Non parlo di «oratorio» come struttura fisica, ma come progetto pastorale per i giovani, che ogni parrocchia deve avere. Se poi c'è la struttura, la parrocchia può dirsi benedetta dal Signore, ancor più se nella comunità esiste pure una scuola materna.
del 23 gennaio 2008
Non parlo di «oratorio» come struttura fisica, ma come progetto pastorale per i giovani, che ogni parrocchia deve avere. Se poi c’è la struttura, la parrocchia può dirsi benedetta dal Signore, ancor più se nella comunità esiste pure una scuola materna.
Sono i luoghi dell’anima ai quali si ritorna volentieri in età adulta, nei momenti di difficoltà, negli stessi «luoghi del dolore», che sono le carceri o le comunità terapeutiche, dove le memorie oratoriane, rendono più facile il dialogo con il cappellano del carcere o il prete responsabile di comunità.
Parlando di oratorio, parliamo di annuncio del Vangelo. I risultati potrebbero non essere immediati ma se vogliamo bene ai ragazzi e loro si rendono conto di questo, il terreno è già dissodato per accogliere il seme, che frutterà a tempo debito.
L’icona che accompagna chi lavora in oratorio è quella del Buon Pastore che conquista con la mitezza e conosce ad una ad una le sue pecore, per esse è disposto a pagare il prezzo, a volte costoso fino al dono della propria vita. Ricordo, tra i tanti, don Fiaccadori, un sacerdote reggiano, che si è gettato nel fiume, per salvare un suo ragazzo.
 Oggi il fiume non è il Po, ma è il mondo che sembra avere smarrito Dio. Lo stare con i ragazzi, in un tempo in cui in tanti cercano di scappare da loro, è un annuncio grande di Vangelo, una decisione che impegna la vita e richiede uno sforzo ascetico.
Costa stare con loro, esserci, collocarsi, ritornare, sperare, privilegiare l’oratorio rispetto ad ambienti più gratificanti, meno agitati, più formali! Ma la carità educativa non è solo stare con i giovani, è avere fiducia in loro, incominciando, avendo le forze e la collaborazione dei laici, non dai primi ma dagli ultimi, non da chi ha già attenzione e servizi, risposte in famiglia, ma da coloro che non sanno cosa sia una famiglia, a quale parrocchia appartengono...
Le frange di ragazzi e giovani, ai quali non si è parlato di Gesù in modo sufficiente e adeguato, stanno aumentando. Gesù sta sparendo non solo dall’orizzonte della cultura e dell’organizzazione sociale ma anche dalla coscienza e dalla mentalità personale.
Non bisogna arrendersi alle statistiche a volte fredde, crudeli, ma accorgersi, come afferma un grande missionario, padre Ugo De Censi, cuore e anima dell’Operazione Mato Grosso, che «i ragazzi cercano qualcosa, c’è in loro il rifiuto ad attaccarsi ai beni del mondo. Dobbiamo mostrare loro Cristo, perché hanno bisogno di Lui».
Pensando al Cristo del Vangelo, che incontra le persone lungo la strada, si dovrebbe cercare di fare del cortile dell’oratorio «una strada» che sia occasione di incontro con il Signore Gesù, che sulla strada ha avvicinato tanti Zacchei infelici, tante donne perdute, tante persone in difficoltà. È la strada del Calvario, del dolore, ma anche la strada di Naim, di Emmaus, della grande speranza.
Un oratorio così non può essere affidato solo al prete. Occorre che i laici ritrovino la tradizione degli oratori milanesi, con i quali si è confrontato lo stesso don Bosco, dove i laici erano presenti con grande generosità e passione educativa. Un oratorio con gruppi e associazioni, un progetto chiaro, a larghe maglie per l’accoglienza dei più giovani, garantisce futuro alla Chiesa locale, che senza oratori, appare incompleta, mutila.
 
Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano
don Vittorio Chiari
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