E' un percorso che vi consigliamo per praticare concretamente la Misericordia
Papa Francesco ci ricorda in continuazione di essere misericordiosi. E allora ecco un percorso, formato da sette “tappe”, che durante il tempo di Quaresima può aiutare ognuno di noi ad avvicinarci ad una Misericordia vissuta con gesti concreti.
Fratel Michael Davide Semeraro, monaco benedettino che vive in semi-eremitaggio sulle montagne della Val d’Aosta, nel suo libro “Quaresima. Un’occasione da non perdere” (edizioni San Paolo) racconta i segreti di questi “Sette gradini dell’amore”.
Il primo gradino della scala della misericordia ci chiede di avere occhi per tutto ciò che è necessario e fondamentale per la vita dell’altro. Ripartire dal bisogno primario di ciascuno, cioè sfamare il prossimo, è il giusto punto di partenza per fare quel primo passo che fa sentire l’altro accolto nel suo bisogno di vita.
Il primo modo per dare da mangiare agli affamati è di permettere a ciascuno di manifestare, con semplicità, in cosa consiste la sua fame di vita e di chiedere infine ciò di cui ha bisogno per sperare. Il consiglio più importante, per quanti sono nel dubbio davanti a situazioni difficili e scelte improrogabili, non è dare una risposta preconfezionata o una soluzione già collaudata, ma dare il tempo necessario perché le domande e i dubbi possano manifestarsi.
Il Signore ci chiede di dar da bere agli assetati. Ormai tutti sappiamo che il problema dell’acqua sarà uno dei più gravi da affrontare nel futuro del nostro pianeta. Ma vi è pure un’altra acqua che non dobbiamo farci mancare gli uni gli altri che è quella della sapienza.
In un modo in cui siamo superinformati e perennemente connessi, rischiamo di perdere il contatto con le sorgenti del senso profondo della vita. Soprattutto nei riguardi delle nuove generazioni – spontaneamente consumiste e native digitali – abbiamo il dovere di non esaurire le riserve dell’acqua che tiene in armonia le energie del corpo, e di trasmettere i tesori della sapienza, della cultura, della civiltà, della sensibilità, senza i quali l’umanità perderebbe se stessa perché non sarebbe più in grado di fare un’esperienza rinnovata e vitale delle cose di sempre.
Bisogna ammonire i peccatori, offrendo loro i gesti e le parole capaci di farli sentire riconosciuti nella totalità del loro vissuto, che mai si può identificare con i loro errori e le loro trasgressioni. Offrire dei “vestiti” a chi non può coprirsi a sufficienza e in modo degno significa riconoscere all’altro il diritto non solo a non morire di freddo o a non essere scottato dal sole, ma pure di essere guardato e di lasciarsi guardare come un “simile” e non come uno scarto di umanità.
Accogliere diventa oggi una sfida ancora più forte ed esigente, perché il forestiero rischia di essere, ancor più sensibilmente, anche una persona molesta che rivela la nostra fatica radicale ad aprirci a modi diversi di concepire la vita.
L’esercizio quotidiano di parole e gesti, che siano capaci di creare ponti, è un impegno che passa per le piccole cose di ogni giorno, come uno sguardo pieno di benevolenza o un semplice gesto di gentilezza. Accogliere in casa qualcuno, del resto, non significa solo dar- gli le cose necessarie come il ristoro e il riposo, ma anche accogliere e ascoltare la sua persona, la sua storia, il suo cuore, accettando di farci accogliere con la nostra storia e il nostro cuore
Se possiamo visitare i carcerati, questa può essere un’esperienza molto bella e importante non solo per coloro che visitiamo e confortiamo, ma anche per noi stessi, al fine di prendere coscienza delle inevitabili ombre che pure abitano il nostro cuore.
Ci sono tante solitudini e tanti sbarramenti che hanno bisogno di essere visitati per poter essere liberati. Ogni volta che sappiamo dolcemente forzare qualche cancellata, portiamo un po’ più di luce in questo mondo attraverso un perdono che non è semplicemente la remissione di un debito personale, ma è uno stile di relazione che sa inglobare serenamente e lucidamente anche la fragilità, l’errore e persino la colpa.
Una parola gentile, una carezza, uno sguardo che rende presente il cuore forse non possono guarire, ma sempre possono lenire la sofferenza e calmare l’angoscia. Mai dobbiamo dimenticare che la sofferenza – ogni sofferenza – oltre che essere sempre rispettabile, anche quando ci sembra inaccettabile, non lascia mai uguali tanto che dipende da noi e dalla capacità di sostenersi reciprocamente il fatto che ci renda migliori.
Non nascondere la realtà della morte ed essere capaci di accompagnare i defunti con gesti di attenzione e di amore non è solo un dovere, ma è una prova di civiltà. Pregare per tutti, non solo per i vivi, ma pure per i defunti, permette di coltivare un senso della vita più ampio del nostro vissuto particolare e limitato.
Mai come nel nostro tempo e nella nostra realtà occidentale, la ritualità e la capacità di pregare sono ben più che un atteggiamento religioso, perché sono il baluardo contro quella dimenticanza della dimensione di trascendenza e di mistero senza la quale l’umanità rischia di regredire proprio pensando di emanciparsi.
di Gelsomino del Guercio
Tratto da aleteia.org
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