Siamo arrivati al fondo, e il traguardo merita un euforico squillar di trombe. Ieri sera, sull'emittente britannica Channel 4, è andato in onda Cast Off (“Gli scartati”).
del 26 novembre 2009
 
 
Siamo arrivati al fondo, e il traguardo merita un euforico squillar di trombe. Ieri sera, sull’emittente britannica Channel 4, è andato in onda Cast Off (“Gli scartati”). Un reality che ha per protagonisti sei disabili: tre mesi di tempo per dimostrare al pubblico che possono cavarsela da soli, dopo essere stati lasciati soli (di più: soli e nudi) su un’isola deserta.
 
 
 
È giusto non sorvolare sui loro nomi e sui loro handicap. Non sono ex vip che cercano riscatto su un’isoletta che li farà tornare famosi. Sono persone che hanno alle spalle una vita difficile, e che oggi accettano di farla diventare spettacolo. Eccoli, coi loro nomi d’arte. Tom è cieco, Gabriella è sorda e aspetta un bambino, Dan è paraplegico su una sedia a rotelle, Carrie è nana, Will è focomelico, April è affetta da cherubismo, una malattia che deforma la mandibola. La grande trovata giornalistica è che ad ognuno verrà dedicata una delle sei puntate, con dei flashback che racconteranno la loro vita passata.
 
Perché un’operazione del genere? Forse per fare ascolti a spese della sofferenza, per attirare un’attenzione morbosa sul “diverso” che si districa nelle stesse difficoltà dei “normali”? Forse per portare la telecamera a spiare dove nessuno ha mai spiato, per suscitare curiosità mista a pietismo trasformando il pubblico in una massa indecorosa di guardoni? Forse per mettere insieme reality-show e docu-fiction, le due tremende parole con cui oggi si definisce l’intreccio fra finzione, spettacolo e realtà, o meglio la finzione spettacolarizzata e poi contrabbandata per vita vera?
 
Macché. L’esatto contrario. Dicono gli attori: «Saremo finalmente mostrati come persone normali, e la maggior parte del pubblico sarà portato a pensare “mio Dio, non sapevo che i disabili potessero fare anche questo”». Dicono gli autori: «È il primo programma con disabili in cui agli spettatori non viene richiesto di provare compassione».
 
Già, la prima regola della tv trash contemporanea è ammantare i propri prodotti con nobili motivazioni. Si intervista la donna appena stuprata? È per documentare quanto sia ignobile la violenza. Si mette in prima serata la escort con i suoi particolari piccantissimi? È per fare giornalismo d’inchiesta. Si viviseziona un processo, ricostruendo la strage con degli attori e chiedendo al padre sopravvissuto cosa ne pensa? Si mostrano risse, turpiloqui, amplessi in diretta? È per far vedere la realtà così com’è, “senza filtri”.
 
Così, diventa normale che lo scempio della vita disabile e della sua dignità venga presentato all’opposto: sarebbe il modo per superare il buonismo e la compassione degli altri. Il sottinteso è che solo grazie alla meritoria Cast Off, cioè solo vedendo i disabili nudi che litigano e fanno sesso, il mondo aprirà gli occhi sulla realtà. La contorsione della tv trash tocca il suo apice: il modello del reality, che falsifica la vita dei “normali”, viene proposto come il modo per autenticare la vita dei “diversi”.
 
A proposito di storie vere. Di persone vere. Chissà cosa penserà di Cast Off la signora Marina, che scrive al Messaggero la sua storia: «Mia figlia Claudia ha 36 anni e una gravissima disabilità, per un parto che presentava delle problematiche che i medici non hanno saputo affrontare con professionalità e competenza... Dopo 36 anni, voltandosi indietro, tutto sparisce e rimane solo l’amore che ci ha portato oggi a essere ciò che siamo, ed essere felici di quello che siamo riusciti a realizzare, un intreccio di vite a cui il fatto stesso di essere insieme fa superare qualsiasi difficoltà».
 
Signora Marina, lei oggi ci fa la confessione più drammatica: «Se 36 anni fa avessi potuto scegliere, certamente non avrei scelto Claudia come figlia, perché ero piena di preconcetti verso la disabilità, non la conoscevo... Per fortuna non ho potuto scegliere, perché mi sarei persa questa straordinaria esperienza, non avrei conosciuto l’essere umano che dona senza bisogno di parole, non avrei conosciuto, amato e apprezzato Claudia per quello che è: una meravigliosa creatura che per qualche disegno divino, del destino o della sorte mi è stata assegnata come compagna di vita, consentendoci di camminare insieme, passo dopo passo, giorno dopo giorno, anno dopo anno finché saremo su questa terra».
 
Signora Marina, a lei che ci dice queste parole che fanno piangere, ridere e pensare, viene da chiedere scusa per questa nostra epoca in cui dei disabili si parla come fossero saltimbanchi buoni a fare audience.
 
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Sergio Talamo
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