È la sfida che ci viene rivolta tramite la lettera di San Paolo ai Filippesi, diventata lo slogan della proposta pastorale del Movimento giovanile salesiano del triveneto...
del 03 novembre 2008
È una sfida ambiziosa quella che ci viene rivolta in riferimento alla Strenna del Rettor Maggiore per il 2009. Siamo esortati a diventare stelle luminose nel mondo... non è cosa da poco, anzi è una grande responsabilità. Il Rettor Maggiore ci chiede di impegnarci a “fare della Famiglia Salesiana un vasto movimento di persone per la salvezza dei giovani”. Siamo chiamati quindi innanzitutto ad essere una Famiglia; sappiamo bene, per esperienza personale, che spesso non è facile: a volte ci si perde di vista, ci si conosce poco o si rischia di isolarsi soprattutto in una famiglia numerosa come quella Salesiana fatta di tante realtà molto diverse tra loro. È importante riscoprire questa dimensione proprio per rafforzare e dare maggior rilievo al fine che unisce tutti i vari membri e che dà un senso al lavoro svolto: portare ai giovani il messaggio di salvezza di Cristo con lo stile di Don Bosco. È una vera e propria missione che richiede la riscoperta del carisma salesiano e dello spirito di collaborazione tra i gruppi. Il tema non è stato scelto a caso; infatti quest’anno ricorre il 150° anniversario della fondazione della Congregazione salesiana. Centocinquanta anni fa infatti nasceva la prima di quelle realtà che esistono tutt’oggi fondate direttamente da don Bosco: Salesiani di Don Bosco, Figlie di Maria Ausiliatrice, Salesiani Cooperatori e Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice. Ad esse, con il tempo, se ne sono aggiunte molte altre e di svariata natura dando vita ad un movimento attivo e numeroso. È nostro compito in quest’occasione riscoprire “un’identità da vivere con gioia e da manifestare visibilmente nell’ardore evangelizzatore, nell’amore per la salvezza delle anime, nello slancio pastorale, che si ispirano al programma di vita di don Bosco”( Don Pascual Chávez).
San Paolo ci esorta ad essere “astri nel mondo” a renderci testimoni visibili, luce viva prendendo esempio da Gesù, astro di Dio. La prima e fondamentale testimonianza da rendere è la nostra speranza, la concreta esperienza dell’amore di Gesù che ha raggiunto la nostra vita e le dà senso.  
Solo mettendo al centro Gesù, stella polare, potremo essere testimoni luminosi della sua grandezza. Il nostro essere astri acquista un valore del tutto nuovo e più grande se diventiamo consapevoli di non essere soli ed iniziamo a sentirci parte di una costellazione; al suo interno ogni astro ammira l’altro e lo sente come parte di un tutto. Non si tratta di una semplice somma di elementi ma di un’entità nuova capace di dare spessore al contributo di ogni singolo componente. Far parte di una costellazione, e quindi di una famiglia, presuppone un atteggiamento di umiltà che permette ad ogni componente di riconoscere il ruolo di ciascuno, di apprezzarlo e di goderne. È importante non perdere di vista inoltre che la costellazione della Famiglia Salesiana fa a sua volta parte di una vastissima galassia rappresentata dalla Chiesa.
 
Preziosi sì… ma non basta!
Durante lo scorso anno abbiamo scoperto di essere preziosi, ma soprattutto di essere preziosi agli occhi di Dio. Ognuno di noi ha vissuto esperienze diverse ma tutte ci hanno permesso di assaporare la bellezza di quanto ci è stato donato. Abbiamo gustato la gioia di sentirsi figli di Dio, di sentirci immensamente amati con le nostre potenzialità e qualità ma anche con i nostri limiti e mancanze. Abbiamo capito di avere tra le mani un dono unico e prezioso… la vita! Rendersi conto di questo è un traguardo talmente grande che saremmo tentati di “sentirci arrivati”. Sarebbe riduttivo però pensare che una volta giunti sin qui il cammino sia finito. Anzi deve diventare un punto di partenza per fare in modo che la nostra vita acquisti significato, dia frutto. Questo può accadere solo se la mettiamo con fiducia nelle mani di Dio, se facciamo in modo che la nostra ricchezza diventi ricchezza per gli altri. Se non lo facessimo sarebbe come nascondere il nostro “talento” sotto terra come il servo che per paura della collera del padrone mette al sicuro quanto gli è stato affidato. Tenendo per noi il tesoro che abbiamo ricevuto ne sviliamo il valore… facciamolo fruttare allora per il padrone della vigna nella quale lavoriamo!
 
