Da uno spirito di servizio coltivato in famiglia, nelle piccole cose di ogni giorno, all'esperienza in una comunità di bambini con gravi problemi fisici e mentali in Malaysia. La testimonianza di Gemma, che ha dato senso alla sua vita servendo con amore il prossimo.
del 14 luglio 2011
 
 
           Quante volte abbiamo sentito nel nostro ambiente ecclesiale frasi come queste rivolte specie ai giovani: “la vera realizzazione e la felicità non derivano dall’essere serviti, ma dal servire”; o ancora: “è meglio dare che ricevere”; “il servizio compiuto con amore è offerto liberamente, con il desiderio di rendere felice un’altra persona”.
           Il più delle volte queste parole scorrono velocemente e passano sulla testa delle persone come se facessero parte delle solite frasi che si debbono assolutamente dire. E invece capita che qualcuno le prenda sul serio e su di esse comincia a costruire il proprio futuro scavando e andando al cuore del loro significato.
           Gemma è una ragazza della provincia di La Spezia, di un paese incastonato in quel bellissimo panorama che sono le Cinque Terre. La sua famiglia è una di quelle normali. Il papà del Corpo Forestale e la mamma insegnante. Forse già dall’attività dei genitori si può percepire il seme presente nel cuore di Gemma. Servire la natura per il papà e gli alunni per la mamma.
Uno spirito di famiglia 
           Ma c’è anche uno spirito familiare che la ragazza ha potuto respirare. Essendo la più grande di quattro figli, più volte la mamma a causa del lavoro ha richiesto un aiuto quotidiano e da brava insegnante ha aiutato Gemma a capire il senso del servizio in casa e ad imparare a farlo bene. Rifare i letti, preparare la colazione per i fratelli più piccoli, mettere ordine tra le cose che si usano, guardare i compiti; insomma occasioni infinite in una famiglia per poter prestare la propria opera. È  un insegnamento che Gemma ha ricevuto sul campo per acquisire fiducia e rimuovere eventuali ostacoli che avrebbero impedito un buon servizio.
           “Devo ritenermi fortunata ad aver avuto genitori che hanno impostato la vita familiare ad essere disponibili gli uni per gli altri – ci racconta Gemma – facendoci acquisire la consapevolezza che fare qualcosa di utile a beneficio degli altri (anche se si tratta di mettere ordine in camera, sistemare i giocattoli negli appositi contenitori) è bello e utile. Tutti fin da piccoli sono stati preparati a questa realtà e attraverso le cose più semplici, come per esempio apparecchiare la tavola e altre piccole cose necessarie perché la macchina familiare potesse scivolare in tranquillità facendo l’esperienza dell’esserci e del partecipare. Credo che la mia scelta di volontariato affondi in queste radici che io ho voluto coltivare senza pormi dei limiti”.
           Così è successo che alla fine dell’università, Gemma ha potuto mettere in cantiere una idea che accarezzava dal giorno in cui, partecipando ad un campo scuola missionario, ha sentito come rivolto a se stessa: l’invito ad alzare lo sguardo e a dare del proprio tempo al servizio dei fratelli meno fortunati del mondo. Ma desiderava farlo con le necessarie competenze per essere veramente utile. 
Prepararsi per servire 
           Così, attraverso una suora di un Istituto francese conosciuta al campo scuola, ha potuto frequentare a Parigi un corso di un anno per entrare pienamente nello spirito del volontariato conoscendone ogni risvolto dell’esperienza.
           “È stata un’esperienza bellissima – racconta entusiasta Gemma – fatta con altre dieci ragazze provenienti anche dalla Svizzera, dalla Germania e dal Belgio. Con un programma intenso che partiva dall’aspetto motivazionale, a quello delle capacità relazionali, alle competenze professionali per  partecipare al meglio a determinati progetti, all’approfondimento spirituale, alla conoscenza delle culture e delle situazioni dei paesi destinatari del nostro servizio. Il tutto vivendo una forte vita comunitaria di condivisione prima fra di noi aspiranti e poi con la comunità delle sorelle che ci ospitavano”.
           Alla fine dell’anno di formazione, Gemma aveva già la sua destinazione e la conoscenza del luogo e dell’attività che avrebbe dovuto compiere. Insieme ad una ragazza della Svizzera, è volata in Malaysia al servizio di una comunità di bambini con forti problemi mentali e fisici. E qui è cominciata un’altra storia  che neanche l’anno di formazione aveva potuto rendere nella sua crudezza. L’impatto è stato molto forte e quasi debilitante in cui tutte le ragioni e le motivazioni erano messe a dura prova.  La condizione dei bambini accolti amorevolmente da quella comunità di suore erano davvero allucinanti. Si trattava di dare fondo a tutte le risorse interiori per svolgere quel servizio che voleva solo far vivere dignitosamente quei bambini senza futuro.
           “Non è stato facile per me – dice Gemma – cominciare questa esperienza trovandomi di fronte bambini con menomazioni fisiche evidenti oltreché mentali. Una rabbia ha cominciato a serpeggiarmi dentro. Perché, mi chiedevo, questa condizione inflitta a piccoli esseri indifesi? Che colpa dovevano espiare? Volevo ritornare subito. Quando li accudivo non riuscivo ad essere serena, amorevole. Lucy, la mia compagna di avventura, ha reagito meglio e mi è stata molto vicina e ci siamo ripetute tutte le motivazioni che ci avevano portato in quella realtà. Ma la più importante che mi ha scosso e che mi ha dato la carica per riprendermi è ascoltare la Parola di Dio in cappella, alla presenza di quei bambini e sentire risuonare nel cuore: “ quello che avete fatto al più piccolo l’avete fatto a me”.
           E guardarsi intorno e accorgersi della presenza di Gesù nello sguardo sfigurato di quei bambini e sentire la voglia di abbracciarli tutti. Ho fatto due anni con loro e adesso è cominciato il mio secondo biennio. Sono la mia vita, come potrò lasciarli?
 
Michele Pignatale
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