Oggi, il motore principale delle scelte televisive è il denaro, quello che deriva dagli incassi pubblicitari, che si producono attraverso i dati dell'audience. La ricerca spasmodica dell'incremento degli ascolti, ha prodotto, con il tempo, l'esaltazione di forme di spettacolo televisivo di dubbio gusto, per nulla formative...
del 06 maggio 2011
 
          Cinquant’anni fa, quando in Italia la televisione si sviluppava come fenomeno di massa, i dirigenti televisivi - definiti da una certa parte “bacchettoni” e proni a servire il “regime democristiano”, come veniva chiamato – erano uomini di cultura, consapevoli di quanto sia necessario per un popolo conoscere la sua identità ed acculturarsi.
          Chi ha l’età per ricordare, considera ancora oggi gli sceneggiati televisivi d’allora - “L’Idiota”, “I Buddenbrok”, “Il Mulino del Po”, “I Promessi Sposi”, solo per citarne alcuni – capolavori assoluti, generatori di sapere e di conoscenza. Anche le trasmissioni d’intrattenimento – lo “Studio Uno” di Falqui, ad esempio – erano realizzate con garbo, eleganza e professionalità, così come le rappresentazioni teatrali a presa diretta, con i grandi attori dell’epoca o l’opera lirica o l’informazione – pensiamo alle grandi firme ed ai grandi servizi di “TV7”. Altri tempi.           Oggi, il motore principale delle scelte televisive è il denaro, quello che deriva dagli incassi pubblicitari, che si producono attraverso i dati dell’audience. La ricerca spasmodica dell’incremento degli ascolti, ha prodotto, con il tempo, l’esaltazione di forme di spettacolo televisivo di dubbio gusto, per nulla formative e, per molti versi, pericolose, perché – come i “reality” – propongono una realtà solo apparente, virtuale, rispetto alla quale il pubblico è chiamato ad uniformarsi.           Negli ultimi anni, un incremento assai significativo ha riguardato la spettacolarizzazione dei fatti di cronaca nera. Oltre alle serie che esaltano in modo spregiudicato e subdolo le gesta di bande criminali, sono innumerevoli le trasmissioni che – utilizzando una pletora di psicologi, giornalisti, criminologi, scrittori di successo – raccontano, scandagliano, sviscerano nei minimi dettagli gli atti criminali e li interpretano, gestiscono l’interesse morboso e voyeuristico degli spettatori e propongono chiavi di lettura dei fatti, con la pretesa di darne una spiegazione sociologica o persino psicanalitica e spesso di sostituirsi a chi deve condurre le indagini e celebrare i processi. In alcuni casi, gli stessi protagonisti di questi fatti – o chi stava loro attorno - hanno compreso talmente bene il meccanismo, da utilizzare quelle trasmissioni, partecipandovi loro stessi e promuovendo le loro verità.           La chiave del successo di questo nuovo tipo d’intrattenimento televisivo l’ha introdotta “Porta a Porta”, con i plastici del “caso Franzoni”. Poi, un diluvio di emulazioni, di trasmissioni del pomeriggio - per le famiglie, si dice - che si sono “convertite” o definite di “servizio” – come “Chi l’ha visto” – che ora si occupa di delitti piu’ che di scomparsi.            L’audience aumenta, la pubblicità ne trae beneficio e tutto viene giustificato così. A nessuno sembra importare quali effetti possano produrre – soprattutto su persone vulnerabili – questo tipo di trasmissioni. Se sei a pranzo con tuo figlio di sei anni e questi ti chiede che cosa significa abusare sessualmente di una persona dopo averla ammazzata o perché una donna viene uccisa con trentadue coltellate, molte delle quali sul volto o perché una bambina di due anni viene depositata da sua madre nella centrifuga della lavatrice o perché un ventenne stupra la sorellina della sua fidanzata, non puoi sottrarti dal dargli una risposta, che non può essere elusiva dell’argomento, ma deve fargli comprendere perché la trasmissione che stava seguendo ha inteso dargli quella notizia e quale significato abbia.           Chi decide di propagandare in questo modo gli atti criminali, dovrebbe porsi al posto di quel bambino (e magari dei suoi genitori) e comprendere – solo per un istante – quali danni possono provocare nella sua mente racconti di questo tipo. Per non parlare degli atti emulatori che possono generare questo tipo di efferatezze su persone psichicamente deboli.          Non si chiede di mettere il bavaglio all’informazione. Si chiede di gestirla in modo corretto. Dal rapporto dell'Osservatorio europeo sulla sicurezza, formato da Fondazione Unipolis, Demos&Pi, Osservatorio di Pavia e diretto da Ilvo Diamanti, emerge che nel 2010 il Tg1 ha dedicato ai fatti criminali il doppio delle notizie rispetto al Tg pubblico spagnolo, il triplo rispetto a quello inglese, quatto volte di piú rispetto al tg francese, 18 volte in piú rispetto al tg pubblico tedesco.           E’ come se la nostra realtà sia fatta solo di gesti efferati, di ammazzamenti, di fatti di sangue. Non si vuole essere buonisti, ma vivaddio un po’ di bene, di fatti buoni, di positività – in questa nuvola perversa di negatività che ci circonda – ci sarà pure da raccontare da qualche parte.
 
Danilo Quinto
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