Dio ci vuole umili
Spesso ci chiediamo quali sono i nostri obiettivi nella vita, che strada stiamo percorrendo, quali sono le nostre priorità, su cose basare le scelte importanti della nostra vita. Il cristiano che si pone questi interrogativi cerca di mettersi in ascolto, fa spazio dentro di sé per accogliere la volontà di Dio. Capire il progetto che Dio ha per noi, cosa ci chiede di fare o dove ci chiede di essere spesso non è facile: richiede ascolto, disponibilità e fiducia. Anche se in diversi modi Dio ci chiama al servizio:
“Se dunque io, il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv13,14-15). In una parola Dio ci chiama all’umiltà e ci chiede di seguire il suo esempio: un Dio che si fa uomo e muore per noi.
 
Vivere l’umiltà
Il termine umiltà suona nelle nostre orecchie come un parolone, rappresenta uno di quei valori che sentiamo distanti e irraggiungibili, dei quali abbiamo sempre un’idea molto vaga ma che non riusciamo bene a definire e a capire nel concreto come viverli. Oppure possiamo associare questa parola ad immagini di debolezza e sottomissione. Proviamo ad andare un attimo in profondità:
“Spesso diciamo che non siamo nulla, anzi che siamo la miseria in persona, la spazzatura del mondo; ma resteremmo molto male se ci prendessero alla lettera e se ci considerassero in pubblico secondo quanto diciamo. E' proprio il contrario: fingiamo di fuggire e di nasconderci solo perché ci inseguano e ci cerchino; dimostriamo di voler essere gli ultimi, seduti proprio all'ultimo angolino della tavola, ma soltanto per passare con grande onore a capotavola. L'umiltà vera non finge di essere umile, a fatica dice parole di umiltà [...]. Non abbassiamo gli occhi senza umiliare il cuore; non giochiamo a fare gli ultimi se non intendiamo esserlo per davvero”. (San Francesco di Sales). L’umiltà è dunque un sentimento complesso, difficile da vivere in pienamente anche se spesso non servono grandi gesti per viverlo nel concreto. Siamo umili quando anteponiamo il bene delle persone che abbiamo a cuore al nostro, quando riusciamo a metterci al cospetto del Signore e riconoscere i nostri peccati con cuore contrito, quando spendiamo tempo e energie senza aspettarci niente in cambio, quando non ci sentiamo legittimati a giudicare qualcuno per il semplice fatto di essere diverso da noi. L’umiltà va vissuta giorno per giorno nelle piccole cose e coltivata nella preghiera. Se ci mettiamo in quest’ottica essa diventa uno stile di approccio alla relazione con gli altri, al servizio e alla vita stessa in tutti i suoi aspetti.
 
Umiltà: fonte di unità
San Paolo rivolge un appello chiaro ai Filippesi, li esorta a fare “tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici” (Fil 2,15). Egli parlando a loro parla a tutti noi che facciamo parte della grande Famiglia Salesiana, che lavoriamo a contatto con realtà diverse ma con una forte componente comune. Ci suggerisce di instaurare un clima di stima reciproca, di evitare le critiche poco costruttive per essere semplici e collaborare con serenità. L’umiltà vissuta pienamente diventa così la presupposto per operare nell’unità.
 
 
 
 
·            «Alla fine della nostra meditazione natalizia vorrei citare una parola straordinaria di sant’Agostino. Interpretando l’invocazione della Preghiera del Signore: «Padre nostro che sei nei cieli», egli domanda: che cosa è questo – il cielo? E dove è il cielo? Segue una risposta sorprendente: «…che sei nei cieli – ciò significa: nei santi e nei giusti. I cieli sono, sì, i corpi più alti dell’universo, ma tuttavia corpi, che non possono essere se non in un luogo. Se, però, si crede che il luogo di Dio sia nei cieli come nelle parti più alte del mondo, allora gli uccelli sarebbero più fortunati di noi, perché vivrebbero più vicini a Dio. Ma non è scritto: “Il Signore è vicino a quanti abitano sulle alture o sulle montagne”, ma invece: “Il Signore è vicino ai contriti di cuore” (Sal 34[33],19), espressione che si riferisce all’umiltà. Come il peccatore viene chiamato ‘terra’, così al contrario il giusto può essere chiamato “cielo”» (Serm. in monte, II, 5, 17). Il cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia del cuore. E il cuore di Dio, nella Notte santa, si è chinato giù fin nella stalla: l’umiltà di Dio è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà, allora tocchiamo il cielo. Allora diventa nuova anche la terra.»
Santa Messa di mezzanotte
Natale del Signore
Omelia di Benedetto XVI
 
·            «Quello che facciamo
è soltanto una goccia nell'oceano.
ma se non ci fosse quella goccia
all'oceano mancherebbe.»
Madre Teresa di Calcutta
 
·            «Il SIGNORE gradisce il suo popolo e adorna di salvezza gli umili»
Salmo 149, 4
 
Cristina Nanti
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