Seminario: non un luogo ma un tempo

La “bontà” dei sacerdoti di domani dipende dalla “qualità” degli educatori di oggi. "Il seminario non è un luogo di passaggio ma un tempo per prepararsi al sacerdozio, capace di legare facilmente la sua ‚Äòvita in comune' con la carità pastorale e la fraternità sacerdotale future..."

Seminario: non un luogo ma un tempo

da Teologo Borèl

del 16 febbraio 2012(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) return; js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));

          La “bontà” dei sacerdoti di domani dipende dalla “qualità” degli educatori di oggi, mentre il seminario si conferma il luogo adeguato e imprescindibile per una formazione sacerdotale adeguata alle sfide dei tempi, soprattutto in un mondo culturalmente globalizzato.           Discernimento vocazionale e selezione dei candidati. Un freno alle defezioni nel sacerdozio può senz’altro giungere da una migliore riflessione sulle condizioni dei candidati, che tenga conto “della mobilità culturale, delle aspettative sociali o economiche, dei condizionamenti familiari e dei conflitti che possano provenire da una pastorale ideologizzata”. Ne è convinto il segretario della Congregazione per il clero, mons. Celso Morga, secondo il quale bisogna poi discernere adeguatamente i “fattori interni” che hanno a che fare con “la rigidità di personalità, la mancanza di salute fisica o psichica, gli inganni intellettuali o amorosi, le conversioni drastiche, l’egocentrismo, la frammentazione nella formazione religiosa, la mancanza di dominio di sé...”. Dati alla mano, mons. Morga ha costatato come in tutta la Chiesa, dagli anni Ottanta, si verifichi “un sostenuto aumento del numero dei sacerdoti” e un’attenzione privilegiata “alla maggiore qualità della loro selezione”; in pratica sono ordinati sacerdoti “solo un terzo dei seminaristi”. Mons. Agostino Superbo, arcivescovo di Potenza e vicepresidente della Cei, ha illustrato i criteri per la selezione dei candidati al sacerdozio, che “devono integrare i requisiti istituzionali (disponibilità a una donazione totale al Vangelo, qualità umane e intellettuali per un servizio disinteressato verso gli altri, personalità aperta) con il bene del giovane stesso”. Importanti il dialogo con “le famiglie e le comunità cristiane di provenienza del candidato”, il rispetto della “tappa propedeutica” che prepara al seminario, e l’uso prudente “di una pausa formativa” che aiuti a “superare difficoltà e maturare criteri”.          Identikit del rettore e del formatore. “Uomo di Dio, completo e ben preparato, con volontà di dedicazione piena, un indubbio amore a Cristo e alla Chiesa, trasparente, più padre che pedagogo, paziente e benigno, retto di spirito” sono invece le caratteristiche che deve possedere un rettore di seminario. A delinearle mons. Paolo Rabitti, arcivescovo di Ferrara-Comacchio. Il rettore, ha aggiunto, deve anche mantenere una “interazione completa con il vescovo, rispetto per il presbiterio, amore esigente e paterno per gli educatori” ed essere “attivo nella formazione permanente”. A tracciare l’identikit del formatore del seminario è l’arcivescovo di Tacna e Moquegua, in Perù, mons. Marco Antonio Cortez Lara, che ha parlato di “un uomo fermo nella fede, con forte identità sacerdotale, personalità matura, sicuro della propria vocazione, aperto ai contatti umani, colto, prudente e saggio”. In una sola parola, “integro”, in modo da essere “credibile per i giovani” e capace di attrarli “più per la testimonianza di una vita gioiosa e autentica che per la disciplina o gli insegnamenti teorici”.          Il seminario. “Non è un luogo di passaggio ma un tempo per prepararsi al sacerdozio, capace di legare facilmente la sua ‘vita in comune’ con la carità pastorale e la fraternità sacerdotale future”, pertanto il suo regolamento deve essere “immutabile, accettato e condiviso ma non opprimente, perché i valori educativi non si impongono ma convincono”, ha sottolineato il vescovo ausiliare di Milano, mons. Mauro Delpini. Molto dell’attività del seminario e dei suoi formatori dipende anche dal “flusso di relazioni esterne e comunicazione interna a tutti i livelli decisionali”, ha spiegato José María La Porte, decano della Facoltà di comunicazione istituzionale. “La lealtà, l’efficacia e la gioia” sono il risultato delle capacità di ascolto, del lavoro in squadra, del valore dato alle cose piccole e ordinarie e della disposizione ad affrontare i problemi come un’opportunità e non un fastidio”. La verità nelle relazioni interpersonali, invece “è ciò che renderà ogni parola e ogni gesto veicolo di fraternità in una vita comune caratterizzata da fatti di carità e non una mera scuola di ipocrisia rivestita da diplomazia”. Un occhio di riguardo anche alle strutture che accolgono i seminaristi, ha spiegato Fernando Puig, docente della Facoltà di diritto canonico (Pontificia Università della Santa Croce): “L’ambiente esterno della casa deve favorire l’esercizio delle virtù umane proprie del ministero sacerdotale”, principalmente attraverso “un distacco dai beni temporali” e la capacità “di averne cura, valorizzarli e metterli al servizio degli altri”. La prospettiva della Curia romana è stata invece presentata dal card. Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, cui è stata affidata l’apertura dei lavori, e dal segretario del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, mons. Juan Ignacio Arrieta, che ha parlato dell’autorità come “servizio ecclesiale”, distinguendo nelle qualità dei pastori “la fedeltà, la prudenza e la bontà”.

Giovanna Pasqualin Traversa

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