E' un fenomeno, non più dilagante, ma dilagato quello della messaggistica a trecentosessanta gradi. Ormai a tutti è concesso, sin da giovanissimi, la possibilità di comunicare via chat con una facilità ed una duttilità impensabile fino a qualche anno fa.
Riunione di famiglia. Tutti assieme: nonni, genitori, zii, nipoti, non manca nessuno. Un ottimo momento per condividere ricordi, progetti, sogni. La nonna avrebbe un mucchio di cose da raccontare, esperienze raccolte attraverso il suo lungo percorso di vita, e non ha poi tutti i torti, nel momento in cui lancia occhiate di disappunto verso i nipotini, completamente assorbiti dagli smartphone tra le loro mani, isolati dal contesto e intenti a mandare messaggi.
E’ un fenomeno, non più dilagante, ma dilagato quello della messaggistica a trecentosessanta gradi. Ormai a tutti è concesso, sin da giovanissimi, la possibilità di comunicare via chat con una facilità ed una duttilità impensabile fino a qualche anno fa. Anzi, si potrebbe prospettare un’imminente scomparsa della classica messaggistica a pagamento, offerta dalle case telefoniche, soppiantata dai più agili, completi, e soprattutto gratuiti, sistemi di messaggistica via web, di gran lunga più desiderabili e sfruttabili per invio di file, immagini, audio e quant’altro.
Tuttavia, questo canale comunicativo di facile consumazione, rischia di assottigliare significativamente gli spiragli sociali dei giovani. Per molti ormai, la messaggistica rappresenta l’unico ed esclusivo orizzonte comunicativo, al punto da essere spinti a rigettare gli altri. Perché? Solo per un’abitudine acquisita? Solo perché un veloce messaggio si presenta di più facile componibilità rispetto ad una formale e-mail, o una chiamata a voce? (per non parlare delle lettere scritte a mano, ormai archiviate nello scatolo delle invenzioni “fuori uso”, assieme a piccioni viaggiatori e ai segnali di fumo).
Forse la questione non è da inquadrare esclusivamente da questa prospettiva, da tenere tuttavia in considerazione.
Probabilmente il messaggio, così agile, veloce, immediato ha un altro aspetto che lo rende attraente: la parzialità dell’esposizione. Un messaggio non ci compromette del tutto. Non si presentano tutti quei fattori inibitori propri dello scambio diretto di parole, faccia a faccia: vergogna, gioia, rabbia, tutti moti dell’animo che possono essere tenuti a bada, in una chat, quasi potessimo guardarci allo specchio e assettarci come meglio preferiamo prima di proferire ogni parola.
Questo tipo di comunicazione oppone un filtro molto largo ad ogni nostro scrupolo, spingendoci ad esibirci in frasi che riterremmo azzardate, se proferite dal vivo. Tutto è più sicuro, controllato, gestibile…
Tuttavia manca un qualcosa… la vita, la condivisione: indispensabile affinché si possa parlare di un vero e proprio scambio d’animo. Nel momento in cui un’accozzaglia di byte tracciati su un database spinge ad accantonare il rapporto umano, diretto – sebbene con tutto il fagotto di conseguenze negative –, si riesce a distorcere un qualcosa che non lo è, di per sé.
Come avviene quasi sempre, nel momento in cui a fronteggiarsi sono gli acerrimi nemici di sempre, tradizione e innovazione, la verità e il giusto si trovano sempre in un aristotelico punto intermedio. Una posizione mediana che non è sinonimo di mediocrità, ma di vertice interposto tra i due estremi.
La comunicazione via messaggio può aiutare, in molti casi (che è inutile elencare, considerata la vastità e l’eterogeneità dei casi umani, sempre un po’ ridicolizzati quando inquadrati in sommarie tabelle di generalizzazione e approssimazione) ma non deve far gravitare su di sé la totalità dello scambio di… vita.
E la vita, si sa, rimane quasi sempre impigliata tra le strette maglie della comunicazione indiretta.
Francesco Iurato
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