del Patriarcato di Venezia è emerso che solo il 15% degli interpellati va a messa quattro domeniche di fila.

          E la presenza non si alza di molto nemmeno al Sud: appena il 18,5 % nella diocesi siciliana di Piazza Armerina, secondo un’inchiesta del 2009. Altrettanto eloquenti sono anche le risposte alla domanda “Tu credi in un Dio personale?” raccolte dall’indagine di Segatti: la media dei “sì” in Italia è del 71%, con un calo pauroso al 58% per i maschi nati dopo il 70%. Con una frequenza alla messa domenicale che si attesta al di sotto del 13% nella fascia 20-30 anni (ma comunque attorno al 15% tra i 30-40 anni).

          Per non parlare di una ricerca condotta dall’Università La Sapienza per cui solo al 77,46 % dei bambini nati in Italia nel 2004 è stato amministrato il battesimo contro l’89% del 1991. Sebbene le ricerche possano solo delineare un quadro approssimativo della pratica religiosa e per quanto sia difficile misurare la fede con un sondaggio, sono segnali preoccupanti. D’altronde le testimonianze raccolte da Mondo e Missione tra gli immigrati cattolici sembrano confermare una stanchezza di fondo nel vivere il proprio credo, se non addirittura un certo imbarazzo nel definirsi cristiani. Don Denis Kibangu Malonda, parroco di Guidonia, arrivato dal Congo 23 anni fa, denuncia una pratica religiosa da ufficio pubblico: «Spesso i cosiddetti “lontani” – ma anche i fedeli tiepidi – si presentano in parrocchia solo per chiedere un sacramento o un documento… Come se fossero alla posta o in banca». Così come gli stessi “praticanti” hanno di frequente «una superficiale esperienza spirituale per cui sono facile preda di preconcetti e giudizi sulla Chiesa e sulla parrocchia». Il prete congolese avverte poi scarsa consapevolezza del sentirsi una comunità di fratelli che si traduce in una fede individualista : «Si parla della Chiesa come una realtà estranea a sé». Per non dire di liturgie spente, dove il precetto è considerato alla stregua di un bollino da raccolta punti e non un momento per «esprimere la fede con gioia, che per l’africano si rende visibile e contagiosa».

          Scenari del tutto imprevedibili per chi arriva in Italia. Sebastien Faye, presidente dell’Associazione senegalesi cattolici italiani è rammaricato: «Non vogliamo perdere la nostra fede, i nostri valori. Solo che paradossalmente qui in Italia è per certi versi più difficile che da noi. Se lo dicessi a mia madre non ci crederebbe. Per lei l’Italia è un Paese speciale; Roma è la città del Papa, il cuore della cattolicità, un luogo santo. La realtà che invece ho incontrato io è quella di un Paese sempre meno cattolico e sempre più disinteressato alla fede, che viene dopo tutti gli altri impegni e preoccupazioni». La sensazione è che in un’Italia segnata da un decadimento morale in tutti i campi il cristianesimo ha ancora tanto da dire.

          Non bisogna però nemmeno essere catastrofisti. Come giustamente sottolineano ancora nel dossier di Mondo e Missione, Marcello Orciuli e Tatiana Stozek, coppia brasiliana di San Paolo, ritornati in Trentino da dove emigrarono i loro nonni: «Senz’altro in Italia l’oratorio funziona bene (in Brasile non esiste proprio), il percorso di catechesi non si limita solo all’anno del sacramento, la solidarietà con i poveri è sentita…». Certo da collaboratori dei corsi per fidanzati sono consapevoli che c’è tanto lavoro da fare: soprattutto in un’Italia in cui i matrimoni dal 1991 a oggi son crollati di un sesto, i matrimoni religiosi sono passati dall’82,5% al 63,3% (fonte Istat 2008), e che divorzi e separazioni sono in aumento (nel 2008 in oltre 31 mila matrimoni uno dei due sposi era un divorziato. Per non parlare di un Paese in cui dove vivono 9 milioni di clienti di prostitute…

          Ma la coppia italo-brasiliana è lapidaria: «Se siamo cristiani dobbiamo annunciare che Cristo è risorto, o no? Non è che, siccome tutti non credono, noi non dobbiamo fare la nostra parte; se il mondo ha perso certi valori noi non dobbiamo dimenticare i nostri». Come dire che le nuove frontiere della missione non valicano i nostri confini nazionali. L’evangelizzazione parte dal pianerottolo del vicino.

 

Antonio Giuliano

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