Gli stessi ragazzi si lamentano quando vivono senza orientamenti che danno sicurezza: «Non è vero che noi siamo contro le regole! Ci dà fastidio quando sono poco ragionevoli o sono troppe, quando ti soffocano! »
del 05 gennaio 2008
Siamo in tanti a dirlo! Gli stessi ragazzi si lamentano quando vivono senza orientamenti che danno sicurezza: «Non è vero che noi siamo contro le regole! Ci dà fastidio quando sono poco ragionevoli o sono troppe, quando ti soffocano! », contestava uno studente di terza media durante uno dei rari incontri organizzati sul tema «Genitori e figli, quale rapporto?». Lo psichiatra Vittorino Andreoli afferma che «non è possibile la vita del singolo senza regole, e nemmeno quella sociale», giungendo ad una conclusione che fa riflettere: «I popoli che nella storia non hanno avuto rispetto delle norme civili sono sempre stati anche dei popoli immorali... Un popolo di santi è prima di tutto un popolo civile. Se non dai all’uomo quello che è dell’uomo, non si dà certo nulla a Dio».
Senza regole è anarchia, si va alla follia. Una società o una famiglia che non dà regole, crea solo dei «mostri», gente «anormale», fuori dalla norme comuni del vivere civile, della convivenza serena, dove uno non fa quello che gli pare, ma rispetta l’altro nei suoi spazi, nei suoi sentimenti, nella sua libertà.
Come insegnare ai ragazzi l’accettazione delle regole? Non sono tanto le prediche o le lezioni di educazione civica, almeno fino a quando era materia di studio, ma la presenza, fin dall’infanzia, di adulti che allenino i ragazzini ad osservare le regole. A volte, mi comporto da eretico dell’educazione quando dico che, per imparare le regole, è importante l’esperienza del gioco. Spesso sconcerto l’uditorio dei genitori o degli insegnanti, quando affermo che il gioco è più importante della scuola.
Nel gioco i ragazzi apprendono che le regole sono necessarie, di più, sono cattoliche, ecumeniche, universali: come si gioca a calcio a Varese o a Lecco o a Bergamo, così si gioca in Madagascar, in Brasile. Senza regole e senza arbitri, sarebbe il caos!
Questo i ragazzi lo capiscono bene, sanno che «il mister», come chiamano l’allenatore, e l’arbitro sono figure essenziali per richiamare tutti al rispetto delle regole.
Ma la famiglia ha un vantaggio sugli allenatori, sui tecnici, sui vari insegnanti: specialmente nei primi anni di età, i ragazzini e le ragazzine osservano le norme per amore delle persone, che gliele presentano, per amore del papà e della mamma! Sono il «per chi» un ragazzo si alza puntuale al mattino, lava i denti, prepara la cartella, va a scuola, fa i compiti...
La presenza educativa della mamma e del papà dà forti motivazioni al fare, l’osservare le regole è spesso una questione di cuore. Quando invece la famiglia è assente e latitanti sono i genitori che rappresentano la norma, i problemi ci sono e tanti!
È anche vero che il vivere per i ragazzi è oggi più complesso, esige paletti che indichino la strada, adulti coerenti che non cambino troppo in fretta la regola, sostenendo che ciò che va bene oggi, senza grandi spiegazioni, non va più bene il giorno dopo. Così si smontano le regole, si creano incertezze e dannosi relativismi.
Ragione e cuore la pensano diversamente: anche il nostro Dio, che è Padre e ci ama, ci ha dato delle regole di vita. Non molte ma osservate, eliminerebbero tanta sofferenza.
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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