Sì, c'è un'architettura del tempo che si fonda e si articola sui bisogni primari di ogni essere umano, ed è questa architettura che le vacanze possono aiutarci a ricostruire: il nutrimento del corpo e dello spirito, l'alternanza tra parola e silenzio che la parola fa sgorgare e alimenta, il riposo concepito come sostegno di una vita piena e libera e non come metodo di ottimizzazione del ciclo produttivo...
del 01 gennaio 2002
Nonostante il diversificarsi dell’organizzazione del lavoro, la precarietà di molti impieghi, il moltiplicarsi di offerte allettanti durante l’intero arco dell’anno, l’estate rimane, complice anche il calendario scolastico, il tempo delle vacanze per eccellenza. Realtà ignota alla stragrande maggioranza della popolazione nelle società agricole di ieri e di oggi, nel nostro occidente industrializzato e dei servizi, la vacanza assomiglia per molti a un obbligo morale, a un dovere che si cerca di assolvere nel modo meno scontato possibile. Non solo, ma quella delle vacanze e del tempo libero è diventata una vera e propria “industria”, un fenomeno socio-economico che si autoalimenta e che conosce intrecci curiosi: così la vacanza degli uni è lavoro per gli altri, negli stessi posti e nel medesimo tempo. Ma per chi ha la possibilità di viverle, le vacanze sono giorni in cui può “vacare”, cioè “essere libero, avere tempo per...”, in cui può finalmente “dare tempo al tempo”: ma per fare cosa? E così, per paradossale che possa essere, frotte di abitanti delle città programmano partenze intelligenti per viaggi assurdi che terminano in borgate alpine o località marittime affollate dagli stessi difetti delle metropoli; schiere di viaggiatori “alternativi” varcano oceani per imbattersi nel vicino di casa su un’isola esotica; astuti sedentari scoprono orizzonti impensati nel proprio quartiere tornato a dimensione umana…
Ma le vacanze sono anche, o almeno potrebbero essere, un periodo in cui riscoprire la propria umanità e perseguire la pace e la serenità interiori, un tempo per lo spirito, un’occasione per rispondere al desiderio autentico di trovare altrove un senso a ciò che si vive qui e ora, per comportarsi altrimenti in modo da tornare a condurre con consapevolezza un’esistenza divenuta stanca routine. Le vacanze possono essere davvero un’occasione di alterità positiva grazie alla quale gettiamo uno sguardo nuovo sulle abitudini – buone e cattive – assunte nei rapporti con gli altri e con la realtà circostante, uno sguardo non miope ma lungimirante, distaccato e insieme appassionato, uno sguardo che tende a diventare lo sguardo stesso di Dio.
E questo è possibile a partire da pochi e semplici gesti quotidiani: non si tratta di consacrare la vacanza a straordinarie imprese di solidarietà e altruismo, benemerite certo, ma minacciate a loro volta dal mito del fare e dell’apparire, oltre che dall’incostanza e dall’incoerenza dei comportamenti di ogni giorno “normale”. Si tratta piuttosto di apprendere l’arte di una compassione e solidarietà più quotidiane, attente al “prossimo” che ci sta accanto e che magari ci infastidisce, e non al “bisognoso” ideale che pensiamo sempre lontano da noi, con il quale siamo noi a decidere se, quando e come rapportarci. Un’arte, quella dell’abitare la compagnia degli uomini in amicizia, che si nutre innanzitutto di interiorità, della vita dello Spirito in noi.
Perché, allora, non approfittare delle vacanze per ridare alla nostra giornata un ritmo e un clima più naturale, più umano, libero dai condizionamenti che subiamo dall’esterno? Si potrebbe allora riscoprire il gusto della preghiera nel silenzio di una chiesetta di campagna o di fronte alle meraviglie del creato, sedendosi a guardare e ascoltare: ascoltare prima di guardare, perché la bellezza si ascolta ancor prima di guardarla... allora le cose, le persone diventano una presenza e si accende la possibilità della comunione; riscoprire che la bellezza non è un’idea ma un evento, un divenire da cui può nascere la comunicazione e quindi la comunione. E ancora, se durante le vacanze cercassimo di tralasciare la troppe parole di cui riempiamo le nostre giornate e ci riaccostassimo alla sempre nuova parola che Dio ci rivolge attraverso la Bibbia, saremmo capaci di una nuova lettura di noi stessi, di chi ci sta accanto e degli eventi che segnano la nostra vita.
Sì, c’è un’architettura del tempo che si fonda e si articola sui bisogni primari di ogni essere umano, ed è questa architettura che le vacanze possono aiutarci a ricostruire: il nutrimento del corpo e dello spirito, l’alternanza tra parola e silenzio che la parola fa sgorgare e alimenta, il riposo concepito come sostegno di una vita piena e libera e non come metodo di ottimizzazione del ciclo produttivo. Certo, non è facile cambiare in pochi giorni ritmi e mentalità, privarsi dei normali mezzi di comunicazione per riscoprire la ricchezza del dialogo fraterno, misurarsi su quello che si è anziché su quello che si fa o si possiede, riscoprire la semplicità di una vita più legata alla natura e alle sue esigenze, lasciare che silenzi e suoni ormai dimenticati colpiscano ancora le nostre orecchie e i nostri cuori, rievocando un mondo interiore messo a tacere ma non eliminato… Ma il toccare con mano – anche solo per qualche giorno – che questa alterità è possibile, non ci è estranea ma familiare è un aiuto a riprendere la lotta quotidiana contro il prevalere del frastuono sull’intimità, della superficialità su quanto abita le nostre profondità, dell’apparire sull’essere.
È possibile usare le vacanze per accrescere la propria libertà, imparando a discernere di cosa e di chi siamo schiavi; è possibile fare delle vacanze il tempo privilegiato per la nostra umanizzazione, tralasciando costumi che ci abbrutiscono; è possibile far tesoro delle vacanze per riscoprire l’autenticità di rapporti umani che avevamo condannato alla triste banalità di chi dall’altro non attende più nulla. È possibile, e dipende solo da noi.
Enzo Bianchi
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