Troppe volte siamo portati a fare i grandi educatori con i ragazzi che non hanno bisogno di noi, perché hanno una famiglia che li cura; dovremmo accettare invece la sfida di quelli che sono poco seguiti, spesso soli...
del 11 giugno 2007
Lavorando sotto il Po, in una delle diocesi più vive dell’Emilia, avevo pure il compito di avviare corsi di formazione degli animatori, che esportavo anche nelle diocesi vicine. A loro dicevo che era una fortuna essere chiamati dal parroco o dal coadiutore dell’oratorio a vivere l’esperienza educativa nei ampi estivi. Le raccomandazioni erano semplici, familiari, non si sta con i ragazzi “per obbligo”, “per mestiere”, “per guadagno”, “per la ragazzina o il ragazzino”... Si sta per passione, per amore, ricordando le parole di don Bosco: «L’educazione è cosa del cuore». Prediligere i ragazzi, accettare di fare l’animatore, comporta lo starci, l’esserci, anche con i più poveri, i non amabili, quelli che nessuno vuole e che invece hanno bisogno di qualcuno che se li prenda a cuore.
 
Troppe volte siamo portati a fare i grandi educatori con i ragazzi che non hanno bisogno di noi, perché hanno una famiglia che li cura; dovremmo accettare invece la sfida di quelli che sono poco seguiti, spesso soli. Lo possiamo fare se si lavora di squadra, se facciamo loro posto nel progetto educativo del campo, specialmente se sono ragazzi delle elementari, in grado di cogliere l’affetto di chi gioca con loro, insegnando attraverso il gioco, le regole dello stare insieme.
 
Forse non basta nei vari corsi insegnare le tecniche dell’animazione, dai bans alle danze, alle canzoni, alle attività manuali, teatrali, che con vera fantasia ogni anno ci presentano gli Uffici diocesani di Pastorale giovanile. Occorre scoprire le radici evangeliche dell’animare e dell’educare. Prendendo in mano il Vangelo, ci appare evidente l’amore di Gesù per i giovani, per i bimbi: li ama, li vuole accanto a sé, li invita a seguirlo, li guarisce, li risuscita, li perdona, si appoggia a loro per compiere il prodigio della moltiplicazione dei pani. Dedicarsi ai ragazzi e ai giovani vuol dire amarli come li ama Lui: amarli come persone, amarli anche quando non lo meritano, perché sono “cattivi”! Amarli perché sono figli di Dio, da Lui amati e salvati.
 
E’ ben povera la parrocchia dove i ragazzi sono lasciati soli! La nostra Chiesa ambrosiana ha detto a tutti in piazza del Duomo venerdì 25 maggio, attorno al Cardinale Dionigi, che i giovani sono il suo campo prediletto. Migliaia di loro hanno risposto all’invito di animare le vacanze dei ragazzi. E’ segno di grande speranza. L’unico dispiacere è che i campi estivi finiscono in fretta e troppi ragazzi sono lasciati a se stessi per il lungo periodo delle vacanze. Toccherà allora alle famiglie scendere in campo, alle stesse amministrazioni pubbliche, che non sempre si rendono conto di quanto la Chiesa sia vicina ai giovani e quanto poco lo siano loro! I ragazzi, per crescere bene, hanno bisogno di stare insieme. Lo dice bene la poesia di un lebbroso del Mato Grosso; l’ha scritta con i piedi, avendo perso le mani: «L’eucalipto per crescere alto ha bisogno di avere vicino altri eucalipti; se è solo, il vento e l’uragano lo spezzano a morte».
 
Se i campi estivi funzionano, se gli oratori sono vivi, non c’è bisogno di Nas nelle scuole né di “kit” del Comune per prevenire droga e bullismo! Il bello sta nel prevenirli allegramente, con il gioco, l’amicizia, meglio che con le tavole rotonde o leggi senz’anima! 
don Vittorio Chiari
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