La biologia sintetica, gli embrioni chimera e i (finora vietati) embrioni ibridi uomo/animale. Non dovremmo dire che “battaglia per la vita” significa anche affermare con forza il sacrosanto dovere di non creare queste “nuove vite”?
del 16 luglio 2007
Non basta più dire “per la vita”, per capire, in certe battaglie, da che parte si sta.
Ultimamente è proprio il significato di “vita” a essere messo in discussione, come leggiamo in un recente editoriale su Nature: la biologia sintetica – quella branca della scienza che si propone di creare in laboratorio forme di vita artificiali, non esistenti in natura – porta con sé l’idea che la “formazione di un nuovo essere è graduale, contingente e precaria”, superando così la “nozione popolare” che “la vita è qualcosa che appare quando è superata una soglia evidente”. In altre parole, con il tentativo di costruire nuove forme di vita in laboratorio si abbatte la barriera fra esseri viventi e materia inerte, il concetto di “vita” diventa fluido, e si “scalza la nozione che ‘una scintilla divina’ improvvisamente dà valore a un ovocita fertilizzato”. La “vita”, insomma, è qualcosa di sempre meno definito, un concetto sfuggente, e fortuna che arriva la biologia sintetica a spiegarcelo.
Nuove forme di vita create in laboratorio e non esistenti in natura sono anche gli “embrioni chimera”, cioè misti uomo/animale: l’autorità inglese in materia, la Hfea, dovrebbe dare il via libera alla loro creazione, consentita con la stessa tecnica utilizzata per clonare la pecora Dolly. Si useranno ovociti di mucca, con il nucleo sostituito da quello di una cellula somatica umana adulta; il patrimonio genetico finale sarà al 99,9 per cento umano e allo 0,1 per cento animale. Ma si prevede anche la possibilità di creare embrioni umani transgenici inserendo geni animali, oppure anche cellule animali, negli embrioni umani, sempre all’inizio del loro sviluppo.
I vescovi cattolici d’Inghilterra e Galles si oppongono alla creazione di embrioni interspecie, considerandoli come embrioni umani danneggiati dalla modifica con materiale animale. E, sorprendentemente, affermano anche che “tale embrione potrebbe essere un clone privato di tutti i genitori umani, e perciò ulteriormente privato di ogni possibile protezione da parte dei genitori”. Il problema è insomma che i nuovi embrioni uomo/animale nascerebbero già orfani.
“Gli embrioni con una preponderanza di geni umani dovrebbero essere considerati embrioni umani, e dovrebbero essere trattati di conseguenza. In particolare, non dovrebbe essere un crimine trasferire questi, o altri embrioni umani, nel corpo della donna che ha fornito l’ovocita, nei casi in cui sia stato usato un ovocita umano per crearli. Tale donna è la madre genetica, o la madre parziale, dell’embrione; potrebbe cambiare opinione e desiderare di portare suo figlio a termine, non le dovrebbe essere impedito di farlo”.
Il problema epocale dell’abbattimento della barriera fra le specie, del tabù della creazione di nuovi esseri di natura mista umana e animale viene liquidato, almeno in riferimento a questo documento, invocando una qualche “preponderanza” di geni umani – umanità a peso, in percentuale indefinita, purché preponderante – e poi ragionando come se si stesse trattando di aborto, continuando a usare il concetto di “vita” a cui siamo abituati. Le autorità inglesi impongono la distruzione di questo tipo di embrioni entro il quattordicesimo giorno dalla loro creazione – evitandone lo sviluppo si aggira il problema della definizione della natura dei nuovi esseri – mentre i vescovi affermano il “diritto alla vita” degli embrioni misti, concludendo che si può impiantare nell’utero di donna uno di questi embrioni, purché l’ovocita sia umano.
 
 
Cos’è una “madre parziale”?
 
In questo Mondo Nuovo che ormai supera la fantasia di Huxley, i vecchi, familiari concetti i “vita”, e di “madre” assumono nuovi significati, o rischiano di non averne più: cos’è una “madre parziale”? E cosa sono “embrioni con una preponderanza di geni umani”?
Le tradizionali battaglie per la vita vengono letteralmente spazzate via dalla tecnoscienza, e diventano controproducenti se non ci si rende conto della posta in gioco, e soprattutto della velocità con cui quello che solo ieri era impensabile, in breve si tramuta in realtà. Molto indicativo, a riguardo, il recente report dell’Accademia delle scienze mediche inglese sugli embrioni inter-specie. Il prestigioso consesso dà parere favorevole alla creazione di “embrioni-chimera”, e si pronuncia anche sugli “embrioni ibridi”, cioè su quelli che si potrebbero ottenere unendo direttamente gameti umani e animali, una procedura ora vietata. “Non siamo a conoscenza di alcuna ragione scientifica per generare veri embrioni ibridi (mischiando gameti umani e non-umani) in vitro. Comunque, data la velocità di questo settore di ricerca, non può essere escluso in futuro l’emergere di ragioni scientificamente valide”.
Quali potrebbero essere le ragioni “scientificamente valide” per giustificare la creazione di esseri con un patrimonio genetico per una metà umano e per l’altra animale? La cura di pericolose malattie? O il progredire della conoscenza scientifica, a cui tutto va sacrificato? O forse, piuttosto, dovremmo dire che “battaglia per la vita” significa anche affermare con forza il sacrosanto dovere di non creare queste “nuove vite”?
Assuntina Morresi
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