Se l'Italia esorcizza le madri bambine

«√â troppo presto per avere un figlio perché 13 anni è l'età della adolescenza e della giovinezza e non certo quella dell'assunzione di responsabilità' così Anna Oliverio Ferraris, psicologa dell'età evolutiva, commenta il caso avvenuto in Puglia».

Se l’Italia esorcizza le madri bambine

da Quaderni Cannibali

del 02 febbraio 2011

 

                 Non solo il caso avvenuto in provincia di Bari: tra fine 2010 e inizio 2011, le cronache dei giornali hanno dato più volte notizie di nascite avvenute nel nostro paese da baby mamme che hanno partorito non avendo ancora compiuto 14 anni. Fenomeno già da tempo diffuso in Gran Bretagna e negli Stati Uniti (a dimostrazione che quell’educazione sessuale a cui tanti anelano non porta di fatto a nessun risultato in termini di prevenzione), finora l’Italia ne sembrava immune. Invece, pare che la moda anglofona stia colpendo anche da noi.

           La madre-bambina pugliese, non avendo ancora 14 anni, non ha potuto riconoscere la sua bimba bruna di quasi 5 chili, e solo i 16 anni del padre hanno potuto evitare l’affidamento della neonata. Troppo piccola, la madre-bambina, dunque, per il nostro legislatore. Troppo piccola, del resto, per qualsiasi persona di buon senso, nella certezza che a quell’età si è ancora immature per occuparsi di se stesse, figuriamoci di altri. Immature perché, giustamente, in piena formazione, evoluzione, esplosione e ricerca. Ma, paradossalmente, 13 anni paiono quasi un’età rispettabile, in un trend che sembra destinato a scendere: il “Sun” ha pubblicato dei dati davvero allarmanti, attestando come negli ultimi anni siano rimaste incinte 15 bambine inglesi di 10 anni, e ben 39 di 11 anni.            Eppure, il vero dramma di questa situazione, è che una soluzione non c’è. Quello che infatti Anna Oliverio Ferraris, ordinario di Psicologia dello sviluppo, non dice, è che – molto probabilmente – un aborto subito a 13 anni potrebbe risultare più deflagrante ancora. Una gran quantità di studi medici, memorie individuali, romanzi e saggi vari pubblicati negli ultimi anni, infatti, hanno attestato, e continuano ad attestare, come l’aborto rappresenti in ogni caso una soluzione di breve periodo, un colpo di spazzola capace di cancellare il problema nell’immediato, facendolo però riemergere, con tutta la violenza dei suoi tentacoli, nel tempo. E accompagna la donna nel corso della crescita, in occasione delle successive maternità, negli anni della maturità, minandone in ogni caso il passaggio dall’infanzia all’età adulta.           Nei casi delle mamme-bambine recentemente segnalati dalle cronache, gli articoli riportano sempre – nel dramma – un dato però rinfrancante, quello cioè che i baby-genitori sarebbero circondati dall’amore e dall’attenzione delle loro famiglie.           Questo, probabilmente, è il vero, autentico antidoto per evitare che, una situazione già oggettivamente difficile, si tramuti in un dramma di ancor più vaste dimensioni. Ancora una volta, la vera responsabilità degli adulti (gravosa e faticosa emotivamente, psicologicamente e nel concreto) sta nell’affiancare i propri figli baby-genitori, e non invece nell’accompagnarli in un ambulatorio medico per sbarazzarsi di una gravidanza non voluta.           Nell’inquietante film Palindromes (2004) di Todd Solondz, la 13enne Aviva, rimasta volontariamente incinta di un coetaneo (nella sua follia, vuole a tutti i costi diventare subito madre), è obbligata – contro la sua volontà – dalla madre ad abortire. Si tratta di una serie di sequenze che risultano per lo spettatore di una violenza psicologica deflagrante. Figuriamoci per la ragazzina (fuggita di casa per lo shock, Aviva subirà un forte impatto con il mondo circostante).           Del resto, il fatto che diversi film usciti negli ultimi anni si siano occupati di minorenni che, rimaste incinte, decidono di non abortire (spesso anche contro il parere degli adulti che le circondano), un qualche significato dovrà pur averlo. Se nell’osannatissimo Juno (2007) di Jason Reitman, l’adolescente Ellen Page decide di non interrompere la gravidanza, dando poi il figlio in adozione, nel recente Precious (2010) di Lee Daniels, la sedicenne (già madre di una bimba down) il neonato decide addirittura di tenerselo, anche se nessuno – ma proprio nessuno – si sentirebbe di condannare la sua eventuale scelta di affidarlo ad una famiglia con maggiori possibilità (“nemmeno i cani danno via i loro figli, ripete sempre mia nonna”). In questa decisione, così femminista e così materna, Precious manda KO Juno, che aveva sì rifiutato l’aborto, ma aveva subito scartato l’eventualità di tenere il bambino. E Precious non aveva nemmeno uno straccio di genitore su cui poter fare affidamento.  

Giulia Galeotti

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