Arrivva la nuova legge che sta per affidare al servizio sanitario nazionale ciò che compete agli insegnanti. La “discalculia” è definita come un disturbo che si manifesta come “difficoltà negli automatismi del calcolo e dell'elaborazione dei numeri”.
del 10 maggio 2010
           Il celebre matematico settecentesco Leonhard Euler conosceva a memoria l'intera Eneide ed era capace, pur divenuto cieco, di calcolare a mente uno sviluppo in serie fino al settimo termine dettando il risultato a un assistente: per chi non conosce la matematica significa fare un mare di calcoli difficili, ritenendo a memoria un numero enorme di risultati parziali. Al confronto, il miglior matematico vivente farebbe la figura di un “discalculico”.
 
          La “discalculia” è definita come un disturbo che si manifesta come “difficoltà negli automatismi del calcolo e dell'elaborazione dei numeri”. Se confronto la calligrafia dei miei figli con quella di mio padre constato un crollo di qualità tale da considerarli come affetti da “disgrafia”, la “difficoltà di realizzazione grafica”. Per non dire della “disortografia”.
          A pensarci bene, non c'è da stupirsi. Secoli fa il calcolo mentale e l'arte della memoria erano considerati una virtù da coltivare intensamente. Oggi facciamo persino il conto della spesa con la calcolatrice del cellulare e imparare le tabelline è opzionale. Diciamo, per carità di patria, che usiamo le nostre facoltà mentali in modo diverso. Perciò circola una legione di discalculici, tra cui coloro che non amano i numeri.
          Per quanto riguarda poi lo scrivere, sarebbe strano stupirsi che siano in aumento esponenziale i “disgrafici”, visto che insegnare a tenere correttamente una penna in mano e a maneggiarla secondo regole efficaci è considerato repressivo e reazionario: vorrei segnalare, al riguardo, le lucide riflessioni di Angelo Panebianco sulla mania nostrana di apprezzare non ciò che è ragionevole ma ciò che è “moderno”. Quanto alla crescita dello stuolo dei “disortografici” c'è chi pretende che sia dovuta a “difficoltà nei processi linguistici di transcodifica”; ma bisognerebbe chiedersi se, anche qui, non intervenga il fatto che stimolare la capacità di tradurre correttamente in testo scritto le parole pensate è ormai considerato una fisima reazionaria.
          Sta di fatto che, invece di esplorare ragioni come quella accennate, ci si è orientati da tempo verso l'approccio “curativo”, raggruppando i detti disturbi, assieme alla classica dislessia, sotto l'acronimo Dsa, Disturbi specifici di apprendimento. Il Dsa sta per essere riconosciuto da una legge nazionale come... malattia? Per carità. Il Dsa – si dice – si manifesta in soggetti con capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali. Insomma, è una sindrome di stato di normalità ma che dà problemi. Ma allora tanto varrebbe introdurre acronimi, definizioni e leggi che definiscano o curino la pigrizia, l'obesità, la logorrea, la miopia, la petulanza, la distrazione e via dicendo. Ma nella legge c'è la contraddizione: si dice infatti che la diagnosi di Dsa viene effettuata dagli specialisti del Servizio sanitario nazionale, ovvero medici, psichiatri e psicologi.
          E poiché il Servizio Sanitario Nazionale cura le malattie, rispunta surrettiziamente la definizione del Dsa come patologia. E che sia una patologia è confermato dal fatto che la discalculia non viene diagnosticata dall'insegnante di matematica. O la disortografia da quello d'italiano, bensì da medici, psicologi e psichiatri.
          È il gioco delle tre carte: da un lato, si nega trattasi di una malattia – sarebbe arduo definire tale un insieme di “sintomi” generici e disparati – ma al contempo la si considera tale riducendo a trattamento sanitario un problema che anziché Dsa potrebbe essere Dsi, come ha fatto rilevare un preside con quarant'anni di esperienza, ovvero Disturbi Specifici di Insegnamento. Il gioco delle tre carte è abile perché, se provi a lamentare la tendenza alla medicalizzazione, ti si risponde che non è vero, in quanto nessuno ha parlato di patologie, e che comunque il problema sarà affrontato con metodi psico-pedagogici. Ma allora, perché un passaggio diagnostico di tipo sanitario?
          Perché, a dispetto dell'affermazione che il Dsa non è dovuto a patologie neurologiche, ci si è ingegnati a trovarne le cause materiali – malnutrizione alla nascita, effetto dei vaccini, mancanza di omega 3 e altre amenità – che stranamente non lascerebbero tracce materiali. Per risolvere l'incerta questione sono intervenuti i soliti neuromani, quelli che fanno la risonanza magnetica persino ai salmoni morti, che hanno cercato le “diversità” strutturali dei Dsa nel cervello. I risultati sono incerti, qualcuno parla di “anomalie” della corteccia, altri di “zone” del sistema visivo, altri dei neuroni a specchio.
          Su tutto grava l'assurdità di un metodo che pretende di stabilire correlazioni, per giunta basate su statistiche rozze, tra le mappe di funzioni elementari e comportamenti umani estremamente complessi, correlazioni mai stabilite in modo accettabile. Si noti che mentre alcuni psichiatri sostenitori dell'esistenza del Dsa, ma prudenti, stimano in 0,1 per cento i bambini affetti, i fautori della legge parlano di un 3-5 per cento, da cui deriverebbero conseguenze imponenti, visto che la legge prevede riduzioni di impegno scolastico e orari flessibili per i genitori. Se a una simile cifra si aggiunge quella dei bambini affetti dall'altra “malattia”, l'Adhd, Attention Deficit Hyperactivity Disorder, la “sindrome del bambino agitato”, il numero di minori con problemi raggiunge percentuali inaudite.
          C'è di che pensare a una degenerazione della specie umana. L'esistenza dell'Adhd fu decretata a maggioranza, nel 1980, dall'Associazione degli psichiatri americani e “poi” ci si è ingegnati a dimostrare la verità di tale delibera. Anche qui, dopo aver ipotizzato anomalie cerebrali di ogni tipo, sono scesi in campo i neuromani, per individuare con risonanza magnetica (e al solito modo fasullo) diversità cerebrali che dimostrerebbero l'esistenza della patologia. Ma quel che è specialmente grave nel caso dell'Adhd è che dagli Stati Uniti – dove si è arrivati alla cifra di diciassette milioni di diagnosi – si è diffusa una medicina, il Ritalin, che è nient'altro che un sedativo: è facile intuire quanto possa essere pericoloso somministrare sedativi a un bambino in crescita.
          Ma tant'è. Abbiamo visto per decenni, nel film “Il pellegrino”, di Charlie Chaplin, un bambino iperagitato che picchia tutti, combina guai, incolla la carta moschicida sulla faccia della gente, mentre la madre tenta di calmarlo con inadeguate moine. L'abbiamo visto come paradigma della maleducazione, nel senso stretto del termine. È finita: l'educazione è un processo in via di sparizione, quantomeno nel senso di un rapporto tra persone. Esiste soltanto la diagnosi e la terapia delle anomalie di individui-monadi. Tutto è ridotto a processi biologici.
          Siamo un aggregato di “diversità” da trattare in termini sanitari, da conformare a criteri di normalità definiti secondo i criteri “scientifici”, si fa per dire. La società è vista come una gigantesca clinica che ha come “mission” la modellazione degli individui su quei criteri. La solita ideologia scientista invade ogni aspetto della vita personale: si va dal progetto di confezionare un individuo perfetto fin dalla nascita, alla subordinazione della scuola al sistema sanitario, allo stressometro negli uffici, e via delirando; tutto sotto la dittatura sempre più soffocante degli “esperti”, psicologi, psichiatri, neurologi, misuratori delle qualità.
Giorgio Israel
